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Focus Mediterraneo allargato n.18

Siria: stallo apparente e incertezze sul futuro

Silvia Carenzi
|
Matteo Colombo
08 febbraio 2022

In apparenza il 2021 è stato un anno meno violento rispetto ai precedenti. Dal punto di vista territoriale non ci sono cambiamenti sostanziali rispetto al 2020 per quanto riguarda le aree controllate dalle forze governative e dai vari gruppi armati che si oppongono a Bashar al-Assad. Non ci sono state operazioni militari che hanno coinvolto un gran numero di combattenti. A causa dell’assenza di scontri, il numero di vittime del conflitto è stato più basso rispetto agli anni precedenti (3.746 vittime)[1]. Tuttavia, le mappe e i bollettini del conflitto raccontano soltanto una parte della realtà siriana. Il paese è afflitto da una grave crisi economica e umanitaria da più di un decennio, ma un ulteriore peggioramento in questo senso si è avuto in quest’ultimo anno. Nel 2021 il numero di persone tra la popolazione siriana che deve far fronte alle pesanti difficoltà economiche e alla grave carenza di servizi pubblici in tutto il paese si è fatto decisamente più consistente. Ma il 2021 è anche l’anno in cui si è assistito a un generale miglioramento delle relazioni diplomatiche tra il governo siriano e alcuni governi della regione mediorientale, che hanno ripreso il dialogo con Assad. Tali cambiamenti diplomatici, dunque, potrebbero portare a una riabilitazione di Damasco da parte di svariati paesi della regione nel 2022. Infine, ci si interroga su quale possa essere il futuro della Siria e delle diverse “macrozone” che compongono il paese.

 

Damasco: crisi economica e rapporti con paesi terzi

Le dinamiche interne al regime siriano degli ultimi tre mesi non differiscono rispetto a quelle emerse durante l’intero 2021. Bashar al-Assad è ormai riuscito ad assicurarsi la sopravvivenza politica grazie al sostegno dei suoi alleati, una violenta repressione del dissenso e il mantenimento di un brutale e capillare apparato di sicurezza. Tale sistema di potere è però difficilmente sostenibile nel medio-lungo periodo, dal momento che necessita di risorse umane ed economiche di cui il regime siriano attualmente non dispone. Da una parte, il calo della popolazione e l’assenza di controllo di varie zone del paese da parte di Assad rendono impossibile il reclutamento di soldati in ampie zone della Siria. Dall’altro, la grave crisi economica ha determinato un peggioramento delle condizioni di vita dei siriani e quindi della base fiscale disponibile. A settembre 2021 la lira siriana aveva perso il 30% del suo valore rispetto all’anno precedente[2], dopo avere già subito un calo notevole del suo valore ufficiale negli anni precedenti (-714% tra il 2011 e il 2016 e -750% tra il 2019 e il 2020[3]). La dipendenza del paese dalle importazioni straniere, a causa della quasi totale assenza di produzione interna, ha portato a un aumento dell’inflazione, che ha eroso la disponibilità finanziaria dei siriani. Per molte categorie di lavoratori lo stipendio è ormai insufficiente ad acquistare beni di prima necessità[4]. Il governo sta cercando di migliorare la situazione aumentando gli stipendi pubblici e riducendo l’inflazione, ma tale sforzo risulta ancora insufficiente. Il World Food Programme stima che nel 2021 circa 12,8 milioni di siriani (il 60% della popolazione) faticano a procurarsi i generi alimentari[5]. Tale numero è aumentato di 4,5 milioni di unità rispetto all’anno precedente.

Negli ultimi mesi il governo siriano sta cercando di reperire i fondi necessari alla propria sopravvivenza politica in tutti i modi possibili, anche all’interno della coalizione che ha sostenuto Assad negli ultimi anni. Una delle strategie più recenti è quella di riuscire ad appropriarsi dei fondi di aziende che operano in Siria, comprese quelle che tradizionalmente intrattenevano buone relazioni con il governo. Ad esempio, le due principali compagnie telefoniche del paese (Mtn e Syriatel) sono state colpite dal governo per reperire fondi[6]. Tali decisioni stanno creando negli investitori nazionali e internazionali un clima di incertezza, che potrebbe ulteriormente peggiorare le prospettive economiche del paese. La quasi totale assenza di investimenti privati si tradurrebbe, infatti, in un circolo vizioso che rischierebbe di peggiorare le prospettive di crescita del paese nel medio termine, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza del regime. L’abbandono della Siria da parte delle aziende private avrebbe come conseguenza quella di aumentare la disoccupazione e la povertà nelle zone controllate da Assad. Occorre considerare il costo indiretto di tale strategia. La ricostruzione del paese richiede fondi ingenti, che le Nazioni Unite nel 2017 avevano stimato in almeno 250 miliardi di dollari[7]. Il governo non sarebbe in grado di pagare tale cifra e dovrà inevitabilmente rivolgersi a investitori privati, che però potrebbero decidere di non operare nel paese a causa del clima di incertezza determinato dalle decisioni arbitrarie del governo.

Nell’ultimo periodo, una progressiva ripresa e il miglioramento delle relazioni diplomatiche tra la Siria e alcuni dei suoi nemici degli anni precedenti hanno caratterizzato la vita politica del paese. Diversi capi di stato, a livello ufficiale o non ufficiale, considerano adesso il presidente siriano come un interlocutore legittimo, dopo aver per anni cercato un cambio di regime. Da questo punto di vista è stata particolarmente significativa la visita del ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, paese in precedenza schierato per parecchio tempo contro il regime siriano[8]. Anche la Siria e la Giordania hanno ripreso le relazioni diplomatiche negli scorsi mesi, in seguito a un colloquio telefonico tra il re di Giordania Abdallah e il presidente siriano Assad[9]. Sembra inoltre che anche l’Arabia Saudita potrebbe riprendere le relazioni con Assad. Tali sviluppi diplomatici potrebbero addirittura portare a una reintegrazione della Siria a membro della Lega Araba, a partire dal prossimo incontro a marzo 2022[10]. Diverse fonti sostengono che sarebbe ormai caduto il veto di numerosi stati e che la normalizzazione dei rapporti tra Damasco e altri paesi della regione potrebbe essere vicina. Tra coloro invece ostili ad Assad rimane Israele, che continua a portare avanti operazioni militari in territorio siriano per ridurre l’influenza dell’Iran. A dicembre 2021 alcuni aerei da combattimento israeliani avrebbero colpito il porto di Latakia, causando ingenti danni[11].

 

Il nord della Siria “tripartito”: una situazione congelata?

Nel nord della Siria, sostanzialmente, si possono distinguere tre “macro zone”. La prima – rappresentata dal governatorato di Idlib e da una piccola fascia del governatorato di Aleppo – è sotto il controllo del gruppo islamista militante Hayat Tahrir al-Sham (Hts, un tempo affiliato ad al-Qaida, e successivamente distaccatosi). L’amministrazione civile locale è prerogativa del Governo di salvezza siriano (Ssg), sostenuto da Hts. Una seconda macrozona, poi, è rappresentata da due sacche territoriali a ridosso con il confine turco, rispettivamente nel nord-ovest e nel nord-est del paese, in cui è presente l’Esercito nazionale siriano (Sna), variegata coalizione filo-turca che comprende vari gruppi dell’opposizione armata. Infine, vi è una terza macrozona: buona parte del nord-est è controllata dall’ente noto come Amministrazione autonoma della Siria del nord-est, avente come braccio militare le Forze democratiche siriane (Sdf) – coalizione dominata dalle Unità di protezione popolare (Ypg) curde. Tali forze sono attive anche in una piccola striscia di territorio nel nord-ovest.

Nell’area di Idlib la tregua stipulata da Turchia e Russia nel marzo 2020 sembra complessivamente resistere, a dispetto delle ripetute violazioni. Nel corso dell’ultimo anno, e soprattutto a partire dalla primavera-estate, l’offensiva delle forze governative e dei suoi alleati nel nord-ovest si è intensificata; uno dei più gravi attacchi del 2021 è avvenuto presso la cittadina di Ariha nel mese di novembre[12].

Per quanto concerne le dinamiche interne, analogamente a quanto già avvenuto diverse altre volte in passato, Hts – nel tentativo di consolidare ulteriormente il proprio controllo sul territorio e di legittimarsi internazionalmente – negli scorsi mesi ha represso altri piccoli gruppi jihadisti, tra cui Jundallah. Parallelamente, anche negli ultimi mesi – come in passato – si sono registrati attacchi statunitensi che hanno colpito varie figure considerate legate ad al-Qaeda in Siria, e specialmente al gruppo che si presenta come il suo affiliato locale, Hurras al-Din. Per quanto riguarda l’amministrazione locale, a ottobre, a Idlib vi sono state delle proteste da parte dei residenti, che lamentavano un deterioramento delle condizioni di vita, l’inflazione e un rincaro del cibo e di beni quali il carburante[13]. Nell’ultimo periodo, proprio per accrescere il sostegno da parte della popolazione locale e continuare nel proprio processo di “istituzionalizzazione”, Hts e il Ssg stanno cercando di promuovere progetti di sviluppo in vari settori, così come investimenti nell’ambito delle infrastrutture. Un esempio in tal senso è dato dalla recente inaugurazione della nuova autostrada Bab al-Hawa-Aleppo, alla presenza del leader di Hts, Abu Muhammad al-Jawlani.

Anche nelle altre macrozone, nel complesso, la situazione può dirsi sostanzialmente “congelata” al momento. Si segnalano diverse sfide nonché criticità sul piano della sicurezza – legate a problematiche presenti da tempo, ma che nell’ultimo periodo si sono accentuate.  Innanzitutto, gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da nuovi scontri e attacchi che hanno coinvolto le Sdf e le forze filo-turche sia nel nord-est sia nel nord-ovest della Siria. In particolare, in seguito a un attacco missilistico ai danni di un convoglio turco nel governatorato di Aleppo, e del contrattacco da parte delle forze turche, si temeva un’escalation che potesse sfociare in un nuovo intervento militare da parte di Ankara contro le Sdf. Tuttavia, questa possibile nuova offensiva non si è concretizzata ed è stata “sospesa” per il momento, presumibilmente in seguito alle pressioni esercitate dagli Stati Uniti e dalla Russia[14].

Nel governatorato di Deir ez-Zor (controllato in parte dalle forze governative e in parte dall’Amministrazione autonoma), il regime sta tentando di promuovere degli accordi di riconciliazione anche nei confronti degli individui che risiedono nelle aree sotto il controllo delle Sdf – una mossa che gli consentirebbe di rafforzare il proprio potere anche in questa regione. Nel fare ciò, da un lato Damasco sta sfruttando il malcontento della popolazione araba nei confronti dell’Amministrazione autonoma – emerso nell’ondata di manifestazioni dello scorso maggio-giugno e più recentemente a dicembre in una serie di proteste presso Deir ez-Zor[15]. Dall’altro lato, il regime sta anche facendo leva sui delicati equilibri militari della regione e sul fatto che le Sdf sono sotto pressione, temendo un intervento turco.

Altri attori non statuali presenti nella regione hanno recentemente intensificato le proprie attività. In particolare, a inizio gennaio, alcune milizie filo-iraniane hanno attaccato alcuni obiettivi statunitensi nell’est della Siria, nell’ovest dell’Iraq e a Baghdad, tra cui la base militare delle Sdf “Green Village”, che ospita anche personale statunitense. Sono seguiti dei contrattacchi. Tali sviluppi – ossia gli attacchi reciproci tra milizie filo-iraniane e le forze statunitensi in Siria – non rappresentano qualcosa di nuovo, bensì il proseguimento di un trend che è emerso già lo scorso anno, ma intensificatosi soprattutto da giugno. Queste milizie, infatti, nel corso degli ultimi anni hanno cementato una forte presenza nella zona al confine tra Siria e Iraq, soprattutto nei pressi della cittadina irachena di al-Qaim, situata lungo la frontiera[16].

Sempre nell’est della Siria, negli ultimi due mesi si è registrata anche un’escalation degli attacchi del sedicente Stato islamico (IS) ai danni delle Sdf e di quegli individui che considera come “collaborazionisti” e complici delle Sdf; parallelamente, i miliziani di IS hanno anche consolidato le attività di estorsione nei confronti della popolazione locale. Questa recente escalation ha riguardato soprattutto la parte orientale del governatorato di Deir Ez-Zor[17] (quella controllata dalle Sdf), dove IS può sfruttare criticità quali le tensioni tra le Sdf e il regime e le precarie condizioni di sicurezza.

Altre problematiche e sfide, poi, riguardano la questione dei campi profughi e dei centri di detenzione della regione, in cui sono rinchiusi presunti miliziani (o ex miliziani) di IS e i loro familiari. Qui la situazione appare molto critica a causa di un intreccio di fattori: le violenze da parte delle componenti più oltranziste nei campi profughi dove, inoltre le condizioni igieniche e umanitarie sono decisamente allarmanti, nonché le incognite per quanto riguarda il rimpatrio dei cittadini stranieri. Lo scorso mese di ottobre, la Germania e la Danimarca hanno rimpatriato (complessivamente) dal campo di al-Roj 11 donne accusate di aver legami con IS e i loro 37 figli[18], ma – nell’insieme – ai paesi europei manca ancora una linea comune e univoca per la gestione dei rimpatri. Infine, per quanto riguarda i centri di detenzione, a novembre si è registrato un tentativo di attacco ai danni della prigione di Sinaa, probabilmente per liberare i detenuti, tra cui migliaia di miliziani di IS[19] – tentativo che, seppur fallito, evidenzia significative criticità in relazione al quadro di sicurezza locale.

NOTE:

[1] SOHR, SOHR: Death toll of Syrian war records lowest tally in 2021, 23 dicembre 2021.

[2] World Food Program, Syria Country Office Market Price Watch Bulletin Issue 80, July 2021 - Syrian Arab Republic.

[3] H. Chokr, “Mapping the Depreciation of the Syrian Lira | Middle East Centre”, LSE Blogs, 1 aprile 2021.

[4] Z. Masri, “In Syria, price hikes precede salary raises diminishing their impact and increasing inflation”, Enab Baladi, 3 gennaio 2022.

[5] UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), Syrian Arab Republic, Global Humanitarian Overview 2022.

[6] G. Miller e L. Sly, “Bashar al-Assad's Syrian regime tightens economic grip by raiding, seizing businesses”, Washington Post, 4 dicembre 2021.

[7] ONU, “'No preconditions' accepted from Syrian parties, UN envoy says ahead of Geneva talks”, UN News, 27 novembre 2021.

[8] “UAE foreign minister meets Syria's Assad, US slams visit to 'dictator'”, France24,10 novembre 2021.

[9] S. Al-Khalidi, “Jordan's Abdullah receives first call from Syria's Assad since start of conflict”, Reuters, 4 ottobre 2021.

[10] R. Ziadeh, Rehabilitation of the Assad Regime, Arab Center Washington DC, 15 dicembre 2021.

[11] Reuters, “Israel hits Syrian port for second time this month - Syrian army”, 28 dicembre 2021.

[12] J. Malsin e N. Osseiran, “Syrian Regime Shelling Kills at Least 13, Including Children, in Rebel-Held Province”, Wall Street Journal, 20 ottobre 2021.

[13] K. al-Khateb, “Protests break out in Syrian city controlled by jihadist faction”, Al Monitor, 21 ottobre 2021.

[14] International Crisis Group, CrisisWatch, Syria, ottobre 2021 e novembre 2012.

[15] COAR, Weekly Syria Update Digest, 13 dicembre 2021.

[16] S. Kittleson, “Coalition hits back at Iran-backed groups”, Al Monitor, 6 gennaio 2022.

[17] S. al-Kanj, “Islamic State ramps up activities in eastern Syria”, Al Monitor, 6 gennaio 2022.

[18] “Syria: Germany and Denmark repatriate women and children from al-Roj camp”, Middle East Eye, 7 ottobre 2021.

[19] S. Kittleson, “Attack on Syrian prison holding Iraqi Islamic State captives raises concerns”, Al Monitor, 16 novembre 2021.

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AUTORI

Silvia Carenzi
Scuola Normale Superiore, Scuola Superiore Sant'anna eISPI
Matteo Colombo
Clingendael e ISPI

Image credits IHH Humanitarian Relief Foundation (CC BY-NC-ND 2.0)

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