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Commentary

Spagna: piazza e polarizzazione nella crisi catalana

Eusebio Val
07 novembre 2019

Le violenze di piazza in Catalogna dopo la condanna al carcere dei leader indipendentisti hanno sorpreso per la loro ampiezza e intensità. Dall’inizio del cosiddetto “procés” iniziato nel 2012, il carattere civico e pacifico era stato considerato un suo fregio. Si è arrivati persino a parlare della “rivoluzione dei sorrisi”, e non poteva esserci miglior biglietto da visita nella propaganda internazionale più ostile allo Stato spagnolo.

La strategia però è cambiata. I disordini del mese di ottobre hanno avuto in parte un’origine spontanea, accesi dalla rabbia degli indipendentisti furiosi per la sentenza della Corte Suprema di Madrid e frustrati per i mancati progressi del processo. Ma c’è stata anche una dose di ambiguità da parte dei leader nazionalisti catalani, incluso lo stesso governo della Generalitat, l’istituzione per l’autogoverno della Catalogna. Il presidente catalano, Quim Torra, ha fatto ripetutamente appello alle proteste e alla disobbedienza civile, ancor prima che le condanne venissero rese pubbliche. Allo stesso tempo, tuttavia, Torra era a capo dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, incaricati di mantenere l’ordine pubblico. Una situazione contraddittoria, schizofrenica.

L’evoluzione del movimento indipendentista catalano, passato dal pacifismo stretto a strizzare l’occhiolino alla violenza, è maturata negli ultimi due anni, dopo il referendum dell’1 ottobre 2017 e il fallimento della nascita della Repubblica Catalana. Già allora si pensava che la risposta alla fermezza dello Stato sarebbe stata una mobilitazione prolungata nelle piazze e azioni di disobbedienza civile nelle quali il limite con la violenza sarebbe stato molto labile o si sarebbe potuto oltrepassare facilmente. In quel momento queste aspettative di possibili disordini non hanno avuto riscontro. La vita è continuata, più o meno normalmente, nonostante la tensione e il risentimento si fossero accumulati nei settori della società disposti a rompere con la Spagna. Gli elementi più radicali hanno formato i Comitati di Difesa della Repubblica (CDR), gruppi che sono stati poi protagonisti dei disordini e degli atti di sabotaggio. Alcuni dei suoi membri sono stati arrestati con l’accusa di ordire attentati.

La genesi del problema catalano è complessa. Esso ha radici storiche profonde, per via della singolarità culturale del territorio, ma anche cause più recenti. I governi della Generalitat, dal 1980, hanno preparato il terreno a dovere per il distacco sentimentale di una parte della cittadinanza. L’allontanamento dalla Spagna è stato cercato. La scuola e i mezzi di comunicazione pubblici sono stati strumenti fondamentali in questa strategia. Il governo centrale è rimasto insensibile alle rivendicazioni di un patto finanziario migliore per la Catalogna e di maggiori investimenti nelle infrastrutture. Il discorso vittimista dei nazionalisti catalani è stato rafforzato dalla decisione del Tribunale Costituzionale spagnolo, nel giugno 2010, di restringere i poteri che lo statuto d’autonomia approvato tre anni prima concedeva alla Catalogna. Si sono andate creando, così, le condizioni per la “tempesta perfetta”. Alle rivendicazioni catalane si è aggiunto il malcontento generato dai duri effetti della crisi economica del 2008, che in Spagna (e pure in Catalogna) hanno comportato una riduzione degli standard di vita (in termini di salari reali), delle prestazioni sociali, degli investimenti e dei servizi.

La crisi catalana condivide alcune caratteristiche con situazioni come quelle sperimentate nel Regno Unito con Brexit o in Francia con l’arrivo dei gilet gialli. L’indipendentismo, oltre al nazionalismo soggiacente e al sentimento di affronto, è stato un modo di esprimere il malessere per un modello economico che, in tempo di globalizzazione, non soddisfa le aspettative delle persone, specialmente dei giovani che in Catalogna come nel resto della Spagna devono fare i conti con un futuro di precarietà lavorativa e salari molto bassi.

L’uscita dal conflitto non sarà semplice, poiché la frattura nella società catalana si è allargata. Le posizioni estremiste si consolidano. I settori più moderati della popolazione sono rimasti quasi senza alcun rappresentante. I leader indipendentisti non fanno autocritica per aver infranto la legalità e rifiutano di accettare l’idea che la loro promessa d’indipendenza non sia altro che una chimera, se non proprio una truffa. E a Madrid, il problema catalano si usa come arma nella lotta tra i partiti. Mancano il senso dello Stato, la magnanimità e la volontà di trovare un consenso sia politico che territoriale, ossia quegli elementi che hanno reso possibile il successo della transizione democratica, a partire dal 1977, che aprì la strada all’ingresso della Spagna nell’Europa e ad un livello di progresso e benessere fino ad allora sconosciuto nella sua storia.

 

Traduzione dallo spagnolo di Guido Alberto Casanova

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Spagna Europa
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AUTORI

Eusebio Val
La Vanguardia

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