Gli Stati Uniti dopo Trump, ancora faro di democrazia?
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Commentary
Stati Uniti, ancora faro di democrazia?
Massimo Teodori
20 gennaio 2021

L’assalto a Capitol Hill, l’unico in due secoli di storia degli Stati Uniti, una volta superato il trauma del momento non può essere archiviato senza una riflessione su quel che ha significato e significa per la democrazia americana.

Indipendentemente dall’esito della vicenda, l’assalto ha inferto una ferita all’immagine mondiale dell’America come “patria della democrazia liberale” affermatasi in Occidente e non solo nel secondo dopoguerra. La ferita, nonostante quel che potrà avvenire con la nuova presidenza, rimarrà nel futuro.

Una valutazione più a fondo di quel che è accaduto deve sciogliere tre interrogativi:

a) La democrazia – il complesso di valori, regole e procedure politiche e costituzionali consolidatesi nel corso di oltre due secoli - ha resistito all’assalto?

b) Che cosa emerge dal profondo della società americana nel rapporto con la politica e le istituzioni?

c) In che misura l’assalto al Campidoglio si chiude con l’uscita di scena di Donald Trump e la consegna al giudiziario del folclorico movimento che ne è stato protagonista?

 

La democrazia federale

Con l’insediamento, pur senza gli orpelli della festa, del presidente Democratico Joe Biden, si deve concludere sommariamente che il meccanismo antiquato e barocco dell’elezione presidenziale è riuscito a superare tutti gli ostacoli e i tentativi di blocco posti in essere prima e dopo il voto di novembre. Gli Stati, non solo a maggioranza Democratica ma anche Repubblicana, con le relative assemblee statali, i sistemi giudiziari e le corti supreme locali, hanno tutti rispettato i loro compiti costituzionali nel conteggio dei voti, nella verifica delle irregolarità, nella trasmissione dei dati, così resistendo alle pressioni di una parte politica.

La medesima lealtà nelle procedure di convalida e legittimazione del Presidente eletto si è manifestata nel Senato federale laddove una maggioranza Repubblicana avrebbe potuto inceppare il meccanismo previsto dalla Costituzione.

Si deve considerare che il Presidente degli Stati Uniti è eletto non solo dalla popolazione ma anche dagli Stati. Se davvero vi fosse stata un tentativo “golpista” volto a contestare la legittimità dell’elezione presidenziale, questo sarebbe passato attraverso l’azione degli Stati. Fu quello che accadde nel 1860 con l’elezione di Lincoln, la rottura dell’unità nazionale e la Guerra civile.

 

La società americana

La divisione nella società americana resta tuttavia di tipo radicale come non accadeva dal maccartismo. Anche se allora l’agente della radicalizzazione era il nemico esterno “comunista” e non la contrapposizione culturale interna. Da tempo è noto che l’America è divisa secondo linee socio-etno-culturali: urbani e rurali, bianchi e non bianchi, élite acculturate e masse periferiche “invisibili”, nuove occupazioni e vecchi lavoratori, Stati “d’acqua” e “di terra”…. Dati alla mano, sappiamo che il voto pro-Trump è venuto in gran parte da coloro che rappresentano una delle parti della frattura socio-cultural-razziale.

Non è tanto significativo il dato degli oltre settanta milioni di voti Repubblicani ricevuti da Trump in quanto in un sistema bipartitico i due candidati sempre si dividono il voto popolare in misura prossima alla metà. Quanto Il fatto che all’interno dell’elettorato Repubblicano, la faglia radicale – con caratteristiche bianche, fondamentaliste “vecchia America” e sfumature violente-libertarie, ha acquisito un peso rilevante come mai negli ultimi cinquanta anni.

Trump, restituito alla sua originaria natura di personalità psicologicamente delirante, è sulla strada del tramonto politico. Ma quella parte della società americana (violenta e primitiva) da lui risvegliata, legittimata e scagliata contro gli avversari all’insegna di parole d’ordine false, non sarà facilmente ricondotta a una disciplina costituzionale e neppure a una militanza Repubblicana tradizionale.

Nel rapporto tra istinti sociali, comportamenti elettorali e obiettivi politici, è subentrato un nuovo fattore che ha radicalmente mutato il gioco della democrazia americana: l’uso massiccio dei social a disposizione di chiunque.

Tra gli anni ’70 e ’80 del Novecento v’era stato un cambiamento nel grande gioco politico-elettorale. Non erano più le convenzioni dei partiti governate dai boss a decidere chi dovesse essere il candidato, in particolare quello presidenziale. Le primarie avevano trasferito il potere di decisione sui candidati da alcune migliaia di persone delle strutture partitiche statuali agli elettori “registrati” divenuti milioni per lo più sconosciuti ai vertici e soggetti alla propaganda non tradizionale. Senza quella rivoluzione - diciamo “procedurale” della democrazia elettorale – non sarebbero stati mai candidati a furor di popolo contro i boss di partito né Obama né Trump.

Oggi la moltiplicazione di milioni di tweet nella scelta dei candidati è la nuova rivoluzione nella democrazia americana. Di questo occorre tenere conto.

 

Trump e il trumpismo

Anche se Trump riuscisse a sopravvivere con legittimità politico-istituzionale, non pare che possa aspirare a una nuova candidatura Repubblicana. Può accadere, come in passato, che si formi un “terzo partito” integralista di destra repubblicana che si distacca dal tronco principale del GOP che - sembra - stia in parte recuperando lo stile e i contenuti della tradizione conservatrice su quella populista.

In passato alcuni partiti estremisti, Democratici e Repubblicani – hanno avuto fortuna nell’ambito degli Stati; e in tal caso il Mid-West e il Sud possono offrire il terreno per significative affermazioni politiche populiste. Tanto più che i piccoli Stati “di terra” sempre meno popolati aumenteranno di peso nella composizione del Senato grazie alla rappresentanza paritaria. Il “trumpismo” senza Trump potrà giocare le sue carte proprio sulla divaricazione cultural-territoriale che divide gli Stati Uniti.

Fino a quando gli Stati Uniti continueranno a essere gli “Stati Uniti d’America”. Vale a dire una nazione singolarmente divisa ma profondamente unita dal sistema federale che tiene unito in un matrimonio di interesse tanti contraenti che si detestano reciprocamente

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Massimo Teodori
Storico degli Stati Uniti e Professore Ordinario, Storia e Istituzioni degli USA

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