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Commentary

Semestre europeo di presidenza italiana: un nuovo link tra Nord e Sud Europa

01 luglio 2014

Il rischio di delusioni e  di una  conseguente crisi  da «too high expectations»  incombe sulla presidenza italiana. Più grave, si assiste a una grave disinformazione sui rapporti di forza reali e sui Trattati che purtroppo caratterizza la maggioranza dei commenti sulle questioni della UE, al punto che in Italia, sull’Europa, si può impunemente dire tutto e il suo contrario. Persino organi autorevoli  propagano illusioni su «una svolta radicale della politica economica europea»  che sarebbero confermate dal Consiglio europeo di Ypres-Bruxelles del 27 giugno e caratterizzerebbero la presidenza italiana. Le elezioni al PE,grazie all’Italia, spingono per una politica della crescita, ma si dimentica che il primo partito al PE è il PPE e non il partito dei socialisti e democratici. Cosa si può davvero innovare?  

L’UE non può fare nulla senza o fuori dalla base legale costituita dai trattati europei (il Teu e Tfue di Lisbona del 2009, segnatamente), nel 1997 il Patto di stabilità e crescita, rivisto nel senso della flessibilità nel 2004, nonché il trattato intergovernativo Fiscal Compact entrato in vigore il 1 gennaio 2013 per assicurare la stabilità di bilancio, pena procedura della Commissione e possibili multe della Corte di giustizia (1% del Pil).  Questi testi e trattati non vengono «da Bruxelles», come si dice per pura manipolazione dell’opinione pubblica, ma dalle decisioni libere sovrane degli stati membri e dei loro governi di conferire o non conferire poteri e competenze alle istituzioni europee.  

Angela Merkel ha dichiarato allo Spiegel di fine giugno che il Fiscal Compact è la lezione che l’UE ha tratto dalla crisi. Perché? Perch? l'Unione economica e monetaria a Maastricht nel 1992 era nata asimmetrica e zoppa: alla centralizzazione spettacolare della politica monetaria (moneta unica) non corrispondeva un coordinamento serio della governance della politica economica col risultato di avere 28 budget nazionali indipendenti. Il ministro tedesco delle Finanze Schäuble ha ottenuto il 20 giugno la conferma collettiva di ECOFIN dell’interpretazione corrente dei Trattati e del Patto di stabilità cioè: «We don't need to change the rules, we have to stick to them» poiché «the existing rules provide enough flexibility». Quest'interpretazione è stata confermata dalle conclusioni del Consiglio europeo: la flessibilità è quella già interna al Patto.

Perché? Oltre alle ragioni economiche, c’è una ragione politica che  è un preciso dovere di chi conosce la Germania, dialoga con le sue classi dirigenti e legge la stampa tedesca comunicare al pubblico italiano. Per l’opinione pubblica tedesca (ma anche  scandinava, olandese, austriaca, britannica - su questo Cameron sostiene la Merkel…) la richiesta dei paesi meridionali di flessibilità corrisponde non solo alla volontà di continuare a fare debiti, oltre la voragine già spaventosa del 135% del Pil, ma di accollarli ai paesi virtuosi, trasformando così l’Unione Europea in una «Transfertunion» (Frankfurter Allgemeine), che fa pagare agli uni i debiti degli altri.   

Come ha detto Renzi, occorre ancora dimostrare che l’ Italia sa ridurre il debito, lottare contro la corruzione, riformare il mercato del,lavoro, spendere bene i fondi europei.

Quali margini sono dunque realisticamente possibili? Bisogna partire da tre dati:

a) Che varie proposte  rispettabili (la trasformazione di statuto, obiettivi e modus operandi della Bce nel senso della Federal Reserve Bank e secondo molti osservatori, anche la creazione di Eurobond e il non computo nel debito del cofinanziamento dei fondi europei), implicherebbero una revisione dei trattati e del Patto. Bene,  modificare i trattati è astrattamente possibile certo, ma solo con un lungo processo di revisione all’ unanimità (la conferenza intergovernativa durerebbe almeno un anno, e il processo di ratifica, incertissimo in un Europa a 28, altri due anni, salvo incidenti in vari referendum). Questo spiega perchè nessuno intenda aprire un cammino cosi’ incerto tranne qualche sognatore irrilevante. In ogni caso, tutti dovrebbero concordare che avviare una revisione dei trattati sfugge all’orizzonte della presidenza italiana, che del resto non vi fa illusione nel suo programma.

b) Che il Trattato di Lisbona ha profondamente ridotto il ruolo della presidenza a rotazione:  il Consiglio europeo - detto volgarmente "vertice" – è un'istituzione di orientamento strategico,  presieduto dal suo presidente permanente, Herman Van Rompuy e il suo successore e non dal primo ministro del paese che assume la presidenza semestrale. Che il Consiglio Affari Esteri è presieduto dall’Alto rappresentante per la politica estera e non dal ministro degli Esteri a rotazione. Che il consiglio Ecofin è presieduto dal ministro dell’Economia/Finanze a rotazione, ma preceduto dalla riunione dell’Eurogruppo, determinante per Ecofin, presieduto in permanenza da un ministro dell’economia (segnatamente dallo olandese Jeroen Dijsselbloem, alleato della Merkel).

c) Che i sisultati della ricerca sono concordi nel valutare i margini delle presidenze a rotazione come uletriormente limitati: dall’accordo delle tre presidenze successive per un programma concordato per un anno e mezzo  il che riduce i margini di innovazione (10% dell’agenda secondo la ricerca coordinata da Attila Agh, The prospects of EU presidencies).

Questo limitato margine di manovra residuo per il semestre di presidenza italiana, per essere  efficacemente sfruttato, deve imperativamente articolarsi su pochi e chiari obiettivi realistici:

- d’intesa con vari leaders europei, tra cui (esplicitamente il 17 giugno) Sigmar Gabriel, vicecancelliere del governo di coalizione Cdu-Spd (per questo già oggetto di durissimi attacchi della Csu, della Cdu e della Bundesbank), cercare di ottenere che siano coerentemente implementate alcune innovazioni delle conclusioni del Consiglio di Ypres-Bruxelles: 

a) precisare nei dettagli, come, nel quadro di una strategia di crescita, almeno alcune delle spese per le riforme (la ricerca ad esempio) possano essere escluse dal computo del deficit annuale e

b) che (come richiesto dalla Francia)  i tempi di rientro nel Patto di stabilità siano anche se livemente allungati per chi si impegna a più riforme, 

c)  che il contenuto della politica di crescita combini le riforme strutturali e il completamento del mercato interno, come sottolinea il ministro Padoan, con  una nuova e vigorosa centralità per la strategia «Europa 2020», perché senza innovazione tecnologica non c’è crescita sostenibile, nè riduzione del debito accumulato.

Inoltre si tratta di preparare seriamente «i contratti bilaterali» per l’uscita dalla crisi, che saranno discussi e lanciati entro il Consiglio europeo di ottobre. Quali condizioni avranno i patti che ogni paese, volontariamente, potrà negoziare con la Commissione in vista di uno scambio tra aiuti e controlli multilaterali, assitenza speciale e deleghe di sovranità? Bisogna che questi contratti non significhino «troika per tutti», ma siano orientati a rilanciare la crescita e l’occupazione nell’interesse dell’intera zona euro. Potrebbe essere un ancora di salvezza per l’Italia se il tasso di crescita dovesse deludere.

Infine, occorre rilanciare l’obiettivo proposto da Van Rompuy nel 2013 di rafforzare l’Eurogruppo, anche tramite l’istituzione di un budget indipendente (resistenza tedesca).

Per quanto concerne le altre priorità su cui la presidnenza a rotazione italiana potrà forse incidere: 

a) utilizzare la presidenza a rotazione del Consiglio Affari Interni per rafforzare sensibilmente fondi e ruolo della missione europea nel Mediterraneo (oltre le vaghezze del vertice di Ypres-Bruxelles) e, magari, cercare di ottenere il nuovo commissario responsabile degli affari interni e immigrazione;

b)  sostenere in Consiglio il passo annunciato per luglio (documento della Commissione)  nel senso di una riduzione della dipendenza energetica dell’UE.

c) per quanto riguarda la dimensione Europa-Mondo, oltre alla gestione delle emergenze (Iraq, Iran, Siria…) un contributo italiano è possibile su alcuni temi spinosi:

-  la politica di associazione e sostegno dell’Ucraina, Georgia e Moldova deve accompagnarsi con iniziative concrete per evitare una rottura con la Russia e rilanciare il "partenariato strategico"; 

-  combinare avanzate pragmatiche e sostegno alla commissione sul Trattato transatlantico per investimenti e commercio (Ttip) con altri negoziati commerciali con Cina, Giappone, America latina e Africa anche allo scopo di mostrare un maggior grado di autonomia dell'UE; il vertice Asem con i paesi dell’Asia dell’est sarà importante anche in questo senso; 

-  dopo la crisi Ucraina, l’Italia, che con la Germania è leader dei tagli ai bilanci militari, può riprendere il tema della difesa europea non nel senso impossibile di invertire la tendenza alla riduzione quantitativa, ma di migliorare la qualità della spesa, coordinare con il metodo aperto di coordinamento tagli e investimenti, e aumentare la componente R&S nella spesa militare(pericolosamente declinante secondo il rappporto dello EU-Iss); rilanciare la politica mediterranea e il "modello Tunisia", dopo i disastri degli ultimi anni.

L’Italia dovrà anche contribuire a oliare le inevitabili complicazioni della entrata in funzione delle nuove dirigenze della UE. Junker che dovrà rispettare vari equilibri interni nella composizione della sua Commissione e potrà farlo in modo conservatore o innovativo. Il parlamento si è rafforzato e il suo presidente Martin Schulz pretenderà legittimamente di sottoporre a duro scrutinio i nuovi commisssari il nuovo (o la nuova) Alta rappresentante per la politica estera che, a parere di molti a Bruxelles, deve soprattutto non essere una seconda Lady Ashton, priva di esperienza e incapace di gestire il suo secondo incarico di vicepresidente della Commissione.  

Italiano o no il successore di Van Rumpuy dovrà essere un tessitore di consenso in seno al Consiglio europeo. La mossa di Matteo Renzi di richiedere a Junker un documento programmatico è stata tatticamente intelligente e strategica e può essere ripetuta. Infine, ora che si è votato a maggioranza Junker,  l’Italia dovrà contribuire a gestire con saggezza le conseguenze politiche inevitabili della marginalizzazione britannica, concretizzando, de facto, un’Europa a due velocità. A parte l’utilità in politica interna in vista delle elezioni del 2015, nessuno comprende quale sia la strategia europea di un Cameron, sconfitto tre volte: dalla detestata "parlamentarizzazione dell'UE", dall’isolamento nel Consiglio europeo e dalle decisioni di rafforzare l’Eurogruppo, senza la Gran Bretagna. Gettare ponti a un grande paese entrato in un vicolo cieco deve farsi nella chiarezza, evitando ogni confusione tra la loro richiesta di flessibilità (Europe à la carte) e la nostra, nel quadro dell’integrazione rafforzata dell’Eurogruppo.

In conclusione, è vitale per l’interesse italiano mostrare di saper contribuire a fare dell’uscita dalla crisi un’occasione per rilanciare crescita, occupazione e società della conoscenza e la legittimità popolare dell’integrazione. L’Italia, nei limiti della presidenza semestrale, ha l’opportunità straordinaria di svolgere un ruolo di sapiente mediatore, ago della bilancia e promotore, con Commissione e Consiglio europeo, di un nuovo vigoroso programma per il prossimo quinquennio, rilanciando la sua credibilità europea nel quadro del partenariato con la Germania: si tratta di dimostrare che la leadership "Merkrenzi" è utile al Nord e al Sud dell’UE. 

Mario Telò, Jean Monnet Chair ad personam at the Université Libre de Bruxelles; Vice President of the Institut d'Etudes Européennes.
 
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