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Commentary

Successione in gioco ad Algeri: tanti partiti e troppi astenuti

Federica Zoja
02 maggio 2017

Mentre le voci sul decesso del presidente algerino Adbel Aziz Bouteflika si riconcorrono in un crescendo incontrollato, l'aria che si respira nel paese nordafricano è quella antecedente una grande tempesta: carica di tensione, immobile, cupa. Intorno al raìs ottuagenario, in carica per il quarto mandato, famiglia e fedelissimi fanno scudo affinché gli avversari non possano sfruttare il momento di fragilità ma, allo stesso tempo, affilano i coltelli per escludersi a vicenda dalla corsa alla successione.

La difesa del regime, di fronte al tramonto inevitabile, si spinge fino a ipotizzare la candidatura di Bouteflika alle elezioni presidenziali del 2019, per un quinto mandato.

In realtà, Saïd, fratello minore del presidente, pare studiare da “uomo della provvidenza” algerina, sempre al fianco dell'incerto Adbel Aziz nelle occasioni ufficiali, ormai rare, così come in quelle ufficiose. Per lui, professore universitario, è stata creata la carica di consigliere speciale, con procedura inappellabile. Secondo gli analisti, una presidenza ereditaria sarebbe mal digerita in Algeria, ma chi può sapere come evolverà la cornice economica e sociale nei prossimi mesi e, di conseguenza, anche il “sentiment” dell'opinione pubblica?

Il voto politico del prossimo 4 maggio sarà un test per i fragili e usurati equilibri di potere: innanzitutto in seno all'ex partito unico del Front de libération nationale (Fln), scosso da una lotta senza quartiere. L'ufficializzazione delle candidature ha suscitato reazioni sdegnate e polemiche. A partire dalla lista della wilaya (distretto) di Algeri: a sorpresa, l'ex ministro di Agricoltura, Pesca e Sviluppo rurale, Sid Ahmed Ferroukhi (Fln), “dimissionato” fra mille critiche quando Amar Saadani era segretario generale del partito, è ora il capo lista della provincia. La candidatura di Ferroukhi è destinata ad acuire le distanze fra le diverse correnti del Fln della capitale. Ma è un po' ovunque che i vertici del partito sono accusati dagli uffici provinciali di aver fatto calare dall'alto nomi non concordati. E di aver relegato in fondo agli elenchi professionisti conosciuti sul territorio, soprattutto donne. L'insoddisfazione serpeggia anche in Spagna e Francia meridionale, dove numerosi rappresentanti del Fln hanno lasciato il partito. Non se la passa meglio il Rassemblement national démocratique (Rnd), il cui leader, Ahmed Ouyahia (anche segretario della presidenza della Repubblica e amico personale dei Bouteflika, “papabile” alla presidenza), a fatica contiene le fronde interne. Fln e Rnd godono della maggioranza nell'attuale Assemblea nazionale, la Camera bassa del Parlamento.

Se le radici politiche della dirigenza algerina vacillano e sbandano, appare invece solido il corpo centrale del regime, le Forze armate, con il generale Ahmed Gaïd Saleh, capo di Stato maggiore e vice ministro della Difesa, a garantire la tenuta del paese di fronte alla minaccia jihadista, proteiforme. I sondaggi riflettono un grado di fiducia ancora elevato nei confronti dei militari da parte della popolazione.

Saleh è un fedele alleato del presidente, ma non della famiglia. Soprattutto a seguito della riforma del Drs, Département du renseignement et de la sécurité (i servizi segreti, ristrutturati fra ottobre 2015 e giugno 2016 e diventati Département de surveillance et sécurité): nel giro di pochi mesi, in sintesi, il Drs è stato sottratto al controllo militare e ricondotto a quello presidenziale. Un passo non gradito al generale, che ha provveduto immediatamente a rafforzare un servizio di sicurezza militare interno. In pratica, una creatura tutta sua. Poi, il generale Mohamed Lamine Mediène, il celebre “Toufik”, è stato mandato in pensione dopo vent’anni di strapotere insieme ad altri ufficiali: questo sì che per Saleh, in attesa di diventare il "nuovo al-Sisi" algerino, è stato un colpo grosso. L'avversario di sempre, Toufik appunto, ha pure rischiato di finire in galera per illeciti finanziari. L'intera manipolazione dei servizi è stata frutto di Saïd Bouteflika, dicono voci accreditate. Ma non certo per aiutare il generale-ministro Ahmed Gaïd Saleh. Piuttosto per dare risalto a Athmane Sahraoui, più noto come Athmane Tartag ("l'esplosivo", in lingua amazig), nuovo numero uno dell'intelligence algerina e vicino a Saïd.

Sullo sfondo di questa partita a scacchi delicata, la crème affaristica del paese nicchia, alle prese con un dilemma non da poco: rimanere fedele al sistema attuale, che però è incapace di introdurre le riforme economiche necessarie? Oppure spingere per un cambiamento che potrebbe portare con sé la diversificazione economica, ma pure la ridistribuzione della ricchezza?

Mentre il regime lotta per la sopravvivenza, la società ribolle. Le manifestazioni verificatesi in alcune province della Cabilia fra dicembre e gennaio, con una diffusione a macchia di leopardo in tutto il paese fino alle periferie della capitale, hanno evidenziato l'insofferenza della popolazione nei confronti della politica di austerità economica avviata dal governo Sellal; e soprattutto della corruzione, del clientelismo, della mancanza di democrazia. Facile, dunque, immaginare che gli astenuti saranno i veri protagonisti delle prossime elezioni; già nel 2012, il tasso di partecipazione si fermò al 42% degli aventi diritto. Le forze dell'ordine hanno bloccato cortei e manifestazioni, trasformatisi poi a Béjaïa in guerriglia urbana. E l'esecutivo ha colto l'occasione per screditare l'attivismo politico, equiparandolo al terrorismo con l'aiuto di media filo-governativi e vertici delle Forze armate. L'unica occasione in cui, recentemente, le diverse anime del potere hanno saputo trovare una sola voce, armoniosa.

 

Federica Zoja, giornalista del quotidiano Avvenire

 

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Autore

Federica Zoja
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