Il conflitto in corso in Ucraina sta dimostrando in modo incontrovertibile come una guerra combattuta nel Ventunesimo secolo non possa prescindere dalla dimensione digitale. L’utilizzo di tecnologie moderne per sferrare attacchi alle infrastrutture critiche, la diffusione di fake news e il coinvolgimento di attori non statali hacker come Anonymous sono soltanto la punta di un iceberg che vede nella guerra ibrida una nuova frontiera dell’epoca contemporanea.
Conscio del ruolo di Internet in questa guerra, il Ministro della Trasformazione digitale ucraino ha inviato una lettera all’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), e al RIPE NCC (Réseaux IP Européens Network Coordination Centre) richiedendo la revoca dei domini russi (es: “.ru”, “. pф” e “.su”) lo spegnimento dei root server DNS situati in Russia, nonché la revoca del diritto all’uso degli indirizzi IPv4 e IPv6 da parte di tutti i membri russi di RIPE NCC.
L’adozione di queste misure, si legge nella lettera, sarebbe necessaria per evitare la divulgazione di informazioni manipolate dai russi a fini di propaganda.
Ma sarebbe davvero così?
L’architettura di Internet
Per analizzare i potenziali effetti e conseguenze derivanti da un’eventuale accettazione della richiesta, è necessario soffermarsi brevemente sul contesto tecnico della petizione ucraina.
ICANN è l’autorità che si occupa della gestione e supervisione del sistema dei nomi di dominio, il cosiddetto DNS (Domain Name System), elemento fondante di Internet; mentre il RIPE NCC è il registro Internet che si occupa di supervisionare l’allocazione e registrazione degli indirizzi IP (in particolare indirizzi IPv4 e IPv6) in Europa, Medio Oriente e alcune aree dell’Asia Centrale.
Nella sostanza il DNS è una sorta di rubrica che consente agli utenti e ai sistemi collegati a Internet di tradurre un cosiddetto indirizzo Internet, ad esempio www.nomedominio.com, nel corrispettivo indirizzo IP: questa traduzione è fondamentale perché qualsiasi trasferimento di dati su Internet non potrebbe avvenire in assenza dei corretti indirizzi IP. Il DNS funziona esattamente come una rubrica telefonica globale: la rete riconosce esclusivamente numeri di telefono, il DNS permette di non doversi ricordare i numeri, ma di poter accedere semplicemente ricordando il nome. Ad esempio www.wikipedia.com, corrisponde all’indirizzo 91.198.174.194.
Tutti i nomi di dominio della Russia sono organizzati in un registro che viene identificato come “.ru” (oppure “.pф” e “.su”). La rimozione del registro russo da parte di ICANN comporterebbe l’impossibilità di tradurre tutti gli indirizzi che terminano per “.ru” nel corrispettivo indirizzo IP. Tale situazione non implicherebbe però la vera irraggiungibilità del sito o del servizio destinatario, ne è dimostrazione la possibilità di poter raggiungere comunque il sito di Wikipedia utilizzando direttamente il suo indirizzo IP. Per di più, tale misura non bloccherebbe comunque l’accesso a tutti i siti o servizi registrati presso registri stranieri, ad esempio “.com” o “.org”.
È per questo motivo che l’Ucraina ha chiesto anche la rimozione degli indirizzi IP assegnati alla Russia: in questo caso il vero effetto sarebbe l’eliminazione degli indirizzi IP russi dai sistemi di interconnessione globale (detti sistemi di routing, governati da complessi meccanismi che consentono ai dati di fluire tra punti diversi della rete nel modo più veloce ed efficiente possibile). Solo in questo caso, si potrebbe garantire l’irraggiungibilità dall’estero di siti e servizi ospitatati sul territorio russo. L’effetto collaterale, devastante, sarebbe però la totale disconnessione della Russia da Internet che impedirebbe anche a qualsiasi cittadino o impresa russa di poter comunicare con l’Internet esterno – il cosiddetto Internet shutdown.
Spegnere Internet (non) è la soluzione
Benché la richiesta ucraina si fondi sulla volontà di bloccare la macchina propagandistica russa, nonché sulla necessità di impedire ulteriori attacchi cyber alle infrastrutture ucraine, spegnere Internet non è la soluzione. Anzi.
E infatti la richiesta ucraina avrebbe come conseguenza principale quella di tagliare fuori da Internet i cittadini russi, impendendo agli utenti di accedere alle mail, di scaricare app, di accedere a 5 milioni di domini, tra i quali sono inclusi organizzazioni non governative, associazioni, siti di dissidenti politici come il quotidiano indipendente Novaya Gazeta, il cui editore Dmitry Muratov è stato insignito del Nobel per la pace nel 2021.
Non è un caso che l’Internet shutdown sia una misura ormai in voga nei regimi dittatoriali finalizzata a sopprimere le rivolte e silenziare i dissidenti politici. Ne sono un esempio lo shutdown ordinato dal governo del Myanmar lo scorso aprile durante le proteste di massa contro il regime, o ancora il più recente ordinato nel gennaio 2022 in Kazakhstan per la soppressione delle rivolte, dove per più di 5 giorni i cittadini non hanno potuto accedere ai siti, applicazioni e app di messaggistica, con un effetto boomerang sul governo kazako e una spesa di 400 milioni di dollari.
Sebbene gli impatti economici degli shutdown siano assolutamente di rilievo (solo nel 2022 il costo totale di 13 internet shutdown in otto Paesi è stato di 1,6 miliardi di dollari), la conseguenza principale è stata quella di mettere a tacere le rivolte e la voce dei dissidenti politici, sopprimendo i loro diritti e la possibilità di ribellarsi ai regimi manifestando il loro dissenso. In aggiunta, un eventuale shutdown potrebbe portare all'irreparabile frammentazione dell’Internet globale.
Un Internet “autarchico”?
Nel 2019 la Russia ha emanato la “Legge per l’Internet sovrano” (Sovereign Internet Law), la quale nella sostanza prevede che gli Internet Service Provider debbano installare nei propri hub i Deep Packet Inspection (DPI), le cosiddette black box, al fine di analizzare sia i pacchetti di dati che il contenuto delle comunicazioni. Dal 1 gennaio 2022, data di entrata in vigore della legge, le maggiori BigTech tra cui Google, Meta (ex Facebook), Apple, Twitter, TikTok, e Telegram, hanno dovuto conformarsi alle norme russe, e in caso di non conformità, hanno subito sanzioni che riguardano la limitazione dei trasferimenti di denaro e dei pagamenti, il rallentamento del traffico locale e il blocco completo dell'accesso alle risorse online.
Nella medesima legge, la Russia prevede la costruzione di un suo sistema DNS e di infrastrutture digitali gestito da Roskomnadzor (il Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa, l’organo della Federazione Russa che controlla le comunicazioni e relativo oscuramento, la privacy e le frequenze radio) in alternativa a quello attualmente gestito a livello globale proprio dall’ICANN.
Al momento nessun Paese ha ancora creato un sistema che funzioni in parallelo al DNS mondiale, ma il Cremlino giustifica la scelta sostenendo che l’ICANN, con sede a Los Angeles, sia un ente dominato dagli Stati Uniti, che mira a escludere la Russia da Internet. Questa narrativa ha spinto la Russia a cercare una sempre maggiore indipendenza, nonché un controllo statale sul DNS nazionale, ottenendo così un crescente controllo sulle informazioni e sui dati.
No allo shutdown
Alla luce di ciò, accontentare la richiesta ucraina avvalorerebbe la narrativa russa, rafforzando ulteriormente gli sforzi del Cremlino di creare una intranet nazionale nota come Runet, creando un pericoloso precedente che potrebbe portare all'irreparabile frammentazione di Internet globale.
Consapevoli di un tale effetto, sia l’ICANN che RIPE NCC hanno respinto la richiesta del ministro ucraino scrivendo che l'ICANN e il RIPE NCC sono organizzazioni tecniche indipendenti costruite per garantire che Internet funzioni e con un ruolo di coordinamento atto a impedire che il funzionamento di Internet abbia effetti devastanti e permanenti sulla fiducia e sull'utilità di questo sistema globale.
E infatti, come detto sinora, oltre a danneggiare il popolo russo e rafforzare i propositi della Russia di raggiungere la sovranità digitale, un eventuale shutdown dell’Internet russo avrebbe un effetto dirompente sul resto del mondo.
Al di là delle conseguenze pratiche in termini di danneggiamento del coordinamento globale delle operazioni sul web, assecondare la richiesta ucraina significherebbe assecondare tutti quei Paesi che desiderano un Internet meno aperto che possa essere strumentalizzato e utilizzato per imporre decisioni politiche piuttosto che consentire comunicazioni e operazioni digitali aperte in tutto il mondo.
Proprio perché la rete è divenuta il nuovo campo di battaglia dei conflitti del Ventunesimo secolo, la sua segregazione e strumentalizzazione per fini politici deve essere per quanto possibile evitata e prevenuta.