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Il conflitto

Speciale Ucraina: da Guernica a Bucha

06 aprile 2022

L’Europa discute le prime sanzioni sull’energia, ma petrolio e gas restano fuori. Il Segretario Nato Stoltenberg avverte: “Prepariamoci a un conflitto lungo”

 

“Siamo nell'aprile 2022, ma sembra di essere nell'aprile 1937. quando il mondo scoprì l'attacco alla città di Guernica”. Con queste parole il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è rivolto nella serata di ieri al parlamento spagnolo. Nei giorni successivi alle stragi di civili a Bucha e Borodjianka e dei presunti, orrendi crimini di guerra commessi dai militari russi, il presidente ucraino ha ricordato che “la Russia è venuta in casa nostra per distruggere il nostro popolo e la possibilità di vivere senza una dittatura. È arrivata portando la guerra nella nostra terra, non ieri o l’altro ieri, ma molto tempo fa. A partire dal 2014, a cominciare dall'occupazione della nostra Crimea”. Domani, dopo il suo appello al Consiglio di Sicurezza Onu, l’Assemblea generale voterà sulla proposta di sospendere il rappresentante russo dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’organismo con sede a Ginevra che si occupa di supervisionare il rispetto e le violazioni dei diritti umani in tutti gli stati aderenti. Da Pechino, intanto, è arrivato l’invito a “tutte le parti a esercitare moderazione” fino a quando non saranno diffusi i risultati dell'indagine su quello che il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha definito “l’incidente di Bucha” aggiungendo, sulle accuse mosse da Kiev contro le truppe russe, che “la verità deve essere scoperta e qualsiasi accusa deve essere basata sui fatti”. Oggi aprendo la riunione dei ministri degli Esteri del Consiglio atlantico Jens Stoltenberg ha detto che “dobbiamo essere pronti ad un lungo confronto con la Russia. Il conflitto potrebbe durare mesi, forse anni. Per questo dobbiamo mantenere le sanzioni e rafforzare la nostra difesa”.

Il commento di Paolo Magri, Vice Presidente di ISPI

Un tabù inviolabile?

Ma i massacri di civili e l’orrore di Bucha, Borodjanka e delle altre città di cui – è legittimo sospettarlo – ancora non abbiamo notizia, non bastano per rinunciare al gas russo. Oggi alla riunione degli ambasciatori dei ventisette al Coreper si è discussa la proposta della Commissione europea per un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Misure che colpiranno soprattutto il carbone e il trasporto marittimo, ma non il petrolio e il gas, che con la messa al bando dai mercati finanziari globali, sono l’unico vero ossigeno rimasto all’economia russa. Contro il veto di Germania e Austria a nulla sono valse le proteste della Polonia o lo strappo delle repubbliche baltiche che già dal primo aprile hanno sigillato i rubinetti del gas in arrivo da Mosca, compensando con un mix di stoccaggi lettoni, gas norvegese e il gnl dagli Stati Uniti. “Se possiamo farlo noi, anche il resto d’Europa può farlo”, ha incalzato il presidente lituano Gitanas Nausėda. Niente da fare, almeno per il momento. Nel pacchetto presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, oltre alle importazioni di carbone, sono previste nuove restrizioni alle importazioni di legno, cemento, frutti di mare, vodka e altri prodotti legati agli oligarchi. Inoltre l’Ue smetterà di esportare tecnologie e macchinari per 10 miliardi di euro in settori in cui la Russia è vulnerabile. Eppure il coro di chi non considera più l’embargo sul gas un tabù inviolabile si sta ampliando.

 

O un prezzo tollerabile?

L’embargo sul gas, infatti, potrebbe rivelarsi fatale per l’economia russa, ma in Europa è diffusa l’idea che lo stop alle importazioni sarebbe ‘insostenibile’ per molti paesi, in particolare la Germania. Le cose però non stanno proprio così, sottolinea Luis Garicano, vicepresidente del gruppo Renew Europe, che in un articolo su Politico spiega come, secondo uno studio di un gruppo di autorevoli economisti tedeschi guidati da Rudi Bachmann, l'impatto di un embargo del gas sulla Germania causerebbe una perdita di PIL tra lo 0,5 e il 3,5%. “Questo è un prezzo che l'Europa può pagare – sottolinea Garicano – considerato che l’eurozona dovrebbe crescere del 3,7% nel 2022 e l'embargo significherebbe la perdita di un anno di crescita”. Senza dubbio costi economici importanti e con enormi ricadute sociali ma allo stesso tempo “chiaramente gestibili – osservano ancora gli esperti – se pensiamo che l'economia tedesca ha superato crisi più profonde negli ultimi anni e si è ripresa rapidamente”. Mettendo insieme le loro capacità, i paesi europei potrebbero far fronte alle difficoltà che tutti – chi più chi meno – incontrerebbero in caso di embargo: Spagna e Italia hanno rigassificatori per il Gln, mentre i Paesi Bassi hanno uno dei più grandi giacimenti di gas naturale al mondo. Ora è chiuso, ma potrebbe essere facilmente riaperto, mentre si dovrebbe costruire un gasdotto di emergenza per portare il gas in Germania e nel resto dell'Europa centrale. “Dobbiamo usare un embargo per difendere i nostri valori – osserva Garicano – servendo i nostri stessi interessi. E dobbiamo farlo insieme”.

 

Non ci sono pasti gratis?

Che il nodo del gas sarebbe arrivato al pettine, d’altronde, era cosa nota. La corsa per diversificare le fonti energetiche è cominciata il giorno stesso dell’invasione dell’Ucraina e da allora l’Italia, che come la Germania è tra i paesi più esposti nei confronti della Russia, ha preso accordi per nuove forniture con Algeria, Libia, Mozambico e Angola. Infine anche un’intesa con l’Azerbaijan, che porta a 9,5 miliardi di metri cubi il flusso di metano che transita dal gasdotto Tap anche per Turchia, Grecia ed Albania. Se finora il governo italiano non ha incoraggiato un embargo sul gas, fonti di Palazzo Chigi fanno trapelare che “neppure si opporrebbe” a una eventuale proposta della Commissione europea per quella che qualcuno ha ribattezzato ‘la madre di tutte le sanzioni’. L’acquisto di petrolio e gas russo – che ai prezzi attuali rischia di fruttare a Mosca tanto quanto tutte le esportazioni del 2020 – sta “finanziando crimini di guerra”, ha affermato il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis, invitando l’Unione Europea a “non rendersi complice”. E, secondo un sondaggio ISPI/Ipsos su cosa pensano gli italiani della guerra, sono già quasi nove su dieci (86%) le persone che si dicono disposte a ridurre i propri consumi in caso di una crisi energetica generata dal conflitto. Sulla questione dell'energia “dobbiamo essere chiari, dobbiamo liberarci dalle nostre dipendenze – ha detto il presidente del Consiglio Ue Charles Michel – Dobbiamo impegnarci senza aspettare per diversificare le fonti di approvvigionamento. Questa non è un’operazione speciale. Questi sono crimini di guerra. E noi non ci gireremo dall’altra parte”.

 

***

A cura della redazione di  ISPI Online Publications, Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online.

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