Washington e Londra sembrano determinati ad attuare in tempi brevi azioni militari contro il regime di Bashar Assad anche in assenza di prove documentate dagli esperti dell’Onu presenti a Damasco circa l’impiego su vasta scala di armi chimiche da parte delle forze lealiste siriane. Più che sui responsi dei team del Palazzo di Vetro gli anglo-americani sembrano affidarsi ai report dell’intelligence, in stretto contatto con i servizi d’informazione israeliani e che hanno già indotto l’Amministrazione Obama ad accusare Damasco. Le oggettive difficoltà a ottenere un ampio mandato delle Nazioni Unite che autorizzi l’uso della forza a causa del veto che verrebbe posto da Mosca impongono di privilegiare opzioni militari blande e dal valore simbolico.
Le indiscrezioni sembrano confermare i piani anglo-americani per raids punitivi affidati ai missili da crociera Tomahawk imbarcati su quattro cacciatorpediniere statunitensi e un sottomarino britannico schierati nel Mediterraneo. Un attacco che prenderebbe presumibilmente di mira centri di comando e controllo, sedi del governo e degli organismi d’intelligence di Damasco. Altre incursioni potrebbero essere affidate ai bombardieri “invisibili” B-2 Spirit costruiti con tecnologie “stealth” per sfuggire ai radar e ai britannici Tornado armati di missili da crociera Storm Shadow già utilizzati con successo a Bassora (Iraq) nel 2003 e in Libia due anni or sono. A questo proposito sono filtrate voci di una crescente attività nella base aerea britannica di Akrotiri, a Cipro, a pochi minuti di volo dalle coste siriane. Considerando le pressioni che da tempo esercita caldeggiando un intervento internazionale, è plausibile che anche Parigi voglia giocare un ruolo partecipando ai raids probabilmente con i cacciabombardieri Rafale armati di missili da crociera Scalp. Anche nelle incursioni affidate alle forze aeree si impiegherebbero con ogni probabilità armi a lungo raggio, lanciabili senza esporre i velivoli alle batterie missilistiche della difesa aerea siriana gestite con la consulenza di personale russo.
L’altra opzione “morbida” è rappresentata dal potenziamento degli aiuti ai ribelli siriani, già in atto da un paio di settimane e abbinabile a un attacco di proporzioni (e con ambizioni) limitate. Dal 17 agosto nel sud della Siria sono stati segnalati in azione i primi reparti dell’Esercito siriano libero addestrati in Giordania dai consiglieri militari statunitensi mentre dal 23 il confine turco-siriano sarebbe stato attraversato da 400 tonnellate di armi e munizioni fornite ai ribelli da sauditi ed emirati del Golfo. Eventuali raids potrebbero determinare un forte incremento degli aiuti russi, cinesi e iraniani a Damasco, inclusa la fornitura di missili S-300, efficaci contro aerei e missili da crociera, che Mosca ha venduto ma non ancora consegnato ad Assad e considerati una minaccia diretta da Israele.
Opzioni più impegnative sul piano dell’intensità dell’intervento militare, dei mezzi impiegati, dei costi da sostenere e della durata delle operazioni sembrano meno probabili anche se a Washington l’opposizione repubblicana incalza l’Amministrazione Obama proprio sull’interventismo in Siria. Il senatore repubblicano John McCain ha definito "improbabile" che il team di esperti Onu conduca un'indagine completa sul presunto uso di armi chimiche. "Ma noi non abbiamo bisogno del loro responso" ha aggiunto McCain avvertendo che "se gli Usa non prenderanno decisioni concrete, che non riguardano soltanto il lancio di qualche missile, la nostra credibilità nel mondo sarà ancora più indebolita, ammesso che ne abbiamo ancora".
L’ipotesi di istituire una no-fly zone sulla Siria o su una parte del territorio (lungo i confini turco e giordano) potrebbe trovare una giustificazione nella pretesa di impedire al regime di impiegare i suoi velivoli, vettori anche di armi chimiche, ma richiederebbe uno sforzo militare prolungato e soprattutto una violenta campagna aerea preventiva per distruggere le difese aeree siriane che dispongono ancora di centinaia di missili, decine di radar e almeno 150 jet da combattimento. Un’operazione che ricadrebbe per la sua complessità soprattutto sulle spalle degli Stati Uniti e degli alleati europei, richiederebbe una lunga pianificazione e lo schieramento di ingenti forze aeree in Giordania e Turchia, Paesi che potrebbero subire le rappresaglie di Assad con il lancio di centinaia di missili balistici a corto raggio in parte dotati di testata chimica.
Da tempo invocata da turchi, francesi e sauditi, la no-fly zone potrebbe venire implementata con un blocco navale alle coste siriane per impedire l’afflusso di rifornimenti al regime e con l’impiego dei jet per fornire appoggio tattico alle milizie ribelli favorendone così’ l’avanzata come avvenne nella campagna aerea della Nato in Libia. Un attacco di simili proporzioni vedrebbe con ogni probabilità una dura reazione russa e iraniana.
Il parallelo con la guerra del Kosovo del 1999, più volte evocato dai media, appare riduttivo poiché nel conflitto balcanico furono sufficienti 78 giorni di raids aerei della Nato per indurre i serbi a ritirarsi dalla provincia contesa. Improbabile invece una resa del regime siriano così come l’ipotesi che i ribelli possano vincere da soli la guerra o con il solo supporto aereo alleato. Certo un’invasione della Siria simile all’operazione Iraqi Freedom del 2003 è già stata esclusa da Washington non solo per ragioni politiche ma anche perché è stata ampiamente scoraggiata dal generale Martin Dempsey alla testa degli stati maggiori riuniti. La costituzione di una robusta coalizione arabo-occidentale potrebbe però creare i presupposti per un intervento terrestre che non contraddica la strategia obamiana del “leading from behind”. Un’operazione bellica che vedrebbe sul terreno l’intervento di nutriti contingenti turchi e arabi mentre statunitensi ed europei metterebbero in campo aerei, elicotteri, droni, supporto d’intelligence e forze speciali. In ogni caso uno scenario di conflitto ad alta intensità che potrebbe avere effetti devastanti su tutto il Medio Oriente.
* Gianandrea Gaiani, Giornalista, Analisi Difesa
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