Nel 2020 il quadro macroeconomico globale è stato stravolto dall’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19. Nei mesi iniziali dello scorso anno, gli scenari economici sono velocemente e profondamente mutati, indicando una recessione dell’attività economica mondiale senza precedenti nella storia recente. Secondo le ultime previsioni di Oxford Economics, la contrazione del Pil globale è stata del 3,9%, superiore di 2,5 punti percentuali rispetto a quanto registrato nel 2009 a causa della Crisi finanziaria globale (CFG).
Questa recessione si è inevitabilmente riflessa anche sul commercio internazionale, stimato in calo del 9,3% in volume e spinto fortemente al ribasso dalla componente dei servizi.[1] La natura della crisi pandemica – e di conseguenza delle misure di contenimento del contagio ampiamente diffuse su scala mondiale, seppur con modalità e tempistiche eterogenee – ha penalizzato maggiormente il turismo, i trasporti e in generale le attività legate al canale dell’ospitalità, determinando una caduta del volume di scambi di servizi a doppia cifra (-21,8%). L’impatto sul corrispondente commercio internazionale di beni è stato di gran lunga minore (-6,8%, in linea con il -6,6% desumibile dai dati disponibili sui primi 10 mesi dell’anno rilevati dal Central Planning Bureau).
Nel confronto con la CFG emergono due importanti considerazioni (Fig. 1). In primis, la pandemia ha colpito contestualmente il commercio di beni e servizi, a differenza di quanto accaduto nella precedente crisi dove invece si rileva uno sfasamento temporale. Lo shock finanziario innescato dalla crisi dei mutui sub-prime e culminato nel fallimento di Lehman Brothers si è tradotto dapprima in un crollo degli scambi mondiali di servizi nel 2008 – soprattutto quelli legati alle attività bancarie e assicurative; successivamente, si è esteso all’economia reale determinando anche un cedimento del commercio internazionale di beni.
Secondo, l’impatto dello shock pandemico sui servizi è stato largamente superiore a quello registrato nel 2008 e questo effetto è riconducibile all’elevata incidenza delle componenti di viaggi e trasporti sul volume di scambi del settore[2], più colpite dalle misure anti Covid-19 e meno impattate dalla CFG. Riguardo ai beni, per contro, l’effetto della crisi pandemica è stato relativamente più contenuto rispetto a quello generato dalla CFG.
Figura 1. Commercio internazionale di beni e servizi (var. %; in volume)
Fonte: Oxford Economics World economic prospects (gennaio 2021)
Il 2021 si prospetta come un anno di transizione verso l’uscita dall’emergenza sanitaria, spinto da un lato da fattori positivi legati alla disponibilità di una pluralità di Vaccini e, dall’altro, esposto a ulteriori ondate del contagio alimentate dalla diffusione di nuove Varianti del Virus Sars Cov-2, caratterizzate da un’alta capacità di trasmissione. Abbondano quindi i fattori “V”, e non (solo) con riferimento a quella che potrà essere la velocità del recupero. Presumibilmente, i mesi iniziali dell’anno vedranno il mantenimento delle misure restrittive su scala globale, con allentamenti graduali a partire dal secondo trimestre in concomitanza con l’avanzamento dei programmi di vaccinazione. Nonostante il contesto rimanga ancora incerto e vulnerabile, le proiezioni del consensus convergono verso una ripresa a “V” dei volumi del commercio internazionale. Questi saranno sostenuti da una ripresa vivace dei beni (+8,7%) che più che compenserà il lento recupero dei servizi (+3,4%), secondo lo scenario base di Oxford Economics. Una dinamica simile sarà riscontrabile anche per le esportazioni italiane. In particolare, il valore delle vendite di beni Made in Italy nel mondo è atteso in crescita dell’11,2%, con una ripresa quasi completa rispetto al -11,5% stimato per lo scorso anno (in linea con la previsione del Rapporto Export di SACE[3] e con i dati disponibili sui primi undici mesi che indicano un -10,8%); anche per i servizi la ripresa sarà significativa e pari a +20,6%, seppure inferiore al crollo del 30,5% stimato per il 2020.
I rischi dello scenario economico restano rilevanti e legati all’elevata incertezza sull’evoluzione della pandemia. Le tempistiche di risoluzione della crisi sono ancora altamente variabili e costringono “oggi a lavorare su scenari, rendendo l’abitudine - anche mediatica - di concentrarsi su un quadro previsivo centrale o di base più che mai fuorviante” (Visco, La crisi finanziaria e le previsioni degli economisti, 2009). In particolare, si segnalano due possibili scenari alternativi, basati su altrettante ipotesi contrapposte: (i) eventuali avanzamenti significativi nella distribuzione e somministrazione di vaccini e terapie contro il Covid-19 rappresentano un fattore di rischio al rialzo, che consentirebbe di allentare le restrizioni anticipatamente rispetto alle assunzioni dello scenario base e quindi di far ripartire l’economia mondiale ancora più rapidamente; (ii) possibili peggioramenti nella diffusione del contagio, ritardi nella campagne di vaccinazione di massa e/o inefficacia dei vaccini contro le nuove varianti del virus costituiscono invece fattori di rischio al ribasso, che imporrebbe un ulteriore stretta delle misure di contenimento su scala globale, ritardando quindi la ripresa dell’attività economica mondiale. Al momento, al primo scenario alternativo è associata una discreta probabilità di accadimento, mentre il secondo sembra essere meno probabile.
Ad alleviare un quadro dei rischi, ormai sempre più complesso, influisce in chiave positiva il venir meno dell’incertezza legata alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, dove l’amministrazione guidata dal neo-eletto Presidente Biden è attesa incoraggiare il ritorno di un dialogo costruttivo con i principali paesi partner, tra cui quelli dell’Unione Europea, rispetto ai toni protezionistici che hanno caratterizzato la politica commerciale dell’amministrazione Trump. Come più volte annunciato nel corso della campagna presidenziale, Biden si è espresso inoltre a favore del rafforzamento di un approccio basato sul multilateralismo – messo in crisi dalla polarizzazione tra Stati Uniti e Cina e alimentato al contempo dal ricorso crescente ad accordi di libero scambio bilaterali – anche attraverso una riorganizzazione dell’organismo preposto al suo corretto e efficace funzionamento, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un sistema multilaterale aperto e basato sulle regole incentiva le riforme, favorisce l’accesso ai mercati globali e rappresenta un terreno di risoluzione delle dispute. Inoltre, la prevedibilità delle politiche commerciali e di investimento rappresenta una variabile cruciale per le strategie delle imprese all’estero; in tal senso, una nuova cooperazione internazionale può incoraggiare una maggiore trasparenza delle politiche nazionali e ridurne l’incertezza.
In conclusione, la portata dello shock ha evidenziato vecchie e nuove esternalità negative dei processi di integrazione dei mercati internazionali, contribuendo ad alimentare il dibattito fra efficienza e sicurezza delle Catene Globali del Valore (CGV), soprattutto riguardo ai cosiddetti beni critici. Il Covid-19 ha causato, infatti, una brusca impennata nella domanda di apparecchiature medico-sanitarie prodotte soprattutto in Cina, causando un temporaneo – anche se rilevante – squilibrio nel mercato. Se da un lato la frammentazione dei processi produttivi su scala globale ha favorito una maggiore efficienza (comprimendo i costi di produzione), dall’altro può rappresentare un rischio per l’approvvigionamento di beni essenziali, e non solo. Non riteniamo tuttavia che la crisi, ancora in corso, possa determinare un cambiamento radicale attraverso il reshoring, ovvero il ripristino delle produzioni esternalizzate nel mercato domestico; piuttosto, sarà necessario un rafforzamento delle CGV nella direzione di una maggiore resilienza a shock sistemici, al fine di ridurne la vulnerabilità e al contempo continuare a beneficiare dei vantaggi comparati acquisiti in termini di efficienza tecnica e specializzazione produttiva. In un orizzonte temporale più esteso, la capacità di tornare su un sentiero di crescita sostenuto dipenderà dunque dalla correzione di alcune distorsioni presenti negli attuali assetti produttivi internazionali, senza trascurare come l’apertura dei mercati agli scambi internazionali abbia contribuito a garantire in passato sviluppo e benessere.
NOTE
[1] Secondo i dati al 2019, l’incidenza dei servizi sul commercio internazionale è pari al 16,5%, un peso ancora minoritario ma caratterizzato da un andamento crescente negli ultimi anni (nel 2007 era pari al 12,6%).
[2] Secondo le stime più recenti di Banca mondiale, nel 2019 il peso delle componenti di viaggi e trasporti sul totale degli scambi mondiali di servizi si è assestato attorno al 48%.
[3] Il Rapporto Export “Open Again” di SACE è scaricabile qui.