Prima della crisi globale generata dal Covid, l’OCSE stimava che l’attività economica mondiale che utilizza risorse marine e costiere (l’economia degli oceani) sarebbe raddoppiata fra il 2010 e il 2030, crescendo a un ritmo ben più elevato di quello del resto dell’economia globale, trainata dall’innovazione tecnologica come dai bisogni crescenti di energia, cibo e risorse di una popolazione mondiale in espansione. Nell’oceano non si sono solo intensificate attività tradizionali come la pesca, ma si è sviluppata anche una pletora di nuove attività economiche: dall’energia eolica off-shore, il settore petrolifero e del gas off-shore, all’acquacultura e la maricoltura, alle biotecnologie marine, come quelle che impiegano risorse e microorganismi marini a fini farmaceutici.
L’economia degli oceani dei Paesi avanzati e in via di sviluppo
In un recente rapporto dell’OCSE[1] analizziamo quali siano le implicazioni globali di questi sviluppi, e in particolare per i Paesi a reddito medio e basso[2]. Il rapporto analizza anche quale possa essere il ruolo della comunità internazionale affinché a livello mondiale si possa realizzare una economia degli oceani ‘sostenibile’ dal punto di vista ambientale come anche sociale, e della quale appunto anche i Paesi più poveri e più vulnerabili possano beneficiare. Ciò è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, e in particolare l’Obiettivo 14 che si incentra sull’uso sostenibile delle risorse marine e la conservazione della vita sotto il mare. Ma andiamo con ordine…
I dati raccolti e analizzati per questo nuovo rapporto, relativi a sei industrie principali dell’economia dell’oceano[3], ci dicono che queste industrie rappresentano in media meno del 2% del Pil nei Paesi ad alto reddito, ma oltre l’11% del Pil nei Paesi a reddito medio/basso[4]. Inoltre, in alcuni stati piccoli e insulari (i cosiddetti ‘small island developing states’) anche una sola industria dell’economia dell’oceano come quella turistica, indissolubilmente legata alla fruizione del mare, può arrivare a rappresentare più del 20% del Pil. La regione in cui l’accelerazione dell’economia dell’oceano è stata maggiore è stata il Sud-Est Asiatico, in gran parte per via della Cina, dove il valore aggiunto generato dall’economia dell’oceano è passato da 157 miliardi di dollari nel 2010 a oltre 175 miliardi di dollari nel 2015. Complessivamente, dunque molti Paesi a basso e medio reddito dipendono già largamente dal mare come fonte di reddito, impiego e valuta estera – per via di settori economici importanti come il turismo e la pesca. E molti di questi Paesi posseggono una parte sostanziosa delle risorse marine rimaste ancora inesplorate e che i mercati globali cercheranno di accaparrarsi.
Le potenzialità di crescita e le vulnerabilità
Il fatto che i Paesi in via di sviluppo (Pvs) siano relativamente più dipendenti dalle industrie legate all’oceano potrebbe presentare delle opportunità importanti di crescita economica in un contesto di espansione globale di queste industrie. Allo stesso tempo però, questa maggiore dipendenza li rende più vulnerabili agli impatti che le crescenti pressioni antropogeniche producono sugli ecosistemi marini alla base di tali attività economiche, e alle conseguenze dell’intensificarsi delle attività economiche in mare se queste non saranno profondamente trasformate per integrare aspetti di sostenibilità. Gli effetti cumulativi delle pressioni antropogeniche hanno infatti già creato, a livello globale, condizioni senza precedenti di acidificazione e riscaldamento degli oceani, come anche di perdita dell’ossigeno e della diversità delle specie marine (IPCC, 2019[2]; IPBES, 2019[3]). Questi fenomeni sono di una entità tale che non si sa per quanto l’oceano potrà continuare a svolgere le funzioni ambientali che permettono la vita su questo Pianeta. L’oceano infatti produce il 50% dell’ossigeno che respiriamo, assorbe più del 90% del calore generato dalle emissioni di gas serra prodotte dagli umani, e dunque regola il clima, e fornisce l’habitat vitale a specie marine da cui dipendiamo direttamente e indirettamente per la catena alimentare, e a specie vegetali che ci proteggono contro agenti inquinanti e fenomeni quali le inondazioni.
L’imperativo della sostenibilità…
È dunque fondamentale che le attività economiche nell’oceano siano svolte nel rispetto della sostenibilità ambientale e legate a modelli di sviluppo sostenibili, a livello ambientale e sociale, nei Pvs come negli altri Paesi. Nei Pvs è particolarmente importante che le vaste risorse marine ancora inutilizzate siano conservate e utilizzate in maniera sostenibile, e che questi Paesi siano in grado di valutare gli effettivi costi e benefici, non solo finanziari ma anche ambientali e sociali, dello sfruttamento di tali risorse. Ciò è importante per questi Paesi ma anche per noi. Infatti, ad esempio, nel Pacifico, dove sono stati identificati importanti giacimenti di cobalto ritenuti funzionali alla transizione verso il trasporto elettrico, l’estrazione di questo e altri metalli (attraverso nuove tecnologie che rendono ora possibile il deep seabed mining) potrebbe creare un disastro ecologico che investirebbe non solo i Paesi del Pacifico ma l’intero ecosistema marino globale che, molto più degli ecosistemi terrestri, è altamente interconnesso e comunicante, dunque con effetti globali potenzialmente catastrofici e irreversibili.
… e della cooperazione internazionale
Nel rapporto OCSE evidenziamo che una transizione a una gestione sostenibile delle risorse del mare e dell’oceano è urgente quanto possibile. Richiede però un cambiamento sistemico, e l’impiego mirato di politiche inter-settoriali coerenti, come anche un uso giudizioso di finanza pubblica per favorire la creazione di mercati, business models e prodotti effettivamente sostenibili a livello economico, ambientale e sociale.
I Paesi in via di sviluppo, tuttavia, spesso non dispongono dell’accesso alla scienza, alle tecnologie, agli strumenti di policy e alla finanza necessari per mettere in atto una trasformazione di tale portata. La cooperazione internazionale allo sviluppo ha dunque un ruolo fondamentale da svolgere per facilitare tale accesso e per contribuire a una economia globale degli oceani effettivamente sostenibile e che dia a tutti i Paesi, anche i più poveri, accesso ai potenziali benefici. Attualmente, tuttavia, malgrado la comunità internazionale abbia manifestato un interesse crescente verso questa problematica, all’OCSE stimiamo che meno del’1% degli aiuti pubblici per lo sviluppo viene speso per finanziare una transizione a una economia degli oceani sostenibile nei Pvs. Fra il 2013 ed il 2018, ciò ammontava a circa 3 miliardi di dollari americani in media all’anno. Questa cifra rende l’economia sostenibile degli oceani, assimilabile all’Obiettivo di sviluppo sostenibile 14, l’obiettivo di sviluppo sostenibile meno finanziato fra tutti.
Affinché la comunità internazionale possa più efficacemente favorire una transizione verso una economia mondiale degli oceani sostenibile è necessario che, in partenariato con i Pvs, essa si concentri su:
- Aumentare gli aiuti internazionali che mirano a promuove economie degli oceani sostenibili. Per farlo sono necessarie definizioni, principi e standard atti a identificare quali politiche e azioni favoriscono sistemicamente la sostenibilità nella molteplicità dei settori coinvolti (i.e. pesca, turismo, trasporto navale, etc.). Per rispondere a questa esigenza, l’anno prossimo l’OCSE lancerà una task force multi-paese incaricata di sviluppare le prime linee guida per aiuti allo sviluppo efficaci in questo ambito;
- Favorire il ri-orientamento della finanza internazionale, da attività economiche ambientalmente e socialmente insostenibili ad attività sostenibili. Ciò implica lo sviluppo di nuovi strumenti e approcci finanziari per mobilizzare finanza privata per attività sostenibili, come i primi blue bonds (resi possibili dall’assistenza tecnica e da fondi e garanzie di cooperazione internazionale) o anche nuovi fondi di investimento e nuovi prodotti finanziari di gestione del rischio ambientale marino (come il sistema di assicurazione parametrico adottato in Messico per assicurare i coralli da eventi climatici estremi). Ma questi fondi rimarranno (è il caso di dirlo!) una goccia nell’oceano se non saranno accompagnati da trasformazioni nei mercati finanziari e di credito, attraverso nuove regolamentazioni e politiche volte non solo ad aumentare i finanziamenti delle attività sostenibili nell’oceano ma anche a ridurre e ri-orientare la finanza attualmente investita in attività economiche distruttive e insostenibili, che spesso hanno nei Pvs i loro impatti più evidenti. A tal fine, l’OCSE sta collaborando con altre istituzioni per l’elaborazione e l’adozione delle prime Linee Guida per Investire in maniera sostenibile nell’economia dell’oceano, che sono state pubblicate il 2 marzo.
- Promuovere una ‘coerenza delle politiche settoriali’ a livello internazionale. Al di là delle politiche per lo sviluppo, ogni Stato ha un ventaglio di politiche nazionali che spesso incidono sulla sostenibilità nei Pvs: dalle politiche relative alla pesca a quelle sugli investimenti e i mercati finanziari, al turismo, e persino alla transizione energetica. È dunque necessario studiare gli effetti di queste politiche, e identificare e correggere contraddizioni e incoerenze con gli obiettivi di sviluppo sostenibile globale.
Accelerare la transizione verso la sostenibilità attraverso una ‘ripresa blu’
Attualmente, la crisi globale innescata dal Covid sta incidendo negativamente sull’attività economica in vari settori legati all’oceano, fra cui il turismo e il trasporto marittimo, e sta proiettando incognite sempre maggiori sull’economia mondiale nel suo insieme. Benché questa crisi avrà effetti probabilmente duraturi su vari settori, la crescente pressione sulle risorse marine derivante da una popolazione mondiale in aumento sembra destinata a perdurare al di là di questa fase. Ciò rende una trasformazione verso la sostenibilità assolutamente indispensabile. Infatti il tipo di ripresa che verrà promosso attraverso i pacchetti di stimolo potrà implicitamente alimentare le attuali pratiche e attività insostenibili. Oppure potrà contribuire a rendere sostenibili i settori legati all’oceano, contribuendo a generare cibo, medicine, energia e lavoro in maniera sostenibile dal mare, mirando a creare sinergie positive con altri settori e il resto dell’economia, aumentando nel contempo la sostenibilità e la resilienza delle nostre società a livello sistemico.
A questo fine, come parte della iniziativa Sustainable Ocean for All, all’OCSE stiamo lanciando i Blue Recovery Hubs, per aiutare i Paesi a sviluppare delle strategie di ripresa capaci di aumentare la sostenibilità dei settori economici legati all’oceano, favorire la diversificazione economica attraverso nuove opportunità economiche sostenibili, e aumentare la resilienza sistemica.
Quest’anno e l’anno prossimo la comunità internazionale ha numerose occasioni per innalzare il livello di ambizione e agire collettivamente per promuovere una economia globale dell’oceano sostenibile: dalla Biodiversity COP a maggio, alla Climate COP a novembre, alla attesa Conferenza delle Nazioni sull’Oceano posticipata all’anno prossimo per poter essere tenuta in presenza a Lisbona. L’Italia, che presiede il G20 quest’anno e che è in capo alla COP26 con l’Inghilterra, come gli altri Paesi che parteciperanno, ha una grande opportunità e una grande responsabilità rispetto a queste occasioni. E ciascuno di noi ha la stessa opportunità e responsabilità con piccoli e grandi gesti di responsabilità civica. Insieme psi può invertire la rotta e assicurare che l’oceano, un sistema di supporto vitale per l’intera umanità, sia preservato per questa nostra generazione e quelle a venire, e che possa contribuire a società più prospere e bilanciate.
NOTES
[1] OECD (2020): Sustainable Ocean for All: Harnessing the Benefits of Sustainable Ocean Economies for Developing Countries.https://www.oecd-ilibrary.org/development/sustainable-ocean-for-all_bede6513-en
[2] Qui identifichiamo questi Paesi, anche chiamati ‘in via di sviluppo’ con quei Paesi che possono ricevere aiuti internazionali (i.e. Official development assistance o aiuto pubblico allo sviluppo). Attualmente tali Paesi sono 151 e rappresentano collettivamente l’82% della popolazione mondiale.
[3] Queste sono: (i) pesca marina, (ii) aquacultura in mare, (iii) trasformazione della pesca; (iv) costruzione navale e (v) trasporto marittimo di passeggeri; e (vi) trasporto marino di merci.
[4] Questi sono I lower middle income countries, che hanno un Prodotto nazionale lordo compreso fra USD 1.006 e USD 3.955 nel 2007.
NB : Questo articolo si basa sul lavoro della Sustainable Ocean for All Initiative dell’OCSE, e in particolare sul rapporto Sustainable Ocean for All: Harnessing the Benefits of Sustainable Ocean Economies for Developing Countries. https://www.oecd-ilibrary.org/development/sustainable-ocean-for-all_bede6513-en
I dati OCSE sugli aiuti internazionali a sostegno di economie dell’oceano sostenibili sono disponibili online : https://www.oecd.org/dac/developing-countries-and-the-ocean-economy/sustainable-ocean-for-all-data-platform.htm