Verso un embargo all’oro russo e tetto al prezzo del petrolio. Draghi: “se l’Ucraina perde, tutte le democrazie perdono”.
“Siamo uniti con l'Ucraina, perché se l'Ucraina perde, tutte le democrazie perdono. Se l'Ucraina perde, sarà più difficile sostenere che la democrazia è un modello di governo efficace”: in poche parole il premier Mario Draghi racchiude il senso del vertice in corso da ieri in Baviera, dove i leader del G7 sono al lavoro per introdurre ulteriori sanzioni contro l’economia russa. Tra le proposte principali c’è quella relativa ad un embargo sull’oro di Mosca e l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio russo. Entrambe le proposte, fortemente caldeggiate dal presidente americano Joe Biden starebbero facendo progressi, ma gli ostacoli non mancano. “Vogliamo assicurarci che se andiamo in questa direzione avremo il sostegno dei 27 stati membri – ha spiegato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel – e che, come ho detto in precedenza, l’obiettivo sia quello di colpire la Russia e non di renderci la vita più difficile e più complessa”. A causa delle sanzioni internazionali oggi la Russia è andata tecnicamente in default per la prima volta dal 1918. Ma si tratta di un evento più simbolico che reale: Mosca avrebbe le risorse per far fronte ai pagamenti sul debito in valuta estera, ma non può procedere perché Europa e Stati Uniti l'hanno esclusa dal circuito dei pagamenti internazionali. A cinque mesi dall'inizio dell'aggressione, i leader riuniti nella cornice del castello di Schloss Elmau devono confrontarsi con una verità scomoda: le sanzioni finora adottate non hanno fermato l'avanzata russa nel Donbass, né indebolito Putin sul piano interno. Nel frattempo, la guerra ha innescato una spirale di aumento dei prezzi degli idrocarburi e dunque dell'inflazione. Le pressioni sulla Russia “non devono diminuire” ha raccomandato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in collegamento al G7, chiedendo ai leader riuniti di intensificare gli sforzi e le forniture di armi “per fare tutto il possibile perché la guerra finisca prima dell’inverno”.
Un tetto al prezzo del petrolio?
La strategia è chiara: imporre un tetto al prezzo del petrolio limiterà gli introiti che il Cremlino può destinare alla sua macchina da guerra, mitigando al tempo stesso l’aumento dei prezzi dell’energia sulle economie occidentali senza tagliare l'offerta di petrolio sui mercati mondiali. Secondo il Financial Times il primo ministro italiano Mario Draghi lo ha detto chiaramente ai colleghi del G7: “dobbiamo ridurre la quantità di denaro che va in Russia e sbarazzarci di una delle principali cause dell'inflazione”. Il tema è in discussione non solo tra i leader delle 7 ‘grandi’ economie – tra cui permangono delle resistenze, prima fra tutti la Germania – ma anche a livello più ampio con i paesi partner invitati al vertice. Tra questi l'India, diventata negli ultimi quattro mesi uno dei principali acquirenti di petrolio russo a prezzi ‘scontati’ assieme alla Cina, l'Argentina, il Sud Africa, il Senegal e l'Indonesia. In base allo schema, l'Europa limiterebbe la disponibilità di servizi di spedizione e assicurativi che consentono il trasporto mondiale di petrolio russo, ai soli importatori che rispettino il tetto sul prezzo. Una simile restrizione verrebbe imposta alla disponibilità dei servizi finanziari statunitensi.
Un’alternativa alla ‘via della seta’?
L’attenzione riservata dal G7 alle economie in via di sviluppo va di pari passo con la consapevolezza che, riguardo alla guerra, molti paesi africani, asiatici e latinoamericani hanno manifestato la volontà di non allinearsi con l’Europa e gli Stati Uniti. Non a caso il vertice in Germania ha fornito l’occasione di rilanciare l’alternativa occidentale alla ‘Via della seta’: è la Partnership for Global Infrastructure, un progetto di investimenti in infrastrutture da 600 miliardi di dollari da sviluppare nei prossimi cinque anni, il cui obiettivo è contrastare la crescente influenza russa e cinese nel mondo in via di sviluppo. Alla cifra totale gli Stati Uniti contribuiranno con 200 miliardi di dollari tra finanziamenti federali e investimenti del settore privato. A cui si aggiungono i 300 miliardi di euro già annunciati dall'Ue. Nelle intenzioni dei promotori, la 'Partnership for Global Infrastructure and Investment' mira a colmare il divario infrastrutturale nei paesi in via di sviluppo, rafforzare l'economia globale e le catene di approvvigionamento e far progredire la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. L'iniziativa era stata lanciata da Biden e gli altri leader del G7 al vertice in Cornovaglia: “Quando le democrazie si uniscono, non c'è nulla che non possano realizzare” ha sottolineato Biden. “Questo piano non è carità, è un investimento che avrà un ritorno per gli americani e per tutti i cittadini del mondo”.
La “minaccia più significativa”?
Ma al netto dei proclami a preoccupare gli Alleati è soprattutto l’influenza di Cina e Russia nei paesi in via di sviluppo. Da martedì a giovedì il vertice Nato in corso a Madrid ruoterà intorno alla guerra in Ucraina e all’allargamento a Svezia e Finlandia, certo, ma anche alla crescente influenza della Russia e della Cina in Africa. In quanto ospite del vertice, la Spagna fa pressioni per una maggiore attenzione sul quadrante meridionale della Nato e a considerare i mercenari russi della Wagner uno strumento di pressione del Cremlino nel continente, dove anche la Cina rafforza da tempo e silenziosamente la propria presenza. Il vertice dovrà varare il nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza: il documento viene aggiornato all'incirca ogni decennio per ripristinare l'agenda di sicurezza dell'Occidente. Il prossimo formalizzerà i nuovi orizzonti di interesse dell’Allenza, indicando nella Russia “la minaccia più significativa e diretta” alla sicurezza collettiva. Ma includerà anche un riferimento alla crescente portata militare della Cina sia dentro che fuori il teatro del Pacifico.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications.