Dopo essere sopravvissuti indenni agli sconvolgimenti delle Primavere arabe, alcuni tra i principali paesi del Medio Oriente potrebbero conoscere nei prossimi anni dei sommovimenti che rischiano di metterne in pericolo la stabilità. Non più rivoluzioni, interventi esterni o guerre civili: quello che potrebbe alterare il volto del Medio oriente negli anni a venire è il semplice ricambio generazionale. Una questione che in realtà semplice non è, dal momento che – pur con differenze tra un caso e l’altro – tutti questi paesi condividono un’estrema personalizzazione del potere politico e opachi processi di gestione dello stesso. Tutto ciò fa sì che sul futuro della regione incombano numerose incognite tanto riguardo le modalità con cui verranno gestiti i processi di transizione politica, resi necessari dal puro dato anagrafico, quanto riguardo le conseguenze dei cambi al vertice sulla stabilità interna e regionale.
Il potenziale del sommovimento tellurico è dato dal numero e dalla centralità dei paesi interessati. Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, ma anche Kuwait, passando dal nodo della successione ai vertici della gerarchia religiosa in Iraq, una questione che rischia di influire sugli equilibri politici del paese.
A Teheran, da anni ci si interroga sul nome del successore dell’ayatollah Khamenei (78 anni, al potere da 29), Guida suprema e dominus del complesso gioco politico iraniano. Se in apparenza la questione della successione iraniana risulta la meno opaca – dal momento che le regole sono chiaramente scritte nella Costituzione della Repubblica islamica – nei fatti l’estrema complessità delle dinamiche politiche interne rende il futuro tutto meno che certo. La Costituzione assegna infatti il potere di nomina della Guida suprema all’Assemblea degli esperti, un organismo composto da 88 religiosi. Con ogni probabilità, però, la designazione del successore avverrà tramite compromesso tra le principali fazioni politiche, e rifletterà dunque l’equilibrio tra le forze politiche in essere al momento della decisione. Con il capitale politico della fazione dei moderati riconducibili al presidente Hassan Rouhani in lento ma inesorabile deterioramento a causa della crisi dell’accordo sul nucleare, lo scenario che si staglia come più probabile all’orizzonte è quello dell’elezione di un esponente della fazione più conservatrice. In questo caso, il processo di riforma della Repubblica subirebbe un nuovo rallentamento, e a minacciare la stabilità del paese potrebbe essere la pressione dal basso di una popolazione sempre più scontenta e disillusa.
Anche in Arabia Saudita dietro a una successione in apparenza già delineata si celano i numerosi ostacoli legati alla scommessa delle riforme. Nel giugno dello scorso anno l’ottantaduenne re Salman ha indicato come proprio successore al trono il trentaduenne figlio Mohammad bin Salman (MbS). Una decisione accolta a Riyadh come un fulmine a ciel sereno: l’anziano re ha infatti ribaltato la tradizionale linea di successione dinastica in base alla quale ad assumere il potere avrebbe dovuto essere il nipote, il cinquantasettenne Mohammad bin Nayef. Da allora, Mohammad bin Salman ha agito in maniera decisa – qualcuno direbbe spericolata – per cercare di consolidare la propria posizione ed eliminare qualsiasi minaccia – reale o potenziale – al proprio futuro da re. La stretta anti-corruzione che ha visto l’arresto di principi e uomini d’affari del Regno in precedenza considerati intoccabili, l’azzardo del blocco economico del Qatar, l’interventismo in Yemen, l’annuncio e poi la marcia indietro sull’IPO di Saudi Aramco, sullo sfondo dell’ambizioso piano di riforma Vision 2030, e le lente e parziali aperture sui diritti civili, con la concessione del diritto di guida alle donne, sono tutti parte del nuovo corso lanciato dal giovane MbS. Anche su questo nuovo corso però incombono numerose incognite: l’ambizione e la profondità del progetto di riforma rischiano di scontentare gli ambienti più conservatori del Regno, e al tempo stesso la superficialità di alcune riforme – il loro essere in molti casi puramente estetiche – rischia di aumentare la pressione sociale di una popolazione che si prepara al venir meno del tradizionale patto sociale basato sull’economia di rendita. Il giovane MbS si trova quindi nella difficile posizione di dover proteggere la propria successione dalle ire dei rivali traditi del ramo famigliare dei bin Nayef, e di traghettare il paese verso un sistema di sviluppo più sostenibile, slegato dalle rendite del petrolio, ma anche potenzialmente più instabile a causa del venire meno dei tradizionali paracadute sociali (sussidi, nessuna pressione fiscale).
Cambiamenti all’orizzonte anche per gli Emirati Arabi Uniti, un attore sempre più centrale per gli equilibri del Golfo. L’anziano presidente nonché emiro di Abu Dhabi, Sheikh Khalifa bin Zayed al Nayhan (69 anni), è stato colpito da un ictus nel 2014. Pur rimanendo ufficialmente al vertice del paese, Khalifa bin Zayed è stato gradualmente sostituito nelle decisioni strategiche dal principe ereditario, il figlio Sheikh Mohammed bin Zayed al-Nayhan (57 anni), e la successione ufficiale appare oggi sempre più vicina. Anche in questo caso, la certezza della successione non garantisce la stabilità del processo né del risultato. Negli ultimi anni, sotto la guida del leader de facto Mohammed bin Zayed, gli EAU hanno assunto una posizione sempre più assertiva e sempre più in linea con l’Arabia Saudita, paese egemone della regione. Alcuni osservatori sono giunti persino a individuare nella nuova coppia di leader MbS e Mohammed bin Zayed (MbZ) i deus ex machina di un nuovo Medio Oriente a somma zero, e a ipotizzare che il più agé MbZ abbia assunto negli ultimi mesi un ruolo da mentore per il delfino saudita, portandolo a prendere decisioni sempre più azzardate e distanti dalla tradizionale cautela del Regno.
Ugualmente cruciale è la questione della successione in Oman, forse la più opaca, certamente la più bizzarra. L’anziano sultano Qaboos bin Said (76 anni, al potere da 38), sulle cui condizioni di salute si specula da anni, non ha eredi designati: non è sposato, non ha figli né nipoti. La successione è così affidata a un peculiare procedimento: al Sultano è stato chiesto di indicare il nome del proprio successore in due lettere sigillate (una custodita a Mascate e una a Salalah), che verranno aperte solamente dopo la sua morte, ma solo nel caso in cui il Consiglio della famiglia reale non sia in grado di raggiungere un consenso circa il successore entro tre giorni dalla sua morte. I nomi su cui convergono le scommesse per il post-Qaboos sono quelli di Asaad bin Tariq (64 anni), vice-primo ministro e rappresentante speciale del Sultano, e di Taimur bin Tariq (38 anni, figlio di Asaad), capo della seconda banca islamica del Paese. Certo è che chiunque sarà il successore di Qaboos bin Said, si troverà di fronte alla sfida di preservare la stabilità interna del Paese – che ultimamente ha visto crescere le proteste legate alla difficile situazione economica – e di mantenere inalterato il ruolo dell’Oman come grande mediatore regionale, tenendolo al contempo al riparo dalle scosse che emanano dalla regione.
Quella che si prepara a Kuwait City è invece una successione “verticale” in stile saudita: dal 2006 è venuta meno la regola dell’alternanza fra i due rami degli al-Sabah (Salem e Jaber), e la corona reale si prepara a passare di padre in figlio anziché di fratello in fratello. Mentre ufficialmente l’89enne emiro Sabah Ahmad al-Sabah si preparerebbe a cedere lo scettro al fratello Nawaf Ahmad al-Sabah (81 anni, il principe ereditario più anziano al mondo), la veneranda età di quest’ultimo ha fatto salire le quotazioni del figlio dell’emiro, il vice-primo ministro Nasser bin Sabah al-Ahmed al-Sabah (70 anni). Anche in questo caso, il passaggio della successione sarà cruciale per determinare il Kuwait del futuro, in particolar modo il suo ruolo di mediatore delle crisi regionali ma anche e soprattutto la partita interna delle riforme: la Vision 2035, strategia di sviluppo economico varata nel 2010, sta incontrando forti resistenze tra i deputati dell’Assemblea nazionale, contrari alle privatizzazioni. Nasser, il delfino de facto, si prepara a spingere proprio in questo senso. È considerato infatti il più grande sponsor di “Silk City”, una delle grandi opere con cui il Kuwait punta ad attirare miliardi di investimenti.
Infine, la successione religiosa, ma dagli importanti risvolti politici, all’ayatollah Ali al-Sistani (88 anni), la massima autorità dello sciismo contemporaneo. Dalla sua sede nel seminario di Najaf, in Iraq, Sistani ha svolto in questi anni il ruolo di mediatore tra le diverse anime dello sciismo iracheno, con un effetto stabilizzatore sulle complesse dinamiche politiche del Paese. In particolar modo, Sistani è interprete e fautore della linea tradizionalistica dell’Islam sciita, che afferma la separazione di religione e politica. Una linea rimessa in discussione dalla rivoluzione iraniana, con la commistione di Islam e politica predicata dall’ayatollah Khomeini nel seminario iraniano di Qom. Si è parlato più volte in passato della rivalità tra Najaf e Qom, tra lo sciismo “quietista” iracheno e lo sciismo politico iraniano; l’incognita della successione ad al-Sistani solleva dubbi circa le possibilità di sopravvivenza della dottrina di non ingerenza, e accresce il timore che sulla sede vacante di Najaf si allunghino le mani dei propugnatori dello sciismo politico in salsa iraniana o dei religiosi à la Muqtada al-Sadr che utilizzano le proprie credenziali religiose (religioso di basso rango, Muqtada al-Sadr è però il discendente di una illustre casata sciita) per avanzare la propria agenda politica.
Quali che siano i risultati della complessa partita delle successioni, il volto del Medio Oriente così come lo conosciamo oggi si prepara a essere rivoluzionato nell’arco dei prossimi 3-5 anni. In contesti politici nei quali il leader si identifica totalmente con lo stato, ciò rappresenta una sfida tanto per la tenuta dei sistemi stessi quanto per la stabilità regionale. Se alla partita delle successioni si aggiunge quella delle riforme in corso in diversi di questi paesi, è possibile comprendere come l’esito di questa scommessa sarà cruciale anche per le nostre economie.