La Russia è un membro del G20 sin dalla sua fondazione, nel 1999, quando il forum riuniva solo i ministri delle Finanze e i rappresentanti delle banche centrali. Quello dei Venti è un club diplomatico molto importante per Mosca. Dal 2014, infatti, la Russia è stata esclusa dal G8 in seguito all’annessione della Crimea ai danni dell’Ucraina, per cui il G20 resta di fatto l’unico forum di alto livello internazionale dove Mosca può far valere i propri interessi di politica estera, oltre che economica e monetaria.
Una finestra sul mondo?
Nonostante il G20 sia un forum pensato per coordinare ed armonizzare politiche economiche e una maggiore stabilità finanziaria, per alcuni paesi rappresenta un’indispensabile opportunità per rappresentare le proprie istanze a livello internazionale. La stessa genesi del G20 riporta della necessità di far fronte a crisi finanziarie globali. Negli anni Novanta, infatti, diverse regioni del mondo affrontarono gravi recessioni economiche: una di queste è quella che colpì la Russia nel 1998, ovvero negli anni della liberalizzazione dell’economia successiva al crollo dell’Unione Sovietica. Non è un caso che il forum nacque proprio un anno dopo tale crisi: l’esigenza era quella di limitare le conseguenze di una crisi economica, e contenere gli inevitabili effetti a catena dovuti alla globalizzazione e alla crescente interdipendenza finanziaria.
Tuttavia, per Mosca il G20 è stato soprattutto uno dei migliori strumenti diplomatici per riaffermare la propria immagine dopo i lunghi decenni di Guerra fredda con Washington, provando a dare il proprio contributo negli organismi multilaterali.
Sicuramente, l’opportunità maggiore in tal senso avvenne nel 2013, quando il forum si tenne per la prima volta in Russia, a San Pietroburgo.
Il G20 del 2013
Il G20 del 2013 fu dominato dalle questioni relative alla guerra in Siria. Fu un fatto piuttosto inedito considerato che la natura del forum è, ed è sempre stata, perlopiù economica e finanziaria. Il conflitto siriano era iniziato due anni prima ed entrava in una delle sue fasi più delicate. Il 21 agosto 2013 l’area di Ghuta, alle porte di Damasco, fu teatro di un micidiale attacco chimico in cui venne utilizzato il sarin, un gas nervino bandito venti anni prima dalle Nazioni Unite. L’episodio – in cui morirono centinaia di civili – segnò uno spartiacque per le relazioni internazionali. Il presidente statunitense Barack Obama aveva precedentemente tracciato la propria “linea rossa” indicando proprio l’impiego di armi chimiche per un possibile intervento aereo americano. Un’opzione a cui si opposero Russia e Iran, e che venne ampiamente trattata al summit nel Palazzo di Costantino. Il G20 a presidenza russa si trasformò quindi in un braccio di ferro tra Obama, in cerca di sostegno per un intervento militare approvato dalle Nazioni Unite, e il presidente russo Vladimir Putin, che prese le difese del regime di Assad e della sua coalizione.
Alla fine, non ci furono interventi aerei, la guerra in Siria continuò, e il summit tra capi di stato e di governo del 2013 passò alla storia più come una riproposizione del vecchio mondo bipolare che come il teatro per eccellenza del multilateralismo.
Dal 2014 a oggi
Il 2014 è stato un anno cruciale per la diplomazia russa. In quell’anno, la regione ucraina della Crimea venne annessa nuovamente alla Russia contravvenendo al diritto internazionale. La principale conseguenza di questo episodio, che affondò ulteriormente la crisi ucraina già aggravata dal secessionismo delle regioni orientali, fu l’esclusione della Russia dal G8, il forum delle otto principali economie mondiali.
In quell’anno il summit del G20 si tenne a Brisbane, in Australia, e anche qui la partecipazione della Russia fu in dubbio. A compromettere ulteriormente la presenza di Putin, nel luglio del 2014, ci fu l’abbattimento dell’aereo di linea MH17 della Malaysia Airlines mentre sorvolava i territori controllati dai separatisti filorussi nella regione di Donetsk. Le indagini hanno portato a indicare Mosca come responsabile della strage che costò la vita a 298 persone e prima del summit di Brisbane l’allora ministra degli Esteri australiana Julie Bishop chiese di escludere il presidente russo Vladimir Putin dal forum. La proposta era sostenuta dall’opinione pubblica australiana, ma osteggiata dal gruppo dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Alla fine, la Russia partecipò e il giorno del summit ci fu un retroscena che rischiò di far degenerare l’evento. Mentre Putin si avviava a salutare gli altri leader e tendeva la mano al primo ministro canadese Stephen Harper, questi gli disse: “Immagino che debba stringerti la mano, ma ti dirò solo una cosa: dovete andarvene dall’Ucraina”. Al che Putin rispose: “Impossibile, perché noi non siamo lì”.
Per la Russia, quindi, il G20 ha quasi sempre avuto un carattere prevalentemente politico, prima che economico. Un’opportunità per riaffermare le proprie posizioni, nonché un canale di dialogo con altri leader internazionali. Prima del summit di Roma di quest’anno, se ne terrà uno straordinario sull’Afghanistan, dossier su cui Mosca ha già dimostrato di avere una politica estera indipendente dalle potenze occidentali e che, con tutta probabilità, proverà a concertare insieme a quella della Cina.