Negli ultimi mesi, il livello di violenza in Siria è aumentato drammaticamente. All’interno dei territori vicino al confine con la Turchia e la Giordania le forze governative hanno svolto varie operazioni militari contro i numerosi gruppi armati di opposizione araba a Bashar al-Assad. La nuova fase di scontro ha determinato una nuova gravissima crisi umanitaria nella regione della Siria meridionale di Daraa – dove, già nel 2018, l’offensiva di Damasco aveva costretto 320.000 persone a lasciare la propria casa.[1] Al nord, invece, sono aumentati i bombardamenti aerei che hanno causato centinaia di vittime e si è aggravata la violenza tra i gruppi armati presenti nella regione. Nel nord-ovest della Siria, il gruppo armato principale, Hayat Tahrir al-Sham (Hts) islamista militante in passato affiliato ad al-Qaeda, da cui si è successivamente staccato, ha rafforzato la propria stretta nei confronti di altri gruppi armati operanti nell’area. Infine, i recenti sviluppi in Afghanistan hanno avuto una certa eco in questa regione: i vari gruppi islamisti militanti locali, infatti, hanno celebrato la vittoria dei talebani, presentandola come un modello da seguire.
Il conflitto nel Sud: la crisi umanitaria e gli scontri a Daraa
Le operazioni militari delle forze governative si sono concentrate nella zona di Daraa, localizzata al confine con la Giordania. Tale territorio è amministrato dall’autorità centrale sotto gli auspici del cosiddetto accordo di riconciliazione, siglato tra forze governative e ribelli a seguito dell’offensiva militare che ha riportato questa zona sotto il controllo di Damasco a giugno 2018. Secondo tale accordo, ottenuto grazie alla mediazione russa, le milizie avrebbero dovuto consegnare al regime le armi medie e pesanti e consentire il graduale ingresso delle forze governative nella regione, in cambio di alcune garanzie. I punti principali dell’accordo includono la parziale autonomia amministrativa di alcune zone, l’integrazione di alcuni combattenti ribelli nell’esercito siriano, una generale amnistia nei confronti della popolazione civile e, soprattutto, la ripresa delle attività economiche e dei servizi. In questo nuovo contesto politico ed economico diversi siriani avevano ripreso possesso delle loro abitazioni. Tuttavia, lo stato siriano non è riuscito a fornire sicurezza e servizi alla popolazione e le proteste sono tornate in tutta la regione a partire da marzo 2019. Nei mesi successivi le truppe fedeli ad al-Assad non sono riuscite a ottenere il graduale controllo di alcune zone, come prevedeva l’accordo, a causa della cronica mancanza di soldati e della crisi economica. Tale vuoto di potere ha permesso ad alcune milizie ribelli ancora attive di ottenere gradualmente un’influenza maggiore di quella del governo in alcune porzioni di territorio.
La situazione si è ulteriormente aggravata nel 2020, quando sono scoppiate delle proteste che hanno coinvolto ampi settori della popolazione della regione di Daraa. Tali manifestazioni sono avvenute anche in altre zone della Siria e si spiegano in parte con la gravissima situazione economica, sociale e umanitaria,[2] che coinvolge ormai tutte le classi sociali ed economiche, anche quelle fedeli al regime siriano. La Siria registra un tasso di povertà ormai vicino al 90% ed è stimato che l’incremento dell’inflazione per i generi alimentari abbia raggiunto il 236% nel 2020.[3] A tale malessere economico, si aggiungono diversi fattori specifici della zona di Daraa, come l’assenza di servizi pubblici e di condizioni minime di sicurezza, che favoriscono la proliferazione di gruppi armati.
In questo contesto, il governo siriano ha dovuto organizzare una serie di operazioni militari per riprendere il controllo della regione e ha adottato decisioni che si sono rivelate impopolari tra la popolazione nel 2020 e nel 2021. Le operazioni militari, concentrate in alcune città che erano ormai sfuggite al controllo del regime, sono state variamente affrontate dai gruppi ribelli attivi in queste zone. In alcuni casi le forze del regime hanno potuto ottenere il controllo senza particolari difficoltà, in altre hanno dovuto combattere contro vari gruppi di insorti, in altre ancora le forze armate hanno dovuto mettere sotto assedio le zone abitate o alcuni quartieri. La situazione peggiore dal punto di vista umanitario è stata la zona di Daraa al-Balad, dove gli scontri tra forze governative e gruppi armati che si oppongono all’accordo hanno costretto 38.000 cittadini a lasciare la regione.[4] Dopo mesi di scontri, le parti hanno raggiunto un accordo per il cessate-il-fuoco a partire dal 6 settembre[5] e concordato una serie di decisioni per arrivare a una pacificazione dell’area.[6] La tenuta di questo compromesso andrà verificata nel periodo a venire.
La rilevanza della zona sud è legata anche agli interessi divergenti dell’Iran e della Russia nell’area.[7] Da una parte, l’Iran punta ad aumentare la sua influenza nella zona, che Teheran considera come una zona strategica per la sua vicinanza con Israele e il sud del Libano, dove opera il suo alleato Hezbollah. Dall’altra la Russia punta a rafforzare il suo ruolo di potenza regionale, offrendo rassicurazioni ai paesi vicini che temono l’influenza iraniana in Siria, in particolare Israele. La mediazione della Russia si spiega perciò come un tentativo di rafforzare il governo centrale per impedire che le milizie legate a Teheran riescano a ritagliarsi uno spazio di manovra nella regione. In questo contesto, il regime siriano, ormai sempre più debole, deve mediare tra interessi divergenti, concedendo ai suoi alleati spazi di manovra e di decisione che dovrebbero essere prerogativa del governo.
Le aree non controllate da Damasco: l’opposizione armata nel nord-ovest e le Sdf nel nord-est
Sul piano militare, il nord-ovest della Siria sta sperimentando una fase particolarmente delicata – con un’intensificazione degli attacchi da parte del regime di Assad e delle forze che lo sostengono, che si sono concentrati nel governatorato di Idlib. Già nei mesi primaverili si era osservata un’escalation di questi attacchi, che però si è fatta ancor più evidente con il mese di giugno – in coincidenza con le discussioni in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in relazione al rinnovo degli aiuti transfrontalieri. A questo proposito, si segnala che nel mese di luglio, tramite una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, è stato infine approvato un rinnovo del meccanismo che prevede il passaggio di aiuti umanitari attraverso il valico di Bab al-Hawa (al confine con la Turchia).[8]
L’escalation ha provocato un aggravamento della già allarmante situazione umanitaria. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr) – considerando sia la regione nord-occidentale del paese, sia le zone di Tall Abyad e Ras al-Ayn (più a est, al confine con la Turchia) – nel solo mese di luglio sono stati uccisi nei bombardamenti 42 civili, tra cui 27 bambini, mentre 89 sono rimasti feriti.[9] A causa di questa nuova ondata di attacchi, anche la situazione relativa ai civili sfollati si è ulteriormente deteriorata, con oltre 43.000 sfollamenti nel solo mese di giugno – la cifra più elevata dal marzo 2020, quando era stato istituito un cessate-il-fuoco mediante un accordo turco-russo. Attualmente, vi sono complessivamente 2,8 milioni di sfollati nel nord-ovest della Siria.[10] Ulteriori attacchi sono segnalati anche al di fuori della zona di Idlib. Tra gli attacchi più gravi avvenuti negli ultimi mesi, in particolare, vi è il bombardamento dello scorso giugno ai danni di un ospedale ad Afrin, nel nord del governatorato di Aleppo (in una zona controllata dalle forze turche e dall’Esercito nazionale siriano, composto da gruppi dell’opposizione filoturca). Questo attacco – la cui responsabilità non è stata acclarata – ha provocato ulteriori tensioni tra le forze turche e filoturche e le Forze democratiche siriane (Sdf) a maggioranza curda.
Per quanto concerne le dinamiche relative agli attori locali, finora si registra una certa continuità con gli sviluppi emersi negli ultimi anni. Nel nord-ovest della Siria (soprattutto nel nord del governatorato di Idlib e in alcune aree limitrofe), il gruppo dominante è Hayat Tahrir al-Sham. Le azioni intraprese da Hts sembrano essenzialmente orientate verso due scopi: (a) consolidare ulteriormente la propria presa nella regione; (b) proporsi come interlocutore a livello internazionale. Gli eventi più recenti possono essere interpretati proprio tenendo conto di questi aspetti. Da un lato, le comparse mediatiche del leader di Hts, Abu Muhammad al-Jawlani – come la sua recente intervista per un documentario della PBS – testimoniano la sua volontà di distanziarsi dal “marchio” di al-Qaeda e del jihadismo globale. Dall’altro lato, la pressione che esercita su altri piccoli gruppi jihadisti operanti nell’area[11] – che vengono smantellati e/o sono soggetti ad arresti – non testimonia solo la già citata ricerca di legittimità a livello internazionale, ma anche il tentativo di consolidare ulteriormente il proprio potere nell’“enclave” nord-occidentale di Idlib, marginalizzando o eliminando le componenti non disposte a integrarsi.
Si segnala poi che la vittoria dei talebani in Afghanistan ha avuto un’ampia risonanza anche nell’area di Idlib, ed è stata celebrata dagli attori militanti locali, tra cui Hts. In particolare, tali attori interpretano quanto accaduto in Afghanistan come una vittoria contro quelli che loro chiamano “invasori” e i loro “agenti”, e auspicano che degli sviluppi in qualche modo analoghi avvengano anche in Siria, con la sconfitta del governo di Assad e delle forze che lo sostengono.[12]
Nel nord della Siria, permangono tensioni tra le Sdf, coalizione a maggioranza curda, e le forze legate alla Turchia, con scontri periodici. In particolare, come già osservato, il bombardamento all’ospedale di Afrin ha accresciuto tali tensioni: le forze turche hanno accusato le Sdf e il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) di aver perpetrato l’attacco, effettuando dei bombardamenti di rappresaglia a Tall Rifat, a est di Afrin, mentre le Sdf e il Pkk hanno negato il proprio coinvolgimento. Ulteriori episodi di tensione si sono manifestati in questi mesi.
Nel nord-est della Siria, sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma (istituita dal Partito dell’Unione democratica curdo), le Sdf si sono trovate a dover affrontare un crescente malcontento, soprattutto dopo le elezioni presidenziali siriane dello scorso maggio. Infatti, nelle aree a maggioranza araba – specialmente in centri come Manbji – si sono tenute delle proteste, sfociate nella violenza con l’uccisione di diversi manifestanti. Le ragioni alla base di questa insofferenza sono molteplici: la coscrizione obbligatoria, introdotta già nel 2014 dalle Sdf; le difficili condizioni economiche, a cui si somma l’aumento dei prezzi di alcuni beni essenziali, tra cui il carburante; infine, più in generale, le pratiche politiche delle Sdf, considerate discriminatorie dalla componente araba della popolazione locale.
Per quanto concerne la presenza militare statunitense in Siria, sembrerebbe confermata – perlomeno per il futuro prossimo – la permanenza dei circa 900 soldati stazionati nel nord-est del paese, a sostegno delle Sdf.[13] Tuttavia, in seguito a quanto accaduto in Afghanistan, è plausibile che le Sdf nutrano timori in relazione a un ipotetico disimpegno statunitense.
[1] B. McKernan “Syria civil war: More than 320,000 people flee fighting in Deraa in 'largest displacement yet'”, Independent, 6 luglio 2018.
[2] “The Impact of COVID-19 on Poverty in Syria”, The Borgen Project.
[3] World Food Programme (WFP), “Twelve million Syrians now in the grip of hunger, worn down by conflict and soaring food prices”, 17 febbraio 2021.
[4] United Nations, Civilians in southern Syria ‘under siege’ – UN human rights chief, UN News Global perspective Human stories, 5 agosto 2021.
[5] “Implementation of ceasefire agreement begins in Syria’s Daraa”, North press agency (npasyria.com), 6 settembre 2021.
[6] “Implementation of the ‘Daraa Al-Balad’ ceasefire agreement begins”, Archyde, 1 settembre 2021
[7] A. Tokmajyan, How Southern Syria Has Been Transformed Into a Regional Powder Keg, Carnegie Middle East Center - Carnegie Endowment for International Peace, 14 luglio 2020.
[8] United Nations, Security Council Extends Use of Border Crossing for Humanitarian Aid into Syria, Unanimously Adopting Resolution 2585 (2021), 9 luglio 2021.
[9] UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), Recent Developments in Northwest Syria and RAATA - Situation Report No. 29 - July 2021 - Syrian Arab Republic.
[10] “Deadly Afrin Hospital Attack as Violence Flares in the Northwest”, COAR, 21 giugno 2021.
[11] S. al-Kanj, “Syrian jihadi groups crack down on rivals in Idlib”, Al-Monitor, 18 luglio 2021.
[12] S. al-Knj e A. Zaman, “Syrian jihadis hail Taliban ‘conquest’ despite their own effort to rebrand”, Al-Monitor, 23 agosto 2021.
[13] B. Seligman, “Troops to stay put in Syria even as Biden seeks to end America’s ‘forever wars’”, Politico, 27 luglio 2021.