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Commentary

Salafiti, Al Qaida e "cani sciolti": sfida all'Islam moderato

21 settembre 2012

I disordini scoppiati per la pubblicazione su YouTube di un video blasfemo sul Profeta Maometto hanno riportato a galla con forza gli ostacoli rappresentati dalla deriva fondamentalista islamica, se sottovalutata, per lo sviluppo democratico e la modernizzazione del Nord Africa. Ma ci hanno anche mostrato come i movimenti islamici in questa regione siano divisi, e persino in lotta tra di loro. 
Di recente in Egitto la questione è emersa in occasione delle elezioni presidenziali del giugno 2012. In questo voto il candidato del neonato partito islamico moderato Libertà e Giustizia, costola del Movimento dei Fratelli musulmani, lo scaltro presidente Mohammed Morsi, non ha ottenuto pubblicamente l’appoggio degli islamici radicali del partito Al Nour, un’espressione politica della composta galassia salafita egiziana. Questi ultimi avevano conquistato il 24% circa dei seggi alle ultime parlamentari egiziane (novembre 2011), subito dietro al partito di Morsi. Dopo la squalifica del loro candidato, l’appoggio dei salafiti di Al Nour era andato invece all’islamico moderato indi-pendente Abdel Moneim Aboul Fotouh, uno che dalla Fratellanza era uscito perché questi ultimi non volevano che si candidasse. I salafiti, che si battono per il recupero di un Islam “puro” e una lettura letterale della Legge coranica, male digeriscono l’efficiente alleanza Stati Uniti-Fratelli musulmani emersa dalla cosiddetta Primavera araba e così si schierano all’opposizione. L’autorevole «the Economist» scrive che le critiche più forti sinora rivolte a Morsi sono venute, non dagli esponenti dell’ala secolare dell’Egitto, ma «dalla destra religiosa egiziana».
La presenza salafita non divide solo l’Egitto. Ma oggi si fa sentire anche nella laica Tunisia, gover-nata dal partito moderato di ispirazione islamica Annahda. Qui, come in Egitto e anche altrove, diversi militanti islamici hanno deciso di fare politica nella clandestinità, mentre altri si sono riuniti intorno ai partiti cosiddetti neo-salafiti non rappresentati in Parlamento. Fra questi Ansar al Sharia (promotore, nei mesi scorsi, di diverse manifestazioni a sostegno della legge islamica quale fon-damento per l’ordinamento giuridico della Tunisia) e Hizb Ettahrir (movimento internazionale che vuole ristabilire il Califfato).
Nel giugno di quest’anno un gruppo di islamici radicali aveva scatenato il putiferio attaccando la mostra Printemps des Arts, a La Marsa, vicino Tunisi, accusata di aver esposto alcune opere giu-dicate blasfeme. Gli autori erano artisti tunisini. Addirittura era stato indetto il coprifuoco in 8 go-vernatorati del Paese, anche perché non era la prima volta che questi gruppi causavano gravi di-sordini nel Paese. In un’intervista telefonica rilasciatami a giugno da Tunisi, Meriem Bouderbala, artista tunisina e curatrice di un segmento della mostra, accusava il governo di non fare abbastanza per contenere questi eccessi di violenza e ventilava l’ipotesi di una complicità con il partito Annahda al potere. Un’ipotesi che non sembra poi troppo azzardata. Il partito islamista Annahda, un movimento descritto come pragmatico e moderato, da mesi si è messo a smantellare l’impianto laico ed egalitario della Costituzione e del diritto di famiglia tunisino, a favore di una visione di su-balternità della donna.
La popolazione araba del Nord Africa tollera male gli eccessi dei radicali islamici. Anche in Libia. Qui i salafiti hanno dato l’assalto a siti storici di confraternite sufi, che per tradizione sono pacifiche e moderate, e la popolazione locale ha reagito riuscendo ad avere a volte la meglio. Ma in Libia la minaccia fondamentalista si fa più pesante per la presenza del network di al-Qaeda, attiva in diversi Paesi dell’Africa occidentale. Oggi non esiste più un’unica al-Qaeda e siamo in una fase in cui gli elementi che la compongono si trasformano con eccezionale rapidità. Potremmo dire, utilizzando una definizione del giornalista ed esperto Jason Burke (autore di Al Qaeda. La Vera Storia), che siamo in quella «definita post-al-Qaeda». Bin Laden è morto e dalla documentazione ritrovata nel suo rifugio pakistano si capisce che l’organizzazione è rimasta senza fondi e all’interno è spaccata da divergenze ideologiche e disciplinari. Tuttavia ci sono ancora numerosi “gruppi affiliati” (al-Qaeda nello Yemen, in Iraq, nel Maghreb) alcuni dei quali agiscono in maniera indipendente. Ma ci sono anche i “cani sciolti”, sempre utilizzando una definizione di Burke, singoli individui che possono rivelarsi imprevedibili. È a loro che gli esperti hanno attribuito la tragedia di Bengasi. L’attacco sferrato martedì sera al consolato americano di Bengasi in Libia, costato la vita all’ambasciatore Chris Stevens, è stato rivendicato da al-Qaeda nella Penisola arabica. Sarebbe una vendetta per l’uccisione del numero due del gruppo terroristico, Sheikh Abu Yahya al-Libi. E non solo la reazione alla pubblicazione di un video blasfemo.

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Islam salafiti Al-Qaeda Fratelli Musulmani Al-Nahda
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