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Kiev-Bruxelles

Speciale Ucraina: l'Unione fa la forza?

01 marzo 2022

Pochi progressi dopo i colloqui in Bielorussia. Pesanti bombardamenti su Kharkiv e le truppe del Cremlino avanzano verso Kiev, dove è stata colpita la torre TV. Sale intanto il malcontento anche in Russia mentre l’UE si riscopre unita: considera l’integrazione dell’Ucraina e continua ad accogliere i profughi.

 

I colloqui di Gomel, sul confine bielorusso, tra le delegazioni ucraina e russa non sono stati risolutivi. Le due parti concordano sul tenere aperto il canale di dialogo e che ci saranno altri round interlocutori, ma per ora non si può parlare di negoziati o trattative. Non si è raggiunto il cessate-il-fuoco richiesto da Kiev e anche durante l’incontro i bombardamenti russi sono continuati. L’escalation militare riguarda soprattutto Kharkiv, dove – secondo il governo ucraino – missili russi avrebbero colpito aree residenziali di quella che è la seconda città dell’Ucraina. E, sempre secondo fonti locali, almeno 70 soldati ucraini sarebbero morti in un attacco dell’artiglieria russa a Okhtyrka, tra Kharkiv e Kiev. Verso la capitale, inoltre, immagini satellitari segnalano un convoglio russo lungo oltre 60 chilometri che trasporta mezzi corazzati e artiglieria pesante. Da Pechino arrivano segnali che lasciano intravedere un ruolo di mediazione della Cina, che condanna lo scoppio del conflitto e fa fede al principio di rispetto dell'integrità territoriale. Secondo alcune analisi, la Cina potrebbe sfruttare i propri rapporti privilegiati con la Russia per imporsi come paciere regionale e mediare una tregua in Ucraina. Dopo i colloqui di Gomel, è arrivata la firma del presidente Volodymyr Zelensky per la richiesta di una corsia preferenziale per l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Ora Bruxelles, che ha già promesso aiuti militari per 500 milioni di euro, dovrà prenderla in carico e decidere circa lo status di paese candidato, ma la situazione richiede una procedura accelerata. Nel frattempo, continua il dramma dei profughi in fuga dall’Ucraina e che stanno incontrando la solidarietà dei paesi confinanti. In Russia, infine, proseguono le proteste contro la guerra: dall’inizio dell’invasione, sono stati arrestati oltre 6mila cittadini russi che protestavano contro l’aggressione dell’Ucraina. E al malcontento contro la guerra, presto si aggiungerà quello dell’effetto delle sanzioni.

 

Il video-commento di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo dell'ISPI

 

L’UE integrerà Kiev?

“Chiediamo all’Unione Europea l’ingresso immediato dell’Ucraina attraverso una nuova procedura speciale”, ha annunciato il presidente ucraino Zelensky dopo aver firmato una richiesta ufficiale d’adesione all’UE nella serata di lunedì 28 febbraio. “Gli europei stanno assistendo a come i nostri soldati stanno combattendo non solo per il nostro paese, bensì per tutta l’Europa, per la pace, per tutti i paesi dell’Unione Europea”, ha aggiunto il capo di stato ucraino. E già otto paesi membri dell’UE – Bulgaria, Cechia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia – hanno firmato una lettera congiunta per sostenere la richiesta di Kiev di far parte dell’UE e garantirgli il prima possibile lo status di paese candidato all’ingresso ed aprire i negoziati d’adesione. Come prevede l’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea, quello che disciplina l’adesione, la richiesta di Kiev deve ora essere presa in carico dal Consiglio, che può decidere se chiedere un’opinione alla Commissione europea, che esprime una raccomandazione, e sarà quindi il Consiglio a decidere se conferire all’Ucraina lo status di paese candidato. Ad ogni modo, la procedura richiede molto tempo, quello che Kiev non ha, e da qui la richiesta di una corsia preferenziale in virtù degli sviluppi bellici. Sta di fatto che la richiesta ucraina ha un alto valore simbolico che, dopo la decisione senza precedenti dell’UE di finanziare gli armamenti, mette Bruxelles di fronte alla possibilità di rivedere la propria strategia di allargamento.

 

Una solidarietà ritrovata?

Dall’Unione Europea arriva poi l’aiuto per le centinaia di migliaia di profughi che stanno scappando dall’Ucraina. Ad oggi, sono oltre 660mila quelli che hanno raggiunto i paesi confinanti (gli sfollati sono già un milione): 370mila nella sola Polonia – dove il governo prevede circa 50mila arrivi al giorno –, quindi Ungheria, Romania, Moldavia e Slovacchia. Come riporta la BBC, le stime dell’UE dicono che circa quattro milioni di ucraini potrebbero lasciare il paese a causa dell’invasione russa. I 27 potrebbero dunque allentare le regole sui rifugiati e prepararsi ad un’accoglienza su larga scala. La Polonia – che già sabato scorso aveva fornito un treno per trasportare i feriti dal confine ucraino a Varsavia – sta accogliendo tutti gli ucraini in fuga, anche qualora siano sprovvisti di documenti. Una posizione condivisa anche dall’Ungheria che sta facendo “entrare tutti” (cittadini ucraini e altri residenti), come ha detto il primo ministro Viktor Orban dalla città di confine di Beregsurány. Aperture che mostrano una solidarietà inedita da parte dei due paesi che più di tutti dalla crisi migratoria del 2015 hanno remato contro le politiche di accoglienza dell’Unione Europea. La solidarietà per i rifugiati arriva anche dai paesi balcanici che non sono parte dell’UE. L’Albania, come dichiara il premier Edi Rama, è pronta ad accogliere rifugiati ucraini. La Serbia – alleata di Mosca nonché unico paese europeo che non ha apertamente condannato l’invasione sostenendo semplicemente l’integrità territoriale dell’Ucraina – si dice anch’essa disposta all’accoglienza. Dichiarazioni simboliche, forse, ma che aumentano la percezione di una Russia sempre più isolata.

ASCOLTA IL NOSTRO PODCAST SULLA GEOPOLITICA

 

E in Russia?

Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, migliaia di cittadini russi sono scesi in piazza in tutto il paese. “Niet voine” (no alla guerra) è il grido diffusosi in oltre 50 città da San Pietroburgo alla Siberia e che, stando al portale indipendente russo OVD-Info, avrebbe finora portato a 6500 arresti tra i manifestanti. Numeri che non possono essere automaticamente interpretati nella direzione di un calo in popolarità del presidente Vladimir Putin ma che, col proseguire della guerra, avranno un’influenza sulla società russa. E questa dovrà presto fare i conti con i primi effetti delle sanzioni dell’Occidente, che colpiscono indiscriminatamente sostenitori ed oppositori del governo. La svalutazione del rublo è stata parzialmente recuperata dall’intervento sui tassi di interesse della Banca Centrale russa, che detiene circa 650 miliardi di dollari di riserve, soprattutto in valuta estera. Ad ogni modo, la paura per gli effetti delle sanzioni finanziarie è stata evidenziata dalle lunghe file agli sportelli ATM. Le sanzioni potrebbero portare a una crisi economica caratterizzata da un’alta inflazione dovuta alla necessità di stampare nuovi rubli, per via dell’impossibilità di accedere a una valuta forte come dollaro o euro per sostenere settori economici in declino. Una situazione che potrebbe generare un malcontento diffuso, capace anche di tradursi in un’opposizione politica a Putin, colpevole di aver trascinato il paese in un’avventura bellica che i russi non si possono permettere.

 

 

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Image credits: European Union

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