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Il voto

Spagna: la corsa elettorale per Madrid

Gilberto Bonalumi
|
Giancarlo Pasquini
02 maggio 2021

Solo quando Filippo II decise di portarvi nel 1561 la sua corte, Madrid prese a crescere e moltiplicarsi con le sue strade, monumenti, quartieri, personaggi e date storiche.

Pochi conoscono la sua storia remota, fu un territorio impiantato dagli arabi che popolavano la Spagna.

Il premio nobel della letteratura, il peruviano Mario Vargas Llosa, nel definire il suo amore verso Madrid, spiega che essere nato lì non da nessun diritto perché in questa città tutto è di tutti, perché i suoi abitanti provengono da ogni angolo del mondo dando a questa comunità un carattere universale.

La candidata dei popolari Isabel Diaz Ayuso punta molto su una Madrid liberale nel suo modo di fare come nei suoi costumi: puoi facilmente incominciare da zero la vita, cambiare il tuo lavoro come il tuo rapporto di coppia.

Per Ayuso questa è una identità da rimarcare: solo due anni fa nella precedente campagna elettorale, definì un assembramento nelle ore notturne di un sabato qualcosa di non negativo e che certamente la vita in una comunità è dura ma che bere una birra alla spina reca sollievo attuando misure meno restrittive. La novità più significativa di questa tornata elettorale è rappresentata dalla candidata progressista del partito Mas Madrid, Monica Garcia, che è accettata per il suo profilo sia di madre che di medico e replica che il vivere alla madrilena non è calpestare il prossimo dando alla città una dimensione caricaturale e del si salvi chi può, ma dispensare solidarietà.

Dopo la Catalogna, dove si è votato il 14 febbraio per il rinnovo del Parlamento regionale, martedì 4 maggio si voterà nella Comunità di Madrid con due anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale. Per motivi diversi queste elezioni nelle due Comunità autonome più importanti della Spagna hanno assunto un valore simbolico che va al di là dell’ambito regionale e sono assurte a test nazionale da cui dipende la sorte del governo di Pedro Sanchez e gli equilibri politici per i prossimi anni.

Sono queste due regioni, dove la pandemia ha colpito più duro e la lotta politica è più polarizzata, aggravata da un’aggressività verbale e il recapito di buste minacciose che produce un dibattito così paradossale che, come diceva Bertrand Russel, “a odiare sono più le loro virtù che i loro difetti”. Più che sui contenuti programmatici ci si contrasta sul piano ideologico e il risultato lo si vuol leggere come un plebiscito sul governo Sanchez. Così facendo, Barcellona e Madrid rischiano di apparire i due motori avariati della Spagna. Sicuramente la Catalogna, prigioniera delle sue ossessioni secessioniste e identitarie, ha perso il primato di regione più sviluppata e ricca di Spagna proprio a favore della (almeno una volta) sonnolenta e burocratica Madrid, il cui prodotto interno territoriale ha superato nel 2018 quello della Catalogna. Tutto questo avveniva prima della catastrofe del coronavirus.

In Catalogna hanno vinto i partiti indipendentisti che hanno ottenuto non solo la maggioranza dei seggi ma hanno anche superato per la prima volta il 50% dei voti. Nonostante questa eclatante vittoria, dopo oltre due mesi e mezzo i due partiti favorevoli all’indipendenza (la realista Esquerra republicana de Catalunya- ERC e gli integralisti di Junts, seguaci di Carles Puigdemont) non sono riusciti ad accordarsi per formare un governo su un programma condiviso. L’incancrenirsi della crisi catalana espone Il fragile governo di coalizione PSOE/Podemos, che si regge sull’astensione di (ERC) e dei nazionalisti baschi, al rischio di logoramento, ne evidenzia le contraddizioni e avvantaggia i partiti di centro destra, come il Partito popolare (PP) di Pablo Casado che risale nei sondaggi, ma anche il movimento populista di estrema destra VOX che si consolida come terzo partito di Spagna, mentre il centrista Ciudadanos (C’s) rischia di scomparire. I due partiti di destra, pur avendo programmi distinti e pur essendo in competizione fra loro, governano insieme in alcune Comunità autonome e in molte città.

Fra queste, la Comunità di Madrid, dove la giovane e ambiziosa presidente Isabel Diaz Ayuso (41 anni), figura emergente del PP eletta 2 anni fa, ha sfidato apertamente il governo centrale sia sull’emergenza sanitaria disattendendo le restrizioni imposte dallo “stato di allarme” nella seconda e terza ondata, sia decretando lo scioglimento del Parlamento regionale e convocando nuove elezioni, in piena pandemia, per disfarsi dell’alleato C’s, in profonda crisi di identità, fagocitarne la classe dirigente e governare da sola, o al massimo con l’appoggio esterno di VOX.

In ottobre di fronte a un alto numero di contagi e di morti a Madrid e nella sua area metropolitana, l’esecutivo presieduto da Isabel Ayuso rifiutò di proclamare il confinamento con le conseguenti chiusure di attività in tutta la Comunità, limitandosi a chiudere alcuni quartieri periferici (che interessavano meno di un milione di persone) e costringendo il governo Sánchez a intervenire e proclamare un lockdown di 15 giorni per la capitale e il suo hinterland (che interessava 4,5 milioni di persone). La stessa cosa è avvenuta durante la terza ondata in cui Ayuso ha ripreso il suo progetto di chiusure chirurgiche di zone perimetrate, permettendo la riapertura di bar, ristoranti, musei, cinema, teatri e palestre della capitale che dai primi di aprile è tornata ad una situazione di quasi normalità.

Nonostante la Comunità di Madrid sia stata l’epicentro del contagio con 673 mila contagiati e quasi 15 mila deceduti su 6,5 milioni di abitanti, la popolarità di Isabel Ayuso è cresciuta, si è fatta la fama di una donna energica che non esita a sfidare il governo per difendere l’autonomia della Comunità e gli interessi delle categorie più colpite dalle restrizioni. Nella sua campagna elettorale non ha peli sulla lingua, accusa Sánchez di essere un “liberticida”, di flirtare con coloro che vogliono rompere l’unità della Spagna, di aver portato al governo i comunisti e gli eredi dell’ETA che, senza la sua candidatura, avrebbero conquistato Madrid. Non ha bisogno nella sua campagna elettorale di “padrini” che la sostengono come gli ex presidenti Aznar o Rajoy, e solo con moderazione dell’attuale presidente del PP Pablo Casado che è un suo coetaneo. Fa tutto da sola con tecniche di comunicazione che piacciono ai giovani. come il video, diffuso sui social con centinaia di migliaia di visualizzazioni, in cui appare in tuta e mascherina che corre per le strade di Madrid, non deserte come ci si aspetterebbe, ma animate, con i negozi aperti e le vetrine illuminate, gridando “libertà, libertà”. Una parola stampata sui manifesti che tappezzano i muri di Madrid, in cui non c’è né un testo, né un annuncio, ma solo la parola libertà su sfondo azzurro, il colore del PP.

Per fermare Ayuso e VOX è sceso in campo il leader di Podemos Pablo Iglesias (42 anni) che, con una mossa azzardata, si è dimesso da vice-presidente del governo per concorrere alla presidenza della Comunità di Madrid. Probabilmente dietro la mossa di Iglesias ci sono altre motivazioni sia personali che politiche, ma i sondaggi non lo premiano e lo danno all’ 8% delle intenzioni di voto. Il confronto con Isabel Ayuso che viaggia intorno 41% che le garantiscono 59 seggi, doppiando quelli che aveva ottenuto nel 2019, è impietoso. Ma spiegabile, in quanto la presidente prosciugherebbe il bacino elettorale di Ciudadanos che aveva il 26% dei voti ed oggi non raggiungerebbe il quorum del 5%. Tuttavia non le bastano per governare da sola, ma avrebbe bisogno dei 13 seggi di VOX, la cui candidata Rocio Monasterio, un’altra quarantenne combattiva che con le sue provocazioni, di stampo fascista, ha costretto Pablo Iglesias ad abbandonare il dibattito organizzato dalla catena radiofonica SER, già assapora il gusto del potere e le vendette da consumare contro gli odiati comunisti, le femministe, gli indipendentisti e i loro pavidi apripista socialisti.

Il blocco di sinistra avrebbe il 45% dei voti e 64 seggi contro il 50% e 72 seggi delle due destre. Il PSOE perderebbe 7 punti (dal 27 al 20% dei voti e 9 seggi), forse perché ha sbagliato la scelta del candidato. Nella civiltà dell’immagine in cui i candidati sono giovani e 3 su 6 sono donne, il PSOE ha riproposto la candidatura di Angel Gabilondo, un professore di filosofia settantenne, già rettore dell’Università autonoma di Madrid e ministro dell’istruzione nel governo Zapatero, che è apparso fuori contesto e poco attrattivo. La vera novità è il buon risultato della candidata della piattaforma civica Màs Madrid, Monica Garcia (47 anni), una anestesista che è stata in prima linea nei momenti più tragici della pandemia e gode di una meritata popolarità, che è accreditata al 17,6% e quindi tallona da vicino i socialisti. Infine – come già detto – Podemos sfiora l’8% dei voti e 11 seggi.

Se questi saranno i risultati, non c’è dubbio che la coalizione PSOE/ UP ne esce indebolita. I due soci del governo non solo perdono consensi ma hanno dato l’impressione di essere disconnessi – nella loro autoreferenzialità – dalla realtà quotidiana della gente. Mentre Isabel Ayuso, pur nella sua apparente superficialità, ha saputo intercettare la rabbia, l’esasperazione, la sofferenza delle persone colpite nei propri affetti e nei propri interessi che chiedono di tornare a vivere, a lavorare, a socializzare. E questa sintonia con una larga parte delle persone che le ha permesso di capitalizzare un consenso che lei usa spregiudicatamente contro gli avversari della sinistra, ma anche per affermare se stessa come una possibile leader di uno schieramento nazional-popolare che vada al di là della classica contrapposizione destra/sinistra. Per questo Ayuso non ha alcuna preclusione nei confronti di VOX con cui governerà la Comunità di Madrid, mentre qualche problema ce l’ha il presidente del partito Casado che ha preso le distanze da VOX quando il suo leader Santiago Abascal presentò nell’ottobre 2020 una mozione di sfiducia contro Sánchez indicando se stesso come leader che l’avrebbe sostituito nel caso la mozione fosse stata approvata. In pratica Abascal voleva ripetere quello che Sánchez aveva fatto nel 2018 nei confronti di Mariano Rajoy, usando l’istituto della sfiducia costruttiva, prevista dalla Costituzione. In quel caso Casado schierò il Partito popolare contro la mozione di sfiducia non per salvare Sánchez, ma perché Abascal si proponeva, senza avere né i numeri, né l’autorità, come leader della destra, ipotecando un futuro in cui il Partito popolare vuole giocare le sue carte e aspirare a governare da una posizione di centro, europeista, conservatrice ma rispettosa della democrazia e dello Stato di diritto. Come sottolinea El Pais in un recente editoriale: “Vivere è come ritornare: 30 anni fa ci fu la caduta elettorale di un partito centrale per gestire il post franchismo (CDS) facendo crescere il partito popolare e una sinistra laterale ai socialisti del PSOE”.

In questa tornata elettorale madrilena Podemos e Ciudadanos, nati per rompere il bipartitismo al punto che in certi momenti superarono sia i popolari che i socialisti, si trovano oggi a un’autentica prova del fuoco.

In Spagna, come in Italia, il problema è sempre più come guarire le nostre fragili democrazie, come riformare un sistema di welfare adattato alle esigenze della società del XXI secolo, come dovrà evolvere l’Unione europea che con il Next Generaion EU ha fatto un passo importate verso una maggiore coesione e solidarietà: basterà?

Cresce un accampamento che è la somma di tante stratificate povertà, frutto dello smart working, delle digitalizzazioni, delle delocalizzazioni, del fallimento di tante piccole imprese soprattutto giovanili, quando ci sarà la fine del blocco dei licenziamenti, della intelligenza artificiale: in sostanza di un sistema economico che cresce ma non occupa, anzi espelle; chi si occupa politicamente di questa vasta umanità?

Questa sfida rischia di rattrappirsi tra una destra dal linguaggio diretto, fatto di verità generali, ma semplificate che capitalizza una certa stanchezza verso una sinistra che si erige a referente morale, definendo più i confini altrui e meno i propri, mentre servirebbe una progettualità nuova che punti a ridisegnare il ruolo dello Stato nel campo della salute, dell’economia, dei diritti e della protezione sociale che riduca le diseguaglianze che la pandemia ha ingigantito.

Per evitare di raccontare la realtà secondo i propri desideri occorre garantire il diritto alla differenza, senza differenziare i diritti.

Oggi c’è bisogno come non mai di audacia e immaginazione politica e una capacità di reinventarsi al servizio degli interessi di tutti: è l’unico modo di stare lontani dal precipizio. Con il voto di Madrid si decide anche il futuro della democrazia spagnola.

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Gilberto Bonalumi
ISPI Senior Advisor
Giancarlo Pasquini
Già redattore di Politica Internazionale

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