Speciale Ucraina: Bucha, il giorno dopo | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Il conflitto

Speciale Ucraina: Bucha, il giorno dopo

04 aprile 2022

Presunti crimini di guerra a Bucha, ma Mosca nega ogni accusa. L’Europa pensa a nuove sanzioni mentre Orban, rieletto in Ungheria, festeggia: “Abbiamo vinto contro Bruxelles e il presidente dell’Ucraina”.

Il quarantesimo giorno di guerra in Ucraina si è aperto con le accuse di crimini di guerra a Bucha, 25 chilometri a nord-ovest di Kiev, da cui le truppe russe si erano ritirate venerdì, e in cui sono stati rinvenuti corpi di civili torturati e uccisi e fosse comuni. Il procuratore generale di Kiev ha riferito di almeno 410 corpi martoriati ma il macabro conteggio è ancora in corso e il numero è destinato a salire. Mosca nega le accuse e parla di fake-news per quello che il ministro degli Esteri Ucraino Dmytro Kuleba ha definito “un massacro deliberato” accusando i russi di essere “peggio dell’Isis”. Un salto di qualità nell’orrore della guerra, che getta pesanti incognite sul già incerto processo di negoziato in corso tra i due paesi, anche se il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che oggi ha visitato l'ospedale nella località alle porte di Kiev, ha ribadito che, nonostante le atrocità, è suo dovere continuare a trattare con i russi. E se i leader occidentali hanno condannato le atrocità di Bucha, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres chiede un’indagine indipendente. Appello, il suo, a cui si sono accodati, tra gli altri, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Nuove bombe, intanto, sono cadute su Odessa, dove i russi hanno distrutto una raffineria di petrolio e le sue riserve. La città, principale porto sul Mar Nero, era stata finora risparmiata dalle violenze, ma sembra sempre più chiaro che sarà al centro del ridispiegamento di Mosca, finalizzato a prendere il controllo della parte Sud dell’Ucraina.

 Il videocommento di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo dell'ISPI

 

Europa verso nuove sanzioni?

Le notizie dei massacri avvenuti nei dintorni di Kiev fanno montare la pressione sull'Unione europea perché adotti un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Sul tavolo c’è l'embargo a gas, petrolio e carbone russi – uno stop già scattato dal primo aprile in Lettonia, Lituania ed Estonia – ma anche la chiusura dei porti a navi e merci russe. Berlino però ha già detto il primo no: “Vogliamo essere meno dipendenti dalle importazioni di energia dalla Russia in poco tempo” ha detto il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner arrivando all’Eurogruppo, ma “al momento non è possibile tagliare il gas”. I leader europei hanno approvato finora quattro pacchetti di sanzioni alla Russia in risposta alla sua invasione dell'Ucraina, ma rimangono divisi sull'imposizione di un embargo energetico a Mosca e hanno respinto gli appelli di Kiev per una no-fly zone. In un appello all'Occidente perché aumenti i suoi sforzi per aiutare il paese, il presidente ucraino Zelensky ha detto che “ogni missile russo e ogni bomba sganciata aggiunge solo vernice nera alla storia che descriverà da chi è dipesa la decisione di aiutare o meno l'Ucraina con armi moderne”. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti avevano annunciato di voler aiutare paesi alleati a trasferire in Ucraina mezzi corazzati di fabbricazione sovietica per aiutare le forze ucraine a rispondere all'invasione russa. Inoltre, il Pentagono ha annunciato che fornirà fino a 300 milioni di dollari in più di aiuti militari, inviando anche armi di ultima generazione come missili guidati da laser e droni ‘kamikaze’. 

 

Orban vincitore in patria, isolato fuori?

“Abbiamo vinto contro la sinistra ungherese, contro la sinistra internazionale, contro la burocrazia di Bruxelles, contro la macchina di Soros e perfino contro il presidente dell'Ucraina”: con queste parole Viktor Orban, primo ministro ungherese, ha annunciato la vittoria, per la quarta volta consecutiva, del suo partito Fidesz alle elezioni legislative. Al termine dello scrutinio Fidesz conta il 53% delle preferenze contro il 35% dell'alleanza di opposizione guidata da Peter Marki-Zay: il partito di governo conserva quindi la maggioranza assoluta in Parlamento che gli permette di cambiare la Costituzione. Ma la sua vittoria – contro cui avevano neanche troppo segretamente tifato le istituzioni europee – pone ora un altro problema in seno all’Unione: se negli ultimi anni lo scontro tra Budapest e Bruxelles era ruotato intorno allo stato di diritto, le politiche migratorie, legge anti-Lgbt e il Green deal, la guerra in Ucraina ha segnato un altro punto di svolta. L’equidistanza di Orban sul presidente russo Vladimir Putin è la goccia che potrebbe far traboccare il vaso: Budapest ha sì aderito alle sanzioni ma ha messo il veto all’embargo su gas e petrolio contro Mosca e ha rifiutato di fornire o far transitare armi destinate alla resistenza ucraina. Scelte che hanno alienato a Budapest la simpatia dei paesi limitrofi, in prima linea contro l’offensiva di Putin. La scorsa settimana, anche gli altri paesi del blocco di Visegrad – Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia – hanno deciso di boicottare un incontro ministeriale che doveva svolgersi in Ungheria.

 

Ankara baluardo di mediazione?

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a credere nella diplomazia per risolvere la crisi ucraina e al termine di una telefonata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, attraverso un comunicato della presidenza, fa sapere che “gli sforzi per la pace continuano con decisione”. Il presidente turco, che nel pomeriggio ha avuto dei colloqui telefonici con il presidente finlandese Sauli Niinisto e con il presidente bulgaro Rumen Radev, può a buon titolo considerarsi il ‘vincitore’ di questa crisi. Nel suo inaspettato ruolo di mediatore ha riacquisito centralità nel quadro internazionale e all’interno della Nato; è riuscito (momentaneamente?) a far dimenticare le critiche sull’autocrazia, la gestione dei profughi ‘usati’ come armi contro l’Europa, oltre alle manovre spericolate nel Mediterraneo e in Libia. “Pur avendo condannato, anche all’Onu, l’invasione della Russia e sostenuto la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, Ankara non ha aderito alle sanzioni economiche occidentali, come del resto non lo aveva fatto in occasione dell’occupazione russa della Crimea nel 2014”, sottolinea Valeria Talbot. Al di là del fatto che da quelle sanzioni alcuni comparti dell’export turco hanno tratto vantaggio, sopperendo a forniture europee soprattutto nel settore alimentare, uno strappo con la Russia è un’opzione che la Turchia, guardando anche alle difficoltà della sua economia, non può e non intende prendere in considerazione. Per Ankara è il momento di presentarsi come una potenza matura con un vicinato da preservare e che proprio in virtù di tale rilevanza strategica può porsi da mediatore.

 

***

A cura della redazione di  ISPI Online Publications, Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online.

Ti potrebbero interessare anche:

Zelensky all’ONU: “Demilitarizzare Zaporizhzhia”
Ucraina: l'ONU suona l’allarme e la Russia intensifica gli attacchi
Ucraina: Torna la paura nucleare
Gas: L’estate Sta Finendo
Taiwan: Pechino Mostra I Muscoli
Ucraina: la grande migrazione

Tags

Crisi Russia Ucraina
Versione stampabile

Iscriviti alla Newsletter Daily Focus

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157