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Commentary

Sud Sudan, per la prima volta Pechino recluta il suo esercito

Filippo Fasulo
11 settembre 2014

Per la prima volta nella sua storia la Repubblica Popolare Cinese parteciperà a una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite inviando 700 soldati in Sud Sudan nell’ambito della missione Unmiss. Sebbene la data di avvio delle operazioni cinesi in Sud Sudan non sia ancora stata ufficializzata, il portavoce dell’Unmiss, Joe Contreras, conferma che ciò avverrà verso la fine di novembre.

I membri dell’Esercito di Liberazione Popolare (Elp) saranno inviati con il mandato di proteggere i lavoratori stranieri impiegati nel settore petrolifero. La loro sicurezza, infatti, è minacciata dalle attività dei ribelli che hanno fatto precipitare il paese nella guerra civile cominciata lo scorso dicembre e che fra atrocità di ogni tipo contro la popolazione locale ha costretto le nazioni straniere a evacuare alcuni dei propri cittadini nell’area, tra i quali circa 300 cinesi. La missione Unmiss è presente sul territorio dal 2005, ma i recenti avvenimenti hanno indotto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a inviare ulteriori truppe con un mandato più esteso con l’obiettivo di pacificare il paese.

La Cina è già presente in Sud Sudan con circa 300 soldati, ma questo invio è considerato senza precedenti per la riconosciuta possibilità che l’Elp possa intervenire militarmente per ottenere la stabilità regionale. Se si fa eccezione di un piccolo contingente inviato in Mali nel 2013 per proteggere un gruppo di ingegneri cinesi impegnati in progetti di cooperazione, mai era avvenuto che la Cina intervenisse così tanto negli affari di un paese straniero. La politica estera cinese, infatti, è ancora legata ai Cinque princìpi di coesistenza pacifica delineati negli anni ’50 e che includono esplicitamente la non ingerenza negli affari interni degli stati. Almeno in parte contravvenendo a tale orientamento, la Cina negli ultimi mesi si è fortemente interessata alla stabilità del Sud Sudan, sia promuovendo incontri internazionali volti alla risoluzione del conflitto, sia con azioni più decise quali la vendita di armi a una delle parti in causa. Nei mesi passati, infatti, la comunità internazionale aveva fortemente criticato la Repubblica Popolare per aver venduto ingenti quantità di armi al governo del Sud Sudan. Tuttavia le critiche al rapporto della Cina con i governi locali non sono nuove, tant’è vero che alcuni osservatori collegano lo stallo avvenuto per anni nel Darfur con la volontà del governo cinese di opporsi in seno alle Nazione Unite a qualsiasi risoluzione che fosse ostile al governo sudanese con cui intratteneva rapporti commerciali.

Che la prima missione militare internazionale della Repubblica Popolare Cinese avvenga in Africa non è un caso. Negli ultimi anni infatti la presenza commerciale cinese nel continente africano è aumentata esponenzialmente tanto da diventarne il primo partner commerciale. Uno dei maggiori interessi ruota attorno alle risorse energetiche, proprio come nel caso del Sud Sudan dove sono a rischio gli investimenti nei pozzi petroliferi del paese. Un ruolo importante è rivestito dall’azienda di proprietà statale National Petrolium Corp. che detiene il 40% di una joint venture anche con aziende malesi e indiane. Fino a prima dello scoppio della guerra civile il Sud Sudan forniva alla Cina circa il 5% delle proprie importazioni di greggio, ridottesi successivamente di un terzo. La lettura degli osservatori internazionali è che la Cina con l’invio delle truppe voglia semplicemente proteggere le proprie trivelle estrattrici da possibili attacchi militari, ignorando il problema dei diritti umani violati dalle parti in conflitto. Sebbene questa lettura possa apparire eccessiva, è indubbio che la questione della stabilità dei paesi da cui riceve l’approvvigionamento energetico sia un tema caldo per lo sviluppo dell’economia cinese. 

L’invio di truppe è strettamente legato al tema del ruolo della Cina come attore nel contesto internazionale, ovvero se sia un responsible stakeholder nell’assicurare la stabilità globale oppure un semplice free rider come affermato dal presidente americano Barack Obama in una recente intervista sulla situazione irachena. Nonostante la vibrante protesta cinese contro gli Stati Uniti, fino a oggi erano pochi i segnali di una presa di coscienza da parte di Pechino dei propri doveri di attore globale. 

Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha però cercato di minimizzare la portata dell’invio di truppe sostenendo che la Cina sta agendo secondo le direttive del Consiglio di Sicurezza e negando dunque un impegno legato a interessi economici. Allo stesso tempo però ha fortemente rivendicato il fatto che la Cina sia ad oggi il membro permanente del Consiglio di Sicurezza a essere in assoluto il più impegnato in missioni internazionali, con 1800 soldati in 16 missioni. Gradualmente quindi la Cina sta abbandonando il proprio tradizionale isolazionismo per assumersi sempre più oneri legati ai propri interessi economici e al proprio ruolo di potenza globale. La crescita del peso politico cinese in ambito internazionale, anche in virtù delle prospettive di rafforzamento internazionale previste nel disegno di Sogno Cinese del presidente Xi Jinping, metterà il paese di fronte a numerose situazioni che potrebbero prevedere l’impiego di forza militare. Una Cina attore protagonista nelle controversie politiche internazionali potrebbe non essere più un'utopia.

Filippo Fasulo, ISPI Research Assistant

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Autori

Filippo Fasulo
Associate Research Fellow

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