Con le dimissioni rassegnate la sera del 14 febbraio Jacob Zuma mette fine alla sua travagliata presidenza del Sudafrica. Un ultimo gesto, ormai quasi insperato, che ha scongiurato il voto di sfiducia programmato per il 15 febbraio proprio dal suo partito di governo, l’African National Congress (ANC) che guida la nazione arcobaleno dalla fine dell’apartheid. Dallo scorso dicembre, con l’assunzione della leadership dell’ANC da parte di Cyril Ramaphosa, le pressioni per le dimissioni anticipate di Zuma si erano sempre più intensificate. Il 13 febbraio il Comitato esecutivo nazionale dell’ANC aveva deciso di richiamare il “compagno” Zuma dall’incarico presidenziale, una richiesta non vincolante ma eloquente a cui era seguito un timido ultimatum affinché rassegnasse le dimissioni entro 48 ore. Così è avvenuto, risparmiando all’ANC il ricorso alla misura più disonorevole, la sfiducia parlamentare del proprio leader. Quali scenari si aprono ora? A un anno dalle elezioni presidenziali, l’ANC riuscirà a riconquistare la fiducia del proprio elettorato? E il nuovo leader Ramaphosa riuscirà a risollevare l’economia e riappacificare la frammentata società sudafricana?
Economia e società: una situazione sempre più critica
Sono passati quasi 25 anni dalla fine della segregazione razziale. Come però descritto nel Rapporto ISPI “South Africa. The need for change”, chi oggi guarda al Sudafrica trova un paese in difficoltà economica, socialmente frammentato e privato di quella autorità morale che aveva conseguito con la risoluzione non violenta dell’apartheid. Ancora oggi, in Sudafrica, il 10% della popolazione – a larga maggioranza bianca – detiene il 93% della ricchezza nazionale. Nel corso del 2017 la disoccupazione ha toccato il 27,7%, il massimo storico negli ultimi 14 anni, arrivando a sfiorare il 56% tra i giovani. Dal 2011 il rand si è dimezzato sul dollaro, le agenzie di rating hanno declassato a spazzatura il credito sovrano sudafricano, e la crescita del PIL è inesorabilmente calata fino alla recessione di inizio 2016 e alla successiva stagnazione sotto il punto percentuale. Pur riconoscendo che alcune dinamiche sono state ereditate dagli anni dell’apartheid e dei compromessi che si resero necessari per giungere a una sua risoluzione pacifica, gran parte sono in realtà conseguenza di precise scelte politiche di chi ha guidato il paese negli ultimi 9 anni.
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Il declino di Zuma, l’ascesa di Ramaphosa
Nei 9 anni alla presidenza del Sudafrica, Zuma si è reso protagonista di numerosi scandali, 12 rimpasti di governo e 8 mozioni di sfiducia superate. Su di lui pendono 18 capi d’imputazione per corruzione, riciclaggio, frode e crimine organizzato. Dagli oscuri legami con i Gupta, famiglia di ricchi imprenditori di origine indiana, all'appropriazione indebita di fondi pubblici per la ristrutturazione della propria residenza e altri fini personali (state capture), passando per la manipolazione dell’apparato giudiziario e la costruzione di una fitta rete clientelare, il sistema che Zuma ha creato attorno a sé ha eroso le istituzioni democratiche e l’economia più sofisticata dell’Africa. Eppure per molti anni ha goduto di ampio consenso, grazie proprio alla rete di persone le cui fortune politiche sono dipese dalle sue. Al Congresso di partito di dicembre, non potendo ricandidarsi ha sostenuto la candidatura dell’ex moglie ed ex presidente della Commissione dell’Unione Africana Nkosazana Dlamini-Zuma. Oltre a garantire all’ex marito l’immunità dalle accuse pendenti, avrebbe alimentato il sistema e le politiche economiche radicali sostenute da Zuma ma nocive per l’economia sudafricana. Questo è il motivo per cui mercati internazionali e società civile ed imprenditoriale locale hanno accolto con soddisfazione la vittoria risicata dello sfidante principale alla guida dell’ANC, Cyril Ramaphosa, figura vicina a Nelson Mandela, con un passato da sindacalista e un seguito da imprenditore di successo, che ha ricoperto la carica di vicepresidente di Zuma dal 2014.
Cosa accadrà ora? L’effetto Ramaphosa
La presidenza ad interim è passata immediatamente al vice-presidente Ramaphosa per un periodo massimo di 30 giorni entro il quale il Parlamento deve eleggere la figura che guiderà il paese fino alle prossime elezioni che sono programmate per il 2019. L'elezione avverrà già il pomeriggio del 15 e, con tutta probabilità, vista l’ampia maggioranza parlamentare dell’ANC, la carica verrà assegnata al suo leader Ramaphosa. Le sfide che il nuovo presidente dovrà affrontare per recuperare la fiducia degli elettori sudafricani sono complesse e strutturali. Come sottolinea Giovanni Carbone, il cambio di leader è un primo passo necessario per voltare pagina e aprire una nuova stagione. Ma i lunghi negoziati condotti all’interno dell’ANC per decidere sul futuro di Zuma tradiscono il forte fazionalismo interno al partito. La maggioranza del Comitato esecutivo è ancora in maggioranza fedele a Zuma e questo ostacola l’implementazione del “new deal” tra governo e imprese che Ramaphosa ha promesso per combattere la corruzione e risollevare l’economia. All’ultimo Congresso, infatti, il partito ha comunque avallato la linea della trasformazione economica radicale a favore di espropriazioni terriere e nazionalizzazioni bancarie. Un primo segnale del cambio di rotta, però, è giunto il 14 febbraio con l’irruzione di una unità d’élite della polizia sudafricana nella residenza dei Gupta. I mesi a disposizione di Ramaphosa in vista delle elezioni non sono molti. Alle urne l’ANC perde costantemente consenso dal 2004. Il partito principale di opposizione, la Democratic Alliance, così come la sinistra radicale degli Economic Freedom Fighters, hanno sfruttato le difficoltà della presidenza Zuma ampliando i propri consensi e riducendo quelli dell’ANC fino a portarlo al suo minimo storico (54%) alle elezioni locali del 2016. Alla fine del monopolio dell’ANC sull’elettorato nero si aggiunge la sfiducia degli alleati storici sindacalisti e comunisti (Cosatu e Sacp). Nonostante lo scenario di una storica prima alternanza di governo nel Sudafrica post-apartheid sia inverosimile, vista la remota possibilità di perdere la maggioranza relativa alle elezioni presidenziali e di vedere un’eventuale coalizione tra opposizioni, non è da escludere il rischio per l’ANC di dover essere costretto a condividere il potere in inedite alleanze multipartitiche.