Kevin McCarthy bocciato per la quarta volta come Speaker della Camera, nonostante l’appello di Donald Trump ai suoi: “votalelo”.
“Ieri sera si sono svolte alcune conversazioni davvero interessanti, ed è ora che tutti i nostri grandi membri della Camera repubblicana votino per Kevin, concludano l'accordo, ottengano la vittoria”: l’endorsement di Donald Trump di poche ore fa non solo non ha rotto lo stallo, ma ha ulteriormente complicato lo scenario in casa dei repubblicani. Oggi Kevin McCarthy ha visto sfumare per la quarta volta – dopo le tre di ieri – la nomina a speaker della Camera. Mentre la votazione è ancora in corso, è però ormai chiaro che il leader della pur risicata maggioranza repubblicana al Congresso (222 seggi su 435) non sarà eletto neanche oggi, dopo che vari suoi colleghi, esponenti dell’ala più oltranzista e trumpiana del partito hanno votato contro di lui. McCarthy è il primo candidato a farsi sfuggire la nomina di Speaker al primo turno da circa 100 anni e in attesa che ricomincino le votazioni, non è chiaro se sarà in grado di trovare i voti necessari per farsi eleggere. Fino ad allora, o fino a quando qualcun altro non otterrà i voti necessari i deputati non potranno formalmente insediarsi e la Camera non può iniziare a legiferare.
Il Gop in guerra civile?
Kevin McCarthy, 57enne membro del Congresso dalla California, è il repubblicano di più alto profilo alla Camera, ed è stato leader della minoranza durante i lunghi anni di presidenza di Nancy Pelosi. Considerato uno dei politici più potenti di Washington, ha avuto negli anni una relazione altalenante con Donald Trump. Ad esempio, dopo l’assalto del 6 gennaio al Congresso aveva criticato l’ex presidente, affermando di ritenere che avesse delle “responsabilità” sull’accaduto, salvo poi tornare a difenderlo. Un rapporto oscillante - Trump lo ha spesso definito “il mio Kevin” - che ha irritato i fedelissimi del tycoon e gli è valso accuse di ipocrisia e opportunismo. Nelle ultime settimane, alla luce della risicata maggioranza, McCarthy ha cercato di consolidare i consensi in suo favore in cambio di concessioni, come le presidenze di commissioni chiave al Congresso, e persino di regole meno stringenti per sfiduciare lo Speaker da parte dei deputati, ma l’accordo – come dimostrano le tre votazioni di ieri - in ultimo è saltato. Anche se alla fine McCarthy riuscisse a farsi eleggere, concordano gli osservatori, sarà uno Speaker debole, in carica ma mai davvero al potere, mentre il caos di ieri prefigura due anni tumultuosi per Gop, tra repubblicani moderati e trumpiani in guerra tra loro.
I 20 Talebani?
Il ‘ribaltone’ messo a segno dai ‘ribelli’ interni al partito, infatti, non si esaurisce nelle sorti politiche del nuovo Speaker. Il colpo di scena – di cui la stampa Usa cerca di analizzare cause e conseguenze - mette in luce una spaccatura senza precedenti che attraversa il partito repubblicano, alle prese con un futuro incerto dopo la performance deludente nelle elezioni di midterm dello scorso novembre e in vista della campagna per le presidenziali nel 2024. Se alle elezioni di metà mandato il partito repubblicano ha conquistato abbastanza seggi per riprendere il controllo della Camera, ‘l’onda rossa’ che avrebbe dovuto travolgere i democratici non si è materializzata. Allo stesso tempo, i dem hanno ampliato la loro maggioranza al Senato, dopo aver ribaltato un seggio in Pennsylvania. Una situazione che ha provocato malumori e accuse incrociate all’interno del partito, i cui esponenti ieri si erano scontrati senza esclusione di colpi, come veri e propri avversari: “Per quanto offensivo e falso – ha risposto su Twitter Matt Gaetz, fedelissimo di Trump a un collega che aveva definito i dissidenti ‘i 20 talebani’ e ‘il caucus del caos’ – anche noi siamo preparati per una lunga battaglia che alla fine vinceremo”.
I Dem si godono lo spettacolo?
Resta il fatto che il 118° congresso americano si è aperto in un clima surreale, con i repubblicani che si attaccano l’un l’altro e i democratici - che avrebbero dovuto piangere la maggioranza perduta – a godersi lo spettacolo. “La guerra civile del GOP, […] è tutt’altro che esaurita – scrive in una lunga analisi la CNN – e non appena il partito ha fiutato di nuovo il potere, quel conflitto è esploso con gli elementi più radicali che cercano di distruggere un establishment del partito che si era già spostato all’estrema destra per placarli”. È difficile immaginare che un partito repubblicano così logorato possa esercitare efficacemente la sua opposizione ai democratici e alla Casa Bianca e presentare argomenti forti per gli elettori in vista del 2024. D’altronde, all’indomani delle elezioni di midterm, il dato politico era chiaro: gli elettori - sfiniti dalle turbolenze degli anni di Trump e da una pandemia inaspettata - avevano lanciato un invito alla stabilità e alla calma. Il dramma consumatosi alla Camera non è certo quello che avevano in mente.
Il commento
Di Gianluca Pastori, Associate Research Fellow Relazioni Transatlantiche ISPI
“L’incapacità della nuova Camera dei rappresentanti di eleggere il suo speaker alla prima tornata è la conferma della spaccatura che, nel Partito repubblicano, divide ‘moderati’ e ‘hardliner’ e del peso che questi ultimi continuano a mantenere anche dopo il risultato deludente delle elezioni di midterm. Al di là di quello che sarà l’esito finale del voto, la vicenda ha messo in luce la fragilità dell’attuale maggioranza e – in prospettiva – quella che rischia di essere la sua debolezza futura. Ne potrebbe trarre beneficio l’amministrazione, che, con una sorta di ‘convergenza al centro’, potrebbe puntare ad aggregare intorno alla sua agenda un consenso bipartisan delle componenti moderate dei due schieramenti. Un risultato che la Casa Bianca ha già in parte ottenuto in passato e che potrebbe andare incontro al favore che l’elettorato ha espresso – nelle elezioni di novembre – per i candidati meno ‘estremi”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications.