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L'alleanza

Speciale Afghanistan: NATO in ritirata

23 Agosto 2021

La NATO punta all’evacuazione del personale dal paese, così come di migliaia di cittadini afghani. Molti paesi membri chiedono però di estendere oltre fine mese la data ultima per l’evacuazione.

“Il nostro compito è ora quello di far fede al nostro impegno di proseguire con la messa in sicurezza dei nostri cittadini, di quelli dei paesi partner, e degli afghani a rischio, in particolare coloro che hanno assistito i nostri sforzi”. È quanto si legge nel breve comunicato diramato dopo la riunione di venerdì 20 agosto tra i ministri degli Esteri dei paesi membri della NATO. Nel comunicato non compare mai la parola “Talebani”, quasi a non voler riconoscere gli artefici del ritiro. Si parla invece di “coloro in posizione di potere”, mentre le istituzioni di Kabul appaiono sempre più nel caos. Nonostante gli studenti coranici abbiano più volte invocato una transizione pacifica e chiesto a chi occupava impieghi pubblici di tornare al lavoro, le speranze per un governo realmente inclusivo sono al momento minime.
Per l’alleanza atlantica, dunque, il ritiro prosegue. Il presidente USA Joe Biden spera di completarlo entro il 31 agosto, e di non esporre le proprie truppe a eventuali ritorsioni talebane, ma sono in molti a ritenere che sia necessario più tempo.

 

Posticipare l’evacuazione?

Dopo la riunione di venerdì scorso, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha riferito che molti paesi membri hanno chiesto di mantenere aperto l’aeroporto internazionale di Kabul anche oltre il 31 agosto, per continuare con il processo di evacuazione. È infatti dentro e fuori dall’Aeroporto “Hamid Karzai” – dove sarebbero almeno venti i morti dalla presa talebana della capitale – che si stanno consumando le ore più intense sia del ritiro degli stranieri sia dei tanti afghani che cercano riparo all’estero. Dallo scorso 15 agosto, quando i Talebani sono entrati a Kabul, l’aeroporto è preso d’assedio: sarebbero almeno 15mila gli afghani assiepati all’esterno, dove il filtraggio è gestito da miliziani talebani. Il timore di molti paesi NATO è che una settimana non sia sufficiente per portare in salvo tutti i cittadini USA e degli altri paesi alleati, nonché gli afghani che negli ultimi vent’anni hanno collaborato con gli occidentali. Il problema principale, sottolinea Stoltenberg, non è tanto l’evacuazione, ma raggiungere Kabul. Una sfida direttamente proporzionale alla distanza dalla capitale: il controllo capillare del territorio da parte dei Talebani rende ancor più difficile lasciare le zone più rurali dell’Afghanistan. Secondo alcune stime, ad oggi sarebbero più di 30mila le persone evacuate, di cui 7800 solo nella giornata di sabato 21 agosto, grazie agli aerei messi a disposizione dai paesi occidentali.
Al G7 di martedì prossimo, il premier britannico Boris Johnson cercherà di convincere Biden a mantenere le truppe USA all’aeroporto anche oltre il 31 agosto. Biden sembra convinto di riuscire a rispettare questa data, anche se ha detto che “se ne può parlare”. 

Quali i rischi del posticipo?

La deadline finale sul ritiro è stata più volte cambiata ma per Biden il 31 agosto ha anche il sapore di promessa politica, in un momento in cui si moltiplicano le critiche al successore di Donald Trump. Gli USA manterranno l’impegno del ritiro entro fine mese nella speranza che la controparte, i Talebani, rispettino le loro promesse di non attaccare i contingenti stranieri nelle operazioni di evacuazione. Tutta la coalizione occidentale sembra dipendere dagli Stati Uniti ed è verosimile che nessuna truppa straniera rimanga in Afghanistan dopo che gli ultimi militari americani se ne saranno andati. Lo conferma anche il segretario di stato per la Difesa del Regno Unito Ben Wallace: “Se i loro [degli USA, ndr] tempi si allungano, allora rimarremo anche noi […] ma è da escludere che resteremmo anche dopo la partenza delle truppe USA”. Se da un lato anche alcuni giorni in più potrebbero tradursi in migliaia di ulteriori evacuazioni, dall’altro lato, per i Talebani, questi ulteriori giorni rappresenterebbero una provocazione che potrebbe dar luogo a scontri con le truppe straniere ancora nel paese: “Sarebbe un tradimento della fiducia reciproca. Se vogliono continuare l’occupazione, questo comporterà una reazione”, ha fatto sapere il portavoce talebano Suhail Shaheen.

(Quale) missione compiuta?

Da quando è iniziato il ritiro delle forze occidentali, con la progressiva avanzata talebana, l’alleanza atlantica è accusata di aver fallito la sua missione iniziata vent’anni fa. La NATO stessa fa eco a Biden, e difende la scelta del ritiro, sostenendo che l’obiettivo della missione iniziata in seguito agli attacchi di al-Qaeda dell’11 settembre 2001 fosse evitare il ripetersi di attentati terroristici contro gli USA e gli altri alleati. Un obiettivo che, come sostiene il comunicato di venerdì scorso, sarebbe stato raggiunto, scongiurando che l’Afghanistan torni ad essere “un porto sicuro” per al-Qaeda o il cosiddetto Stato islamico. Tuttavia, la missione NATO “Resolute Support” iniziata a fine 2014 e pensata come supporto alle istituzioni militari e di polizia afghane si è rivelata un fallimento nelle 24 ore che sono bastate per far cadere la capitale nelle mani dei miliziani islamici. L’addestramento delle forze statali afghane si è rivelato inutile e inefficace, con le autorità centrali (in primis il presidente Ashraf Ghani) che non hanno opposto resistenza all’avanzata dei talebani. Per la NATO, l’Afghanistan rischia di diventare uno spartiacque per la propria storia: un enorme dispendio di denaro – oltre 2mila miliardi di dollari il costo totale della guerra in Afghanistan – che non ha contribuito ad una reale stabilizzazione del paese.

 

Il commento

Di Alessandro Minuto Rizzo, Presidente della NATO Defense College Foundation

Si è parlato molto della NATO in questi giorni ed è opportuno mettere le cose bene in fila per evitare confusioni. L’Alleanza Atlantica ha iniziato l’operazione in Afghanistan l’11 agosto 2003. E chi scrive presiedeva il Consiglio Atlantico a Kabul. La prima operazione fuori area della NATO decisa per partecipare alla lotta al terrorismo internazionale dopo l’11 Settembre, a fronte della decisione di applicare l’art 5 del Trattato per soccorrere gli Stati Uniti e andare a dare una mano all’America impegnata in una situazione difficile. In conclusione, un’operazione di solidarietà verso gli Stati Uniti, che dovrebbero esserne riconoscenti. Quindi non solo solidarietà politica, ma anche un contributo concreto e continuato sul terreno.

Va anche aggiunto che la NATO non ha mai avuto un ruolo politico nel paese o di interfaccia con il governo afghano. Un ruolo esercitato in buona sostanza dagli americani. La sua è stata una funzione tecnica nel campo della “sicurezza”, che ha svolto con serietà e lealtà. A parte le perdite umane, i paesi della NATO presenti hanno sostenuto ingenti oneri finanziari. Quando si parla di fallimento dell’organizzazione si fa confusione perché le forze dell’Alleanza hanno svolto sul terreno quanto è stato loro richiesto, con effettivi limitati rispetto alle necessità e con regole di ingaggio molto strette. Qualche dichiarazione di Stoltenberg può avere dato l’impressione che ci sia stato un coinvolgimento nelle scelte che sono state fatte, mentre in realtà le decisioni strategiche sono state prese a Washington. Come del resto è sempre stato nel corso degli anni quando si è trattato di Afghanistan

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

 
 
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FREELANCE JOURNALIST AND RESEARCHER, DIRECTOR OF LETTERA 22
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Afghanistan terrorismo Nato
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