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La crisi

Sri Lanka: un nuovo, vecchio presidente

20 luglio 2022

Il parlamento srilankese elegge il premier Ranil Wickremesinghe a presidente. Una nomina che rischia di fomentare la rabbia dei manifestanti che da giorni chiedono le sue dimissioni.

 

Non sarà il presidente di tutti, questo pare certo. Ranil Wickremesinghe, primo ministro dello Sri Lanka fino a pochi giorni fa, è stato eletto presidente. Con 134 voti su 219, il parlamento di Kotte (sede dei legislatori) ha scelto il successore di Gotabaya Rajapaksa, il presidente fuggito a Singapore mentre i manifestanti occupavano il palazzo presidenziale a Colombo. Il candidato Dullas Alahapperuma, dissidente del partito di governo Sri Lanka Podujana Peramuna (SLPP), è arrivato secondo con 82 voti. Wickremesinghe – che una settimana fa era stato nominato presidente ad interim – resterà in carica fino a novembre 2024, ovvero il tempo che mancava alla conclusione del mandato di Rajapaksa. Le sfide sono però imminenti: trainare il paese fuori dalla crisi economica e sociale che ha causato la peggior recessione dall’indipendenza e una diffusa scarsità di beni e generi di prima necessità. Il suo mezzo mandato inizia in salita a causa della rabbia della piazza, che ne chiedeva le dimissioni mentre era ancora premier. Per i manifestanti, la “promozione” a capo dello stato sa di beffa, anche se lo scenario era ampiamente prevedibile. Wickremesinghe gode infatti dell’appoggio del SLPP ed è ritenuto molto vicino ai Rajapaksa, dinastia politica srilankese accusata di corruzione e di avere enormi responsabilità nella crisi in corso.

Chi è Ranil Wickremesinghe?

Nato a Colombo 73 anni fa, Ranil Wickremesinghe è un veterano della politica srilankese. È stato primo ministro per sei volte, incluso il mandato iniziato lo scorso maggio. Avvocato di professione, Wickremesinghe è il leader dello United National Party, formazione di centrodestra e più antico partito srilankese, e già due volte aveva corso come candidato presidenziale, nel 1999 e nel 2005. Ha avuto un ruolo da protagonista in alcune delicate fasi della guerra civile che dal 1983 al 2009 contrappose le Tigri Tamil all’esercito srilankese. Era infatti primo ministro quando nel 2002 le due fazioni in conflitto raggiunsero l’accordo per un cessate-il-fuoco. Nei successivi due anni, il suo governo guidò i negoziati di pace con le delegazioni Tamil, di cui provò a sfruttare le divisioni interne, mentre si avvicinò all’Occidente e agli USA per chiedere assistenza militare in ottica antiterrorismo. Con lo scoppio della crisi economica di quest’anno, Rajapaksa lo aveva nominato premier a maggio, nel tentativo di venire incontro alle richieste politiche dei partiti di opposizione. Quelli della sua ultima premiership sono stati mesi molto travagliati: la sua nomina era stata sostenuta dal SLPP ed era stato definito come un economista liberale in grado di negoziare un accordo con il Fondo Monetario Internazionale.

Cosa dovrà fare Wickremesinghe?

“Confido di poter invertire il corso economico dello Sri Lanka”, disse Wickremesinghe un mese fa ai microfoni di Al Jazeera, quando ancora era premier. Conosciuto come un riformista e un tecnocrate, il FMI spera di riprendere con Wickremesinghe al più presto i colloqui per alleviare le condizioni economiche in cui versa l’isola. La direttrice operativa del Fondo, Kristalina Georgieva, ha cercato di rassicurare che “nel momento in cui ci sarà un esecutivo con cui potremo riprendere le discussioni, il nostro team sarà presente”. Sebbene il neoeletto presidente non goda del supporto popolare, ha dalla sua l’esperienza. Sei mandati da premier e più volte a capo di ministeri, tra cui quello delle Finanze, Wickremesinghe è un interlocutore noto al FMI. Nel breve termine l’obiettivo è far fronte alla mancanza di carburanti, cibo e altri beni generata dai tagli fiscali che hanno privato lo stato di ingenti entrate. Errate scelte di politica economica hanno reso irreversibile una situazione che con la pandemia – che ha inflitto un duro colpo ad uno dei settori trainanti dell’economia srilankese, ovvero il turismo – era già stata compromessa. Due mesi fa, lo Sri Lanka si era trovato in condizioni di insolvenza sovrana, nell’incapacità di ripagare i suoi creditori, tra cui spicca la Cina. Il debito estero del paese è di oltre 50 miliardi di dollari e uno degli obiettivi del presidente sarà negoziare un piano di salvataggio. 


Cosa rischia lo Sri Lanka?

In Sri Lanka, si stima che l’80% della popolazione viva in condizioni di emergenza alimentare. Come altri, il paese ha affrontato una triplice crisi: la pandemia, l’aumento del costo del debito e la crescita dei prezzi del cibo a causa della guerra in Ucraina. In generale, lo Sri Lanka rischia di essere solo il primo di una lunga serie di paesi a finire nell’occhio del ciclone di questa tempesta combinata. Secondo le stime del FMI, più del 60% dei paesi a basso reddito si trova in condizioni di forte vulnerabilità. Quello srilankese rischia inoltre di diventare un caso di studio sul funzionamento del debito contratto con la Cina, che ammonta a 6,5 miliardi di dollari. Negli ultimi anni, il governo si è fortemente indebitato con Pechino per finanziare diverse infrastrutture, tra le quali il porto di Hambantota. È da qui che origina l’espressione “trappola del debito”: l’incapacità di ripagare Pechino venne compensata nel 2017 attivando una clausola del contratto che prevedeva la concessione, per 99 anni, del porto stesso. Oltre che un’estrema dipendenza dalla Cina, dunque, l’indebitamento ha generato anche una cessione di territorio sovrano. Una situazione in cui rischiano di cadere molti paesi dall’economia fragile, in particolare in Africa, che hanno ricevuto credito dalle banche cinesi.

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

 

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