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Commentary

Se il sud del pianeta va per la sua strada

19 Dicembre 2012

Nel Duemila i paesi ricchi producevano quasi i due terzi del prodotto lordo mondiale. Oggi siamo scesi a poco più della metà e, secondo le previsioni, solitamente non catastrofiste, del Fondo Monetario Internazionale, la nostra quota cadrà al 47 per cento nel 2015. Oltre a essere una minoranza demografica – ferma a poco più di un miliardo di persone su una popolazione mondiale che ha superato i sette miliardi di individui e alla quale si aggiungono ogni anno almeno tante persone quante ne conta la Francia – stiamo diventando una minoranza economica.

In realtà, siamo di fronte a qualcosa di molto più importante di un semplice spostamento di percentuali, e precisamente a una variazione strutturale di tipo qualitativo. Fino a tempi recentissimi, i Paesi emergenti producevano soprattutto materie prime o manufatti piuttosto semplici e l’innovazione era concentrata in Occidente e in Giappone. In Occidente e in Giappone, del resto, si trovava la quota di gran lunga prevalente dei consumi “evoluti”, legati alle telecomunicazioni e a Internet. 

Oggi non è più così. Non siamo certo al capovolgimento qualitativo ma i nostri primati non sono più indiscussi: l’India produce la metà del software mondiale, la Cina si sta preparando a far concorrenza a Boeing e Airbus con un nuovo jumbo jet, in Africa l’esplosione del “telefonino” cambia radicalmente la vita di collettività scarsamente collegate da strade, il Brasile è attivo e competitivo in settori che vanno dagli apparecchi medicali all’esplorazione petrolifera. In molti Paesi emergenti ci sono buone università e buona ricerca scientifica, oltre che mercati finanziari importanti e agguerriti: il volume di scambi azionari della Borsa Italiana all’inizio degli anni Duemila era all’incirca il doppio di quello della Borsa coreana, oggi è pari all’incirca a un terzo. 

L’aumento della loro importanza si vede bene anche in fenomeni più vicini alla vita di tutti i giorni: su venti prove del campionato mondiale di Formula 1, ben otto si tengono in Paesi emergenti, dalla Malaysia al Qatar. Nel calcio, alla migrazione di campioni del pallone dai Paesi emergenti verso le squadre dei Paesi ricchi se ne contrappone ormai una in senso contrario di allenatori che preparano compagini che forse batteranno le nostre. 

Il mondo si sta inoltre scuotendo di dosso il vestito coloniale e post-coloniale che vedeva i trasporti e le comunicazioni delle ex-colonie far capo alle capitali degli ex-imperi. Non troppi anni fa, una lettera spedita dalla Nigeria al Sudafrica passava per Londra, una lettera spedita dal Chad alla Polinesia passava necessariamente per Parigi. Oggi non è più così, e un colpo forse decisivo al vecchio ordine potrebbe derivare da un grande cavo per telecomunicazioni in grado di collegare, attraverso gli oceani, la Cina con l’India, il Sudafrica e l’America Latina, che dovrebbe essere realizzato nel giro di circa 18 mesi. Su quel cavo viaggerà la nuova identità del Sud del mondo. La nuova identità di una parte del Nord del mondo potrebbe viaggiare sui binari della nuova ferrovia transiberiana che ha cominciato a collegare la Cina con la Germania, trasportando in una settimana le merci il cui spostamento in precedenza richiedeva un mese. 

Questo nuovo mondo non avrà una nuova potenza egemone, sarà invece, come sostiene il politologo americano Charles Kupchan, un “mondo di nessuno” e quindi un mondo di tutti. Il nostro problema è di capire come faremo ad adattarci, dopo essere stati i dominatori del mondo vecchio che si avvia inesorabilmente al tramonto, come sapremo condividere ed esercitare congiuntamente un potere che per cinque secoli era stato appannaggio esclusivo di europei e nordamericani.

Il Commentary fa parte del Dossier Rischio Babele, http://ispinews.ispionline.it/?p=3401

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FMI Paesi emergenti Giappone Cina Africa Crisi economica
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