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La rubrica

Storia del G20, un paese alla volta: Unione Europea

Alberto Guidi
|
Carlo Mongini
26 novembre 2021

L’Unione Europea è un unicum all’interno del G20. In quanto unico membro che non è un paese, l'UE si siede ai tavoli di negoziazione con un potere contrattuale maggiore di quello degli stati che la compongono. Ma contemporaneamente deve sempre fare i conti con le 27 anime al suo interno prima di presentare una linea comune ai tavoli G20. Ne deriva un posizionamento all'interno del gruppo sospeso tra ambizione e compromesso, più marcato che per altri membri. Per l’UE il G20 è un tempio del multilateralismo da preservare, a cui affida le proprie speranze di cooperazione globale, specialmente sul clima. Ma allo stesso tempo è un bagno di realtà in cui deve scendere a patti con tutti i limiti della sua influenza internazionale. 

 

L’UE nel G20

Membro dalla fondazione del Gruppo dei 20 nel 1999, l’UE è il terzo membro per popolazione rappresentata (dopo Cina e India) e secondo per porzione di Pil mondiale (dopo gli Stati Uniti). All’interno del G20 convive con tre suoi stati membri: Germania, Francia e Italia. Vanno poi aggiunti Spagna e Paesi Bassi invitati permanenti ai tavoli di discussione. 

Una così forte presenza europea ha generato negli anni un forte dibattito riguardo alla necessità di rafforzare il ruolo anche di altre regioni del mondo che, invece, risultano sottorappresentate. L’Africa, per esempio, nonostante una popolazione più che doppia di quella europea, è unicamente rappresentata dal Sudafrica all’interno del G20. L’inclusione dell’Unione Africana come 21° membro del Gruppo potrebbe parzialmente ribilanciare questo disequilibrio. 

 

L’exploit al G20 di Amburgo

L’UE dimostra che può assumere un ruolo rilevante nel summit G20 di Amburgo nel 2017. C’è forte attesa - condita da scetticismo - sulle conclusioni che potranno essere raggiunte in un contesto internazionale teso e incerto. L’amministrazione Trump negli Stati Uniti è in guerra (commerciale) con la Repubblica Popolare Cinese e con gli alleati dell’Unione Europea. Non solo, Washington si è anche ritirata dagli Accordi di Parigi sul clima del 2015, in cui i firmatari si impegnavano a contenere il riscaldamento globale entro i 2°C o, preferibilmente, 1,5°C. 

Nel vuoto lasciato dagli USA, di fronte alle prospettive di un G20 fallimentare, l’UE riesce a ergersi come punto di riferimento internazionale delle discussioni sull’ambiente, in sinergia con la Germania. Il risultato è il G20 Hamburg Action Plan, un piano condiviso per la lotta al cambiamento climatico, che pur mancando di promesse concrete, riesce a convincere la comunità internazionale, nonostante l’astensione degli Stati Uniti, della necessità di cooperare sull’ambiente. Un G19 più che un G20, ma un G19 che vede l’UE protagonista.

 

La distanza tra ambizioni e realtà 

Ma lo slancio è durato poco. All’entusiasmo del 2017 hanno fatto seguito anni di compromessi al ribasso sul clima in cui il ruolo di leader dell’Europa “geopolitica” sul clima si è scontrato con il pragmatismo dei paesi in via di sviluppo.

I paesi del G20 sono responsabili di quasi l’80% delle emissioni inquinanti a livello globale. Naturale che l’UE puntasse alla mobilitazione degli altri membri per raggiungere accordi ambiziosi sul clima, in particolare quest’anno in cui la presidenza del G20 e la co-presidenza della COP26 spettavano all’Italia, paese UE. Ma il G20 ha deluso le aspettative di Bruxelles, che forse ha peccato di eccessiva ambizione. Se già a livello europeo è stato difficile trovare un compromesso per porre l’obiettivo di una riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030, al G20 una tale concretezza è quasi impossibile. Almeno per il momento, fuori dai confini europei gli interessi sono diversi così come la percezione dell’emergenza ambientale.

Sono così rimaste le promesse di mantenere il riscaldamento climatico entro 1,5°C, e questo è già un grande passo avanti. Ma ci si è dovuti accontentare di un generico impegno a raggiungere emissioni zero entro o attorno alla metà del secolo. Ovvero 2060 e 2070 per Cina e India, ben oltre il 2050 auspicato e proposto da Bruxelles.

Non sempre, tuttavia, l’UE può dirsi delusa o limitata dalla diversità di vedute all’interno del G20. Il raggiungimento di un accordo per una tassa minima globale sulle multinazionali, per esempio, è un traguardo per cui l’UE ha spinto molto. Nonostante più di un suo membro si sia messo di traverso nel corso dei negoziati durati quasi un decennio.

Pertanto, se da una parte il ruolo europeo nel G20 non sempre è stato decisivo, dall’altra l’UE si è fatta promotrice della ricerca di un consenso trasversale, anche se lontano dalle proprie posizioni, che rappresenta l’anima del multilateralismo.

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AUTORI

Alberto Guidi
Osservatorio Geoeconomia ISPI
Carlo Mongini
Osservatorio Europa e Global Governance ISPI

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