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UCRAINA

Sotto scacco energetico di Mosca

Stefano Gorissen
|
Davide Serraino
17 Dicembre 2021

Come il piroscafo russo Tomorov era atteso al porto di Vigata nel romanzo “Un filo di fumo” di Camilleri, così al largo del porto di Odessa si staglia una nave carica di carbone proveniente dagli Stati Uniti. Quella che potrebbe sembrare una storia d’altri tempi è in realtà la soluzione tampone trovata per sopperire alla sua carenza in Ucraina, che ha già determinato il fermo produttivo di alcune centrali.

Come ha fatto un Paese ricco di carbone a ridursi a importare dall’estero una materia prima presente in abbondanza sul proprio territorio?

Dal 1° novembre la Russia ha smesso di esportare il proprio carbone verso Kiev e, in una battaglia di veti incrociati, ha influenzato anche il Kazakistan - altro fornitore ucraino - che si è allineato a Mosca e ha dirottato verso Pechino gran parte del carbone destinato all’export. Il carbone rappresenta circa un terzo della capacità di generazione di energia elettrica installata in Ucraina e, ancora nel 2020, il 70% delle importazioni proveniva dalla Russia. Nonostante il Paese sia il sesto al mondo per riserve di questo prodotto, le principali miniere si trovano nei territori occupati del bacino dei Donets nella parte sudorientale dell’Ucraina, impedendone di fatto l’estrazione.

 

Kiev nella morsa energetica di Mosca

La matrice energetica dell’Ucraina è piuttosto diversificata: secondo Energy Information Administration (EIA) nessuna fonte consta per più del 33% fornito dal gas naturale, seguito dal 30% del carbone e 21% del nucleare (Fig.1); è altresì piuttosto rigida e l’arrivo della stagione invernale con i tradizionali picchi di domanda complica una situazione già non facile. All’interno di questo quadro, stanti i pessimi rapporti con il vicino russo, la carenza di carbone e i frequenti fermi delle datate centrali che bruciano lo stesso per produrre elettricità, va inquadrato il ricorso ucraino a forniture di energia elettrica da Bielorussia e Slovacchia al fine di garantire gli approvvigionamenti energetici a cittadini e imprese e scongiurare possibili blackout, anche a costo di clamorosi dietrofront (dal 1° novembre Minsk era stata messa al bando, per contrasti simili a quelli con Mosca, ma appena due giorni dopo era tornata a essere un partner in questo ambito).

 

Figura 1 - Matrice energetica dell’Ucraina

Fonte: EIA, Our world in Data

 

Considerata la situazione attuale, la volontà del governo ucrainodi ridurre la dipendenza energetica dall’estero e in particolare di recidere il cordone ombelicale con il vicino russo appare una chimera, tanto più che l’Ucraina rappresenta una delle economie dell’area caratterizzate dai più alti costi per convertire l’energia in Pil, seconda (secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia) solo al Turkmenistan. Sebbene il Paese negli ultimi lustri abbia ottenuto miglioramenti nell'efficienza energetica del settore industriale, permangono ancora importanti margini nella modernizzazione delle infrastrutture energetiche, nel miglioramento delle forniture energetiche e nell’efficientamento dei consumi energetici.

Lato Cremlino, la riduzione del carbone e del gas forniti fa parte degli sforzi russi per portare l'Ucraina al freddo e spingerla a tornare sotto la propria sfera di influenza. Inoltre, secondo Naftogaz - il player di Stato ucraino nel settore degli idrocarburi - Mosca cerca di innescare una crisi energetica per sabotare il passaggio dell'Ucraina dal sistema elettrico russo a quello dell’Europa continentale (Entso-E). La domanda da porsi è però se questo switch potrebbe configurarsi come un atto più formale che sostanziale poiché anche qualora l’Ucraina si connettesse alla rete europea, il principale fornitore di energia in ultima istanza rimarrebbe sempre e inesorabilmente il vicino poco gradito.

 

Quali contromosse?

L’Ucraina ha un numero esiguo di frecce al proprio arco. Storicamente Kiev ha importato la maggior parte del suo gas naturale da Mosca (circa il 30% del fabbisogno), attraverso due principali gasdotti (Fig.2): i) Bratstvo (Fratellanza o Brotherhood), che ha origine dal giacimento di gas naturale di Urengoy nella Russia siberiana nordoccidentale, attraversa l'Ucraina unendo i due gasdotti Urengoy – Pomary – Uzhgorod e Progress e corre fino alla Slovacchia per poi dividersi in due diramazioni e rifornire i Paesi dell'Europa settentrionale e meridionale; ii) Soyuz (Unione), che parte dal giacimento di gas naturale di Orenburg, ai confini con il Kazakistan, collega i gasdotti russi alle reti di gas naturale dell'Asia centrale e, attraversando l’Ucraina, fornisce volumi aggiuntivi a Paesi dell'Europa centrale e settentrionale come Slovacchia, Ungheria e Romania. Tuttavia, in seguito all'annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, l'Ucraina ha interrotto le importazioni dirette di gas naturale russo e le ha sostituite con quello europeo proveniente da Paesi che non sono produttori. Infatti, gran parte del gas naturale importato dall'Europa ha comunque origine in Russia, ma fa solo un percorso più lungo.

 

Figura 2 - Principali rotte di importazione di gas naturale dell'UE

Fonte: Entsog

 

 

E l’UE che fa?

L’UE, a sua volta, non sembra avere altre alternative nel breve periodo al gas russo, nonostante le dichiarazioni che hanno accompagnato il Green Deal, le pressioni delle amministrazioni americane e le obiezioni del Gruppo di Visegrád. Le tensioni intorno a Nord Stream 2 ne sono una dimostrazione: l’autorità tedesca per l’energia ha sospeso l’approvazione dopo aver “scoperto” che la controllata di Gazprom coinvolta ha sede in Svizzera e non in Germania. La procedura riprenderà non appena la società russa avrà risolto il cavillo tecnico aprendo una filiale nella Repubblica Federale e il gasdotto, sebbene in ritardo sul progetto iniziale di oltre due anni, comincerà ad operare. Sarà così completata l’ultima delle tre frecce della politica energetica di Putin (Nord Stream 1, Nord Stream 2 e Turk Stream), politica necessaria sia per riaffermare la credibilità della Russia quale fornitore affidabile di gas dopo quanto avvenuto a gennaio 2009 (la disputa per il rinnovo del contratto di transito con Kiev portò alla chiusura dei gasdotti e lasciò numerosi Paesi europei – tra cui l’Italia – a secco per alcune settimane), sia per indebolire il ruolo dell’Ucraina come Paese di transito verso l'Europa. Attualmente la Russia esporta verso l’Occidente poco meno di 200 miliardi di metri cubi all'anno (bcm), di cui circa 100 attraverso le rotte dell’Europa centrale e settentrionale (Fig.3) che includono sia i controversi gasdotti Nord Stream, sia il sistema ucraino. In particolare, Nord Stream 1 ha una capacità di targa di circa 55 bcm, e quando Nord Stream 2 verrà approvato, la capacità di questa rotta raddoppierà e sarà in grado di soddisfare la domanda europea senza coinvolgere Kiev.

 

Figura 3 - Principali rotte di importazione di gas naturale dell'UE

Fonte: Bruegel

 

Quest’ultimo scenario ha un impatto non secondario sul bilancio pubblico del governo ucraino: vorrebbe dire 2 miliardi di dollari in meno di transit fee ogni anno (pari all’1,3% del Pil) incassati dall'operatore del gasdotto ucraino (Gas Transmission System Operator of Ukraine, TSOUA). L'Ucraina ha reagito proponendo al colosso Gazprom di estendere l'attuale accordo in scadenza nel 2024 per altri 15 anni, offrendo di dimezzare le tariffe di transito a fronte dell’aumento dei miliardi di metri cubi di gas di passaggio (da 40 a 95). Qualora l’accordo non andasse in porto, sembra chiaro che la rete ucraina andrebbe ripensata. Sergiy Makogon, ad di TSOUA, ha dichiarato in un'intervista che, se la Russia dovesse inviare meno di 30 bcm ogni anno (volume minimo per il break-even) dopo il 2024, probabilmente lo Stato ucraino dovrebbe disattivare gran parte della rete perché troppo costosa da mantenere.

L’Ucraina non è però l’unico Paese dell’Est Europa a dover fare i conti a bilancio con il leverage russo. La Moldavia, per esempio, è un Paese geograficamente vicino (che ha ricevuto supporto da Bruxelles negli ultimi 20 anni attraverso numerosi programmi e la liberalizzazione del movimento di persone e beni). Chisinau però, che riceve il gas russo dall’Ucraina attraverso la regione separatista filorussa nota come Transnistria, è stata molto vicina a vedersi chiudere il rubinetto da Gazprom a causa dell’elevato debito accumulato nei suoi confronti dalla società pubblica Termoelectrica e proprio negli ultimi giorni è stato necessario l’intervento del governo per erogare i 74 milioni di dollari previsti dai contratti sottoscritti con il colosso russo (una parte dei quali arriveranno dall’UE, in base alle promesse del Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen).

La leva politica ed economica della Russia in campo energetico è chiara e molti Paesi geografie , a partire da quelli più vicini, ne sono assoggettate. La diversificazione delle fonti energetiche e dei Paesi fornitori è sempre più una strategia di medio periodo indispensabile per chi non vuole sedersi al tavolo con Mosca da una posizione di debolezza e dipendenza. Se Ucraina e Moldova lo provano continuamente sulla propria pelle, l’UE non può certo stare a guardare altrimenti altri inverni del nostro scontento (energetico) succederanno a quello attuale.

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Stefano Gorissen
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Davide Serraino
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Image Credits (CC BY 4.0): President of Ukraine (cropped)

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