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La rubrica

Storia del G20, un paese alla volta: Regno Unito

Davide Tentori
17 settembre 2021

“Take back control”: fu anche grazie a questo slogan che la campagna del leave riuscì a vincere il referendum del 2016 sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Un risultato scioccante che ha visto la Brexit diventare realtà all’inizio del 2021. Tuttavia, in parallelo alla narrativa anti-UE i governi conservatori (prima quello di Theresa May, ora quello di Boris Johnson) hanno mantenuto salda la fiducia nella globalizzazione economica e nel sistema multilaterale attraverso la narrativa della cosiddetta “Global Britain”. Che vede proprio nel G20 (e nel G7) due strumenti fondamentali per portare avanti priorità fondamentali per Londra quali il libero commercio, la difesa dei diritti individuali e dello stato di diritto, il contrasto al cambiamento climatico.

 

Il ruolo da “veterano” di Londra nel G20

Il Regno Unito è stato fin dall’inizio un membro attivo del G20 e non è un caso se il secondo vertice dei capi di stato e di governo, dopo il primo che si svolse nel 2008 negli USA come immediata reazione allo scoppio della crisi finanziaria globale, si tenne a Londra. Quello britannico, sotto la guida dell’allora premier laburista Gordon Brown, fu un summit fondamentale per concordare alcune iniziative chiave volte alla riforma e al rafforzamento della regolamentazione e dell’architettura finanziaria internazionali: su tutte va sicuramente ricordata la decisione di creare il Financial Stability Board, nuova organizzazione multilaterale nata sul preesistente Financial Stability Forum. Il ruolo del Regno Unito è stato dunque molto importante, soprattutto nei primi anni di vita del G20, per raggiungere quelli che probabilmente ancora oggi sono i risultati più significativi ottenuti dal forum e che coincidono con la “messa in sicurezza” del sistema finanziario internazionale per evitare una nuova crisi di portata mondiale.

 

Le vetrine del G7 e di COP26 e il collegamento con il G20

Il 2021 è un anno fondamentale per il Regno Unito. L’uscita de facto dall’UE con le (prevedibili) difficoltà legate alla gestione di confini e dogane, unitamente all’emergenza pandemica ancora in corso, hanno imposto al governo di Johnson sforzi ulteriori per dimostrare di essere un paese all’altezza di queste sfide e, soprattutto, ancora desideroso e capace di essere protagonista a livello internazionale. Le occasioni per farlo sono state offerte dalle presidenze di turno del G7 e di COP, la conferenza delle Nazioni Unite contro il cambiamento climatico (posticipata a quest’anno a causa del Covid-19). Due eventi molto importanti in ottica multilaterale e che sono particolarmente legati al G20. Il G7, in quanto “club” che riunisce le principali potenze occidentali, è considerato un forum utile per elaborare posizioni condivise e portare avanti iniziative congiunte in modo da creare una “massa critica” che possa essere utilizzata in ambito G20 al fine di convincere, o contrastare, altri paesi con i quali non è sempre possibile trovare punti di convergenza sulle grandi questioni internazionali come quelle commerciali, ambientali, o la sicurezza cibernetica (il riferimento è ai “soliti sospetti”, ovvero Russia e Cina). Il summit G7 che si è tenuto in Cornovaglia lo scorso giugno ha visto il dialogo tra i leader incentrato attorno allo slogan “Build Back Better” su temi quali il raggiungimento di una ripresa economica inclusiva, un impegno rinnovato e più deciso per la transizione energetica e lo sviluppo di una finanza green, la conferma di un commercio internazionale libero ed equo (considerato da Londra come un driver fondamentale per consentire all’economia globale di ripartire dopo la pandemia). Sono tutte priorità di cui si parla anche in ambito G20 e sulle quali il blocco dei membri G7 cercherà di fare avanzare la propria visione in vista del summit di Roma, contando anche sulla leadership italiana. 

COP26, invece, si svolgerà a Glasgow dall’1 al 12 novembre ed è un evento sul quale il governo britannico ha investito moltissimo nella speranza di fare passi avanti significativi contro il cambiamento climatico attraverso l’adozione di impegni e obiettivi concreti che consentano alla comunità internazionale di andare oltre la retorica e di far sì che i target volti al raggiungimento della neutralità climatica e al contenimento del riscaldamento globale possano essere effettivamente alla portata. Anche in questo caso il ruolo del G20 è importante nel creare il clima politico ideale affinché la Conferenza dell’ONU che si terrà pochi giorni dopo il summit non sia un buco nell’acqua, e dunque il Regno Unito ha tutto l’interesse ad impegnarsi attivamente anche nell’ambito di questo forum.

 

Un paese in difficoltà

Il protagonismo internazionale di Londra non può comunque nascondere la situazione difficile che sta attraversando il paese. Il successo della rapida e precoce campagna vaccinale lanciata dal governo conservatore ha consentito di arginare le conseguenze più pesanti del Covid-19 in termini di decessi e ricoveri; tuttavia, l’effetto combinato della pandemia con l’entrata in vigore di Brexit sta avendo un impatto significativo sull’economia del Regno Unito per il difficile approvvigionamento dei beni importati dal resto dell’Europa e per le ricadute negative sull’occupazione. Serviranno anni per mettere in piedi e realizzare pienamente la strategia della “Global Britain”, che vede Londra impegnata a sottoscrivere nuovi accordi di libero scambio con potenze extra-europee. L’orientamento e i valori britannici restano comunque saldamente inseriti nel contesto democratico-liberale favorevole ad un rafforzamento del multilateralismo: in questo senso, il ruolo del Regno Unito all’interno del G20 resterà fondamentale anche nei prossimi anni per rafforzare l’impegno sulle grandi questioni che riguardano il futuro del pianeta. 

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Tags

Regno Unito brexit g20
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AUTORI

Davide Tentori
Osservatorio Geoeconomia ISPI

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