L’Argentina è membro del G20 dalla sua creazione, anche se in varie occasioni è stata sollevata la questione dell’opportunità della sua permanenza nel gruppo delle venti economie più importanti del pianeta.
Se guardiamo i numeri, in effetti, troviamo paesi con Pil più consistenti ed economie più solide che sono fuori dal gruppo. Secondo il report 2020 del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) l’Argentina è al venticinquesimo posto tra le maggiori economie mondiali e si trova dietro a Spagna, Paesi Bassi, Svizzera, Taiwan, Polonia, Svezia e Belgio. Per capire le ragioni dell’inclusione di Buenos Aires bisogna risalire alla creazione del gruppo e pensare a motivazioni di tipo geopolitico oltre che a quelle meramente economico-finanziarie.
Il G20 è nato nel 1999 come spazio di incontro di ministri delle finanze e dell’economia. A Buenos Aires era l’ultimo anno di governo di Carlos Saul Menem, peronista conservatore e liberista che aveva imposto la parità cambiaria del peso argentino col dollaro, facendo così crescere artificiosamente il PIL in un paese che aveva però distrutto il suo tessuto industriale e produttivo. Per gli ideatori del G20 è parso da subito importante cercare una dimensione globale che guardasse anche all’emisfero Sud. La presenza dell’Argentina e del Sudafrica vanno lette anche in quest’ottica. Poco dopo venne il grande default del 2001-2002 e il castello di carta della dollarizzazione crollò al ritmo delle proteste di piazza davanti alla Casa Rosada, ma l’Argentina, ormai, “era dentro” e nessuno dei leader globali dell’epoca ha pensato di sostituirla. Nel 2011 l’economista James Roberts, esponente della Heritage Foundation, tradizionalmente vicina al Partito Repubblicano, sostenne che per lo scarso grado di libertà economica e gli alti livelli di corruzione l’Argentina non meritava di sedere al tavolo del G20, scatenando risposte piccate da parte dei diretti interessati, ma nessuna presa di posizione ufficiale da parte del gruppo.
Nel 2017 un intenso lavoro diplomatico condotto dall’allora ministra degli esteri Susana Malcorra permise all’Argentina di ottenere, superando la candidatura indiana, la presidenza del gruppo per l’anno successivo e l’organizzazione del vertice dei leader che si è tenuto a Buenos Aires il 31 novembre e primo dicembre 2018. Il primo summit del G20 in Sudamerica è stato un successo politico per il presidente conservatore Mauricio Macri, che ha invitato per l’occasione il Cile e i Paesi Bassi. La politica ha dominato l’incontro: con le tensioni per la guerra commerciale tra gli Usa e la Cina e l’attenzione intorno al principe saudita Mohammed bin Salman a causa dell’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi. Donald Trump e Xi Jinping hanno raggiunto proprio a Buenos Aires una tregua nella disputa sui dazi commerciali, mentre nella riunione plenaria c’è stato un riconoscimento consensuale dei membri del fallimento del multilateralismo commerciale e della necessità di una riforma strutturale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un altro passo fondamentale è stata l’intesa raggiunta da Stati Uniti, Canada e Messico per la creazione di un nuovo accordo commerciale per sostituire il “Nafta”. Per l’Argentina, che ha speso 60 milioni di dollari per organizzare l’evento, il summit ha rappresentato l’occasione per trovare un consenso internazionale sull’appoggio ottenuto dal Fmi sull’annosa questione del debito estero. La popolarità del presidente Macri ha giovato per alcuni mesi dell’”effetto G20”, ma non è bastato questo per fargli vincere le elezioni del 2019. All’ultimo vertice di Riad, tenuto in videoconferenza a causa della pandemia, il suo successore Alberto Fernandez ha chiesto ai membri del G20, di lottare contro la diseguaglianza nella politica di lotta al Sars-Cov2 e una maggiore solidarietà e cooperazione nella distribuzione su scala globale dei vaccini. L’Argentina è uno dei paesi più colpiti in Sudamerica dalla pandemia e ha riscontrato difficoltà, soprattutto economiche, nell’approvvigionamento dei preparati anti Covid.