Niente sarà come prima in Spagna dopo le elezioni di domenica 20 dicembre. Il bipartitismo, inteso come l’ineluttabile alternanza al potere fra il Partito popolare (Pp) e quello socialista (Psoe), celebrerà la sua fine terminando un prolungato ciclo politico durato più di 35 anni. L’irruzione di Podemos e di Ciudadanos (C’s) nello scenario politico nazionale e le alte aspettative che si sono create intorno a queste nuove formazioni hanno fatto sì che oggi quattro partiti potrebbero vincere le elezioni, ma nessuno ha la possibilità di governare da solo.
L’ultimo sondaggio di Metroscopia pubblicato da El País il 14 dicembre vede il Pp del premier Mariano Rajoy in testa con il 26,2% delle intenzioni di voto seguito a distanza dal Psoe, guidato dal giovane segretario Pedro Sánchez con il 20,6%, tallonato a sua volta da Podemos al 19% e da Ciudadanos al 17%. Tradotto in termini di seggi, i popolari otterrebbero fra 110 e 118 seggi, in discesa rispetto ai 186 che avevano conquistato nel 2011, quando con il 44% dei voti avevano la maggioranza assoluta nel Congresso; i socialisti guadagnerebbero 90 seggi, in leggero calo rispetto ai 110 del 2011. Nelle ultime due settimane Podemos è risalito nei sondaggi e ha superato in termini di intenzioni di voto la new entry Ciudadanos che ha perso 3 punti e si ferma al 17%. In termini di risultato però le due nuove formazioni otterrebbero circa 60 seggi ciascuno. Solo una eventuale alleanza fra il Pp e Ciudadanos permetterebbe di formare un governo con una risicata maggioranza, sebbene il leader di C’s, Albert Rivera, lo abbia escluso in maniera categorica.
Con questi numeri non ci sarà nessun partito in grado di formare un esecutivo monocolore o di maggioranza assoluta, ma vi saranno quattro minoranze che, se non disposte ad allearsi per dare vita ad un governo di coalizione, potrebbero dare luogo ad un’instabilità politica sconosciuta alla Spagna democratica. Pertanto la prospettiva è un governo di minoranza che si tradurrebbe in ingovernabilità o nuove elezioni.
I due nuovi partiti, Podemos e Ciudadanos, entrati nella elite della politica spagnola, sono fra loro antagonisti e si sono presentati agli elettori come un’opzione alternativa rispetto al Pp e al Psoe. Pablo Iglesias e Albert Rivera, rispettivamente leader di Podemos e Ciudadanos, sono due trentenni che si sono affermati come portatori di un discorso di rigenerazione contro la “vecchia politica”, la “casta” e le sue pratiche corruttive.
Pablo Iglesias, che viene dalle lotte “movimentiste” degli “indignati”, ha chiesto durante tutta la campagna elettorale la fine delle politiche di rigore attuate dal governo Rajoy in questi anni. La scommessa di Podemos è contare sulla denominata “fluttuazione programmatica” dove i momenti di fermento politico non vengono “ossificati” in una iscrizione nelle nuove istituzioni democratiche. Se molti figli di operai hanno avuto l’accesso all’università e hanno imparato a non identificarsi più con l’origine dei propri genitori – benchè ormai vivano peggio di loro –, le singole battaglie particolari fanno nascere una rinnovata forma di populismo e l’affermazione di nuovi movimenti sociali poiché esistono tante realtà quanti sono gli individui. Il pensatore argentino Ernesto Laclau, ispiratore di Podemos, vede in questa formazione una trasformazione di una popolazione frammentata in “popolo”, un “noi” che trova la propria unità nella lotta opponendosi al governo in carica, il “loro”. La sorpresa Podemos si è manifestata nelle elezioni europee del maggio 2014, quando inaspettatamente la nuova formazione ha conquistato 5 seggi sui 54 complessivi concessi alla Spagna. Molti si interrogarono sui motivi del successo di un movimento che i più consideravano un fenomeno minoritario e congiunturale che si sarebbe presto sgonfiato. In realtà Podemos veniva a riempire un vuoto creatosi nel centro della politica spagnola a causa della dura e prolungata crisi economica. Il carico di sofferenze e sacrifici imposti alla maggioranza della popolazione, la corruzione persistente, il discredito dei politici e dei partiti, la loro indifferenza nei confronti dei cittadini in difficoltà aveva generato un muro di incomunicabilità e un vuoto di rappresentanza che Podemos non ha fatto altro che riempire. Nato nelle aule dell’Università Complutense di Madrid e forgiatosi nelle lotte degli indignados di cui l’occupazione della Puerta del Sol nel maggio 2014 è il simbolo, Podemos non ha fatto altro che crescere nei consensi nell’arco di pochi mesi. Nel novembre del 2014 i sondaggi lo davano come primo partito al 27% delle intenzioni di voto. Per un momento è sembrato che questo trend dovesse durare e Iglesias ci ha creduto. In un discorso a Valladolid nel febbraio 2015 Iglesias disse: «Vogliamo vincere. Vogliamo il 50% dei seggi perché senza il 50% non cambieremo il paese e credo che in un momento come questo vi sono sufficienti ragioni per ottenere la maggioranza». Ma si sbagliava. Già alle elezioni comunali e regionali che si sono svolte nel maggio e nel settembre 2015 si è visto che il movimento, pur avendo conquistato insieme a liste civiche le municipalità di Madrid e Barcellona, non aveva un radicamento reale sul territorio ma solo nei grandi centri urbani.
Di diversa estrazione sono invece Ciudadanos e il suo leader Albert Rivera, ex campione di pallanuoto, catalano e considerato da molti una specie di Renzi spagnolo in quanto portatore di un progetto di rinnovamento, basato sull’ottimismo e sull’unità del paese e, quindi, contro le spinte separatiste che si manifestano in Catalogna: «Solo unita la Spagna può risollevarsi e tornare a competere con le migliori nazioni». Nel disegno politico di Rivera è dunque necessaria l’idea di una Spagna unita e indivisibile e per questo propone un “governo di apertura” di cui faranno parte solo i “migliori”, quelli che provengono dalla società civile o da altri partiti. Secondo Rivera è necessario dare avvio ad una nuova tappa che guardi al futuro. Un discorso di rinnovamento, con un messaggio rassicurante che piace ai moderati dei due schieramenti. Per questo il suo partito ha eroso la base elettorale del Pp a destra, ma ha rosicchiato voti anche a sinistra, contendendo al Psoe il secondo posto nella corsa elettorale. Il recupero di consensi nelle ultime settimane dei due maggiori partiti ha sembrato aver frenato l’ascesa di Rivera e del suo movimento, che si collocava come l’ago della bilancia per una futura governabilità, nonostante nel dibattito tra i tre candidati del cosiddetto “fronte del cambiamento”, Pedro Sánchez (Psoe), Albert Rivera (Ciudadanos) e Pablo Iglesias (Podemos), il leader di C’s si fosse distinto come il più alternativo agli altri, lamentando a socialisti e a Podemos sia una carenza di temi in materia di occupazione sia una capacità di critica poco costruttiva nei confronti del governo a guida Pp.
La causa di questo radicale cambiamento nelle preferenze degli elettori ha trovato un terreno fertile nella lunga crisi economica esplosa con violenza nel 2009. La crisi, che in Spagna ha travolto il governo Zapatero, ha riportato al potere il Partido Popular di Mariano Rajoy. Quest’ultimo ha applicato alla lettera le indicazioni dell’Unione europea e della Bce: nuova legge sul lavoro che concede la totale flessibilità in entrata e uscita, abolizione della contrattazione collettiva a livello nazionale privilegiando quella aziendale, tagli allo stato sociale, privatizzazione della sanità e della scuola e una riforma contestata delle pensioni. Per fronteggiare la crisi della banche, Rajoy è stato costretto a chiedere il rescate all’Unione europea che ha concesso un prestito di 40 miliardi di euro per salvarle dal fallimento. Cosa che lui non ha mai voluto ammettere chiamandola “una linea di liquidità” concessa dalla Ue e che tutti ora gli rinfacciano come un’umiliante sconfitta. Tuttavia la cosa che più lo ha danneggiato sono stati i numerosi scandali esplosi durante la sua amministrazione (uno dei quali lo ha interessato in prima persona con il “caso Bárcenas”), che hanno visto coinvolti esponenti di primo piano del Pp come Rodrigo Rato, ministro delle finanze nei governi Aznar, direttore del Fondo monetario internazionale e amministratore di Bankia, assurto a simbolo della corruzione del potere.
Per la prima volta dunque nella storia della democrazia spagnola, le inchieste giudiziarie potrebbero assumere un peso politico specifico, favorendo una formazione piuttosto che un’altra nelle intenzioni di voto degli spagnoli.
In un paese come la Spagna, che ama come pochi i paradossi, l’elettore ha sempre scelto un voto “utile” a favore di partiti che gli sembravano il male minore mentre ora si rischia di passare al voto “inutile” esprimendo un Parlamento che rappresenta molte minoranze. Obbligo per tutti i partiti sarà quello di evitare l’instabilità e raggiungere la necessaria rigenerazione del sistema politico spagnolo. Di qui la situazione d’incertezza di una Spagna in bilico per l’assetto politico plasmato dalla Costituzione del 1978 con il suo bipartitismo imperfetto. A quarant’anni da quella Costituzione, è necessario aprire una nuova tappa. Domenica 20 dicembre la Spagna ha l’opportunità di iniziare questo nuovo cammino.
Gilberto Bonalumi, ISPI Scientific Advisor