La Turchia è un membro del G20 fin dalla sua creazione nel 1999. Assieme all’ONU e all’OCSE, il Gruppo dei 20 rappresenta il principale forum internazionale di cui Ankara fa parte. L’inclusione del paese in questa istituzione è dovuta al ruolo di primo piano che esso riveste nell’economia regionale. Con un Pil di 720 miliardi di dollari e 84 milioni di abitanti nel 2020, la Turchia costituisce la più grande economia del Mediterraneo orientale. Fin dalla fondazione del forum, la partecipazione al G20 ha rappresentato un’opportunità politica per Ankara. In esso, infatti, la Turchia ha potuto direttamente contribuire al dibattito sulla governance globale. Storicamente vicina alle istanze delle economie emergenti, Ankara ha spesso utilizzato questo forum come strumento per rafforzare la propria proiezione internazionale. Negli ultimi anni, però, il raffreddamento dei rapporti con gli Stati Uniti e i paesi europei ha avuto ripercussioni sulla condotta del governo turco all’interno di fora multilaterali come il G20.
Il summit di Antalya
La Turchia assunse la presidenza del G20 da dicembre 2014 a novembre 2015, ponendosi fin da subito in continuità con le presidenze precedenti. Considerata come un’opportunità per rilanciare l’immagine del paese sul piano internazionale, la presidenza turca culminò nel summit di Antalya, svoltosi il 15 e 16 novembre 2015. Rispetto ai presupposti che avevano motivato la propria candidatura, il paese arrivò all’appuntamento del 2015 in un momento di particolare fragilità politica. In quell’anno, infatti, il paese andò incontro a due tornate elettorali nell’arco di sei mesi, al crollo della tregua col Partito dei Lavoratori del Kurdistan e al riemergere del terrorismo islamista. A ciò si sommavano la presenza di quasi due milioni di rifugiati siriani nel territorio nazionale, le prime avvisaglie di crisi economica e il sostanziale stallo delle trattative per l’ingresso nell’Unione europea. Nel fermento di tale quadro politico, la Turchia non riuscì a sfruttare pienamente la presidenza del G20 per aumentare la propria visibilità a livello internazionale.
Da un punto di vista programmatico, il principale focus dell’agenda turca fu la ripresa economica mondiale, con un'enfasi particolare sull’inclusività dello sviluppo economico. La disoccupazione giovanile e il ruolo delle piccole e medie imprese nell’economia globale rivestirono un ruolo importante nel dibattito che i leader mondiali ebbero ad Antalya. Con questa scelta tematica, il governo turco intendeva porsi come tramite per le istanze delle economie emergenti. Tale strategia, particolarmente visibile sul piano retorico, rispondeva alla volontà turca di approfondire i propri rapporti con i paesi in via di sviluppo e, specificatamente, con i paesi dell’Africa subsahariana. Il summit toccò brevemente anche il tema della sostenibilità ambientale della crescita economica e, più in generale, del cambiamento climatico. Pur riconoscendo l’importanza della transizione energetica, però, i leader del G20 finirono per rimandare il dibattito sulla sua realizzazione alla conferenza di Parigi sul clima, programmata per il dicembre dello stesso anno.
L’evento che più di tutti finì per determinare l’indirizzo politico del summit di Antalya furono gli attacchi terroristici del 13 novembre 2015 a Parigi. Gli attentati ne definirono la direzione e l’orizzonte tematico incentrato sulla sicurezza internazionale e la lotta al terrorismo, a dispetto del naturale focus economico del G20. Nel dibattito dei leader, la guerra civile siriana e il jihadismo rivestirono un ruolo centrale. La crisi dei rifugiati siriani fu riconosciuta come una questione globale e, contestualmente, la migrazione entrò nell’agenda di un summit per la prima volta nella storia del G20. L’inclusione di questi dossier nell’agenda politica del summit rifletteva l’interesse turco verso la questione dei rifugiati siriani, essendo la Turchia il principale paese di accoglienza nonché di transito dei rifugiati provenienti dalla Siria.
Il difficile rapporto con la comunità internazionale
Negli ultimi anni, diversi fattori hanno contributo a ridefinire il ruolo della Turchia all’interno del G20. La gestione della crisi migratoria, l’acquisto del sistema di difesa missilistico russo e la disputa nel Mediterraneo orientale hanno influenzato visibilmente i rapporti tra la Turchia, l’Unione europea e gli Stati Uniti. Tale sviluppo ha avuto conseguenze sul posizionamento internazionale del paese, con implicazioni anche sul G20. Frizioni con la comunità internazionale si manifestarono, ad esempio, durante il summit del 2020, quando pur avendo approvato il comunicato finale, la Turchia dichiarò di volere che la propria voce fosse ascoltata. La particolarità di una dichiarazione di questo tipo dipese in larga misura dalla divergenza riguardante l’Accordo di Parigi per il clima, ritenuto a lungo troppo stringente per l’economia nazionale e ratificato solamente nell’ottobre 2021.
A dispetto di alcune tensioni, il G20 continua a rivestire un importante ruolo nella politica estera turca. Da un lato, questo forum rappresenta per la Turchia un mezzo per discutere di dossier delicati o per rilanciare i propri rapporti bilaterali con altri paesi. Dall’altro, il G20 è stato spesso considerato dal governo turco come una piattaforma per rinvigorire la propria presenza internazionale. Nel summit del 2020, facendosi portavoce delle istanze dei paesi in via di sviluppo, il presidente Recep Tayyip Erdoğan affermò la necessità di provvedere a una fornitura equa di vaccini a livello globale. Più recentemente, questo atteggiamento si è mostrato nella proposta di costituire all’interno del G20 un gruppo di lavoro sull’Afghanistan, che la Turchia si è dichiarata disposta a guidare. In un contesto internazionale in via di ridefinizione, la posizione della Turchia all'interno del G20 si è dimostrata fino a oggi dinamica e in continua evoluzione.