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Lavoro
Smart working: di necessità virtù
Giovanna Labartino
20 novembre 2020

L’emergenza sanitaria ha costretto molte imprese ad adottare, in tempi brevissimi, forme di smart-working (lavoro agile). Si tratta di un’espressione entrata ormai nell’uso comune, che si riferisce a modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato senza precisi vincoli di orario o di luogo: l’attività lavorativa può svolgersi in tutto o in parte all’esterno dei locali aziendali, anche senza postazione fissa, eventualmente con ausilio di strumenti telematici.  

Il lavoro agile era già stato regolato nel 2017 ma il Governo è intervenuto a inizio dell’emergenza COVID-19 eliminando temporaneamente alcuni vincoli normativi (la sospensione è poi stata prorogata fino alla fine dell’anno) con l’obiettivo di ridurre al massimo contatti e spostamenti non necessari.

 

Come era la situazione in Italia prima dell’emergenza? 

Un’indagine condotta da Confindustria in luglio e che ha coinvolto oltre 2000 imprese rivela che un quinto dei dipendenti delle aziende interpellate aveva lavorato in smart working. Un bel salto, se si pensa che secondo dati Eurostat, nel 2019 in Italia il 95,4% dei lavoratori non aveva mai lavorato da casa – a fronte dell’87,4% in Germania, del 77,2% in Francia e dell’85,0% nella media dell’Eurozona.

 

Cosa sappiamo degli smart workers? 

Secondo un’indagine condotta nel 2019 dall'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano su un campione rappresentativo della popolazione di impiegati, quadri e dirigenti gli smart workers si stimavano essere 570mila (in crescita del 20% rispetto alla stessa indagine nell’anno precedente). Nel 2020 funestato dalla pandemia, le cose sono radicalmente cambiate: durante il lockdown circa 6,6 milioni di lavoratori hanno sperimentato il lavoro agile. È interessante notare che sono state coinvolte anche professionalità tipicamente ritenute incompatibili con questo modello di lavoro: basti pensare che nel 17% delle grandi imprese intervistate è stato applicato il lavoro da remoto anche a operai specializzati, digitalizzando l'accesso ai macchinari. 

 

Cosa succederà in futuro?

Quando l’emergenza sanitaria sarà passata, i lavoratori e le imprese quasi certamente non torneranno indietro – non del tutto, almeno – e assisteremo a un incremento della possibilità di svolgere il proprio lavoro in maniera agile. Lo smart working “d'emergenza” ha fatto superare molti pregiudizi, ed è stata l’occasione per migliorare le competenze digitali e ripensare molti processi aziendali. Del resto, i dati 2019 dell’Osservatorio smart working, sopra citato, mostravano che i dipendenti in smart working sono più soddisfatti del proprio lavoro (76% rispetto al 55% di coloro che lavorano in modalità tradizionale) e dichiarano un legame più forte con la propria impresa (71% rispetto al 56%). I lavoratori “agili” riescono a conciliare meglio vita privata e vita professionale, evitano lo stress di raggiungere i luoghi di lavoro negli orari di punta. Ciò incrementa la produttività e contribuisce a decongestionare le città con un impatto positivo anche sulla sostenibilità ambientale.

Ma un lavoro (più) agile porta con sé anche dei rischi, che possono essere legati ai problemi tecnologici, al mantenimento di una adeguata work-life balance e alla necessità di strategie manageriali e di gestione del personale adeguate, tali da garantire la circolarità dell’informazione (soprattutto di tipo “soft”) e una ripartizione adeguata dei carichi di lavoro; si dovrà anche fare in modo che le attività più innovative non vengano sacrificate rispetto a quelle più di routine. 

Il lavoro agile, ovviamente, non potrà mai sostituire totalmente le modalità tradizionali di lavoro, neanche nei settori high-tech. La prossimità fisica delle persone e le interazioni “faccia a faccia” sono infatti fondamentali per la produzione di nuove idee. La diffusione resterà comunque più ampia nei servizi, e interesserà prevalentemente impiegati, quadri e dirigenti. 

Per massimizzare i vantaggi dello smart working le imprese dovranno adottare policy organizzative e gestionali nuove. In questi investimenti, il sistema produttivo va sostenuto, anche oltre l’attuale l’emergenza, perché sfruttare al meglio il potenziale degli smart workers è una delle partite da vincere per modernizzare il Paese e ritornare a crescere.

 

*Le opinioni espresse nell’articolo sono responsabilità dell’autore e non riflettono necessariamente quelle dell’organizzazione di appartenenza.

 
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Geoeconomia Italia
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AUTORI

Giovanna Labartino
Confindustria

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