Può sembrare paradossale, ma non è del tutto sbagliato affermare che il Messico, seconda economia dell’America Latina, ha iniziato a far parte del G20 ancora prima della sua nascita. Dal 2005 al 2008 il paese è stato infatti membro del gruppo de G5, le maggiori economie emergenti (con Brasile, Cina, Sudafrica e India) che erano invitate a partecipare alle riunioni del G8, formato dalle sette potenze economiche occidentali più la Russia. Quando il “club” è passato a 20 membri era inevitabile che il Messico ne facesse pienamente parte, tanto da diventare la prima nazione ad ospitare il vertice dei capi di stato fuori da Stati Uniti ed Europa. Il summit del 2012 tenutosi a Los Cabos, nello stato della Baja California, è stato segnato dalla decisione di rafforzare ulteriormente il sistema finanziario per sostenere la ripresa post crisi del 2008. Il G20 decise di apportare un finanziamento congiunto di 450 miliardi di dollari alle casse del Fondo Monetario Internazionale. Fu l’ultimo vertice di Francois Hollande e del cinese Hu Jintao, mentre Barack Obama si trovava alla fine del suo primo mandato senza la certezza della rielezione. Il presidente messicano Vicente Calderon investì moltissimo nella sicurezza per timore di possibili attacchi delle grandi organizzazioni criminali dedite al narcotraffico. A Los Cabos i leader mondiali trovarono un paese fortemente rivolto verso il Nord (Stati Uniti ed Europa) e assai poco attratto dalle alleanze latino-americane come il Mercosur o dal blocco dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).
Il destino del Messico, del resto, era (ed è) indissolubilmente legato a quello del suo vicino settentrionale, la sua posizione nel mondo è segnata dall’alleanza con il Canada e gli Stati Uniti, il Nafta che oggi è stato ribattezzata USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement). Non c’è mai stata una chiara volontà di guardare al Sud, nemmeno quando sotto la leadership brasiliana diversi paesi dell’emisfero Sud progettavano nuovi equilibri geopolitici, spinti soprattutto dalle relazioni sempre più strette con i grandi mercati asiatici. Non è un caso che il Messico sia oggi uno dei pochi paesi latinoamericani dove gli Stati Uniti pesano ancora di più in termini di scambi commerciali rispetto alla Cina. Una “relazione carnale” che non è stata rotta nemmeno dal presidente progressista Andrés Manuel Lopez Obrador, dimostratosi molto più pragmatico di quanto si potesse immaginare. Quando al Nord le cose vanno male in Messico si piange, quando l’economia statunitense si riprende anche i messicani ridono.
Nell’anno pandemico 2020 Il PIL messicano è crollato del 8,5%, ad inizio anno le previsioni del FMI erano di un tiepido +3,5% ma sono state corrette a causa del boom delle esportazioni verso gli USA e ora si ipotizza di chiudere il 2021 al ben più ottimista +8%. IL reddito pro-capite è stato stimato nel 2020 a 7.379 euro, una riduzione del 17% rispetto all’anno precedente. Le previsioni per il 2020 parlano di una crescita vicina alla doppia cifra.
Oltre che del G20 il Messico è membro permanente anche della OCSE, Apec e dell’Asean ed ha una diplomazia fortemente impegnata a cercare nuovi mercati d’esportazione dei suoi prodotti. Durante le riunioni preparatorie al vertice di Roma dei capi di stato la delegazione messicana ha avanzato due proposte che il presidente Lopez Obrador intende mettere sul tavolo: l’impegno dei paesi grandi a sostenere la ripresa post pandemia a livello globale ed un impegno formale per difendere la libertà d’espressione sulle piattaforme social. La prima posizione è condivisa soprattutto dall’Argentina, in cerca di alleati di peso per negoziare un nuovo accordo con i creditori e con il FMI. L’idea di fondo è che dopo una crisi globale come quella legata al Covid19 un sistema finanziario internazionale sano e credibile non si può permettere di salvare solo i grandi, ma deve fare tutto il possibile per evitare il fallimento dei debitori. È stata firmata una dichiarazione congiunta tra Buenos Aires e Città del Messico dove si chiede maggiore attenzione alla situazione dei cosiddetti PIM (paesi con ingressi medi) “che rappresentano il 75% della popolazione mondiale e il 62% della persone che vivono nella povertà”. Durante le riunioni di primavera della Banca Mondiale e del FMI Messico e Argentina hanno chiesto di elaborare una strategia per favorire una ristrutturazione del debito accumulato da questi paesi per permettere loro di superare la crisi economica legata alla pandemia. La seconda questione, invece, è stata lanciata subito dopo la sospensione degli account social di Donald Trump dopo le elezioni dello scorso anno. Un inaspettato “assist” di Obrador all’ex presidente statunitense, destinato comunque a non essere accolto da buona parte dei leader mondiali.