Riprendono gli sbarchi e l’Italia chiede una redistribuzione volontaria dei migranti. Ma dai paesi europei non arriva alcun sostegno, mentre Bruxelles può solo puntare a ridurre le partenze.
Ci risiamo. Sulla questione migratoria l’Italia chiama l’Europa e l’Europa non risponde. Come ogni anno, in primavera, la stagione degli sbarchi riprende vigore. E all’aumento delle traversate corrisponde un aumento dei naufragi: se dal 1° gennaio ad oggi sono 12.894 le persone approdate (il triplo rispetto allo stesso periodo del 2020 secondo il Viminale), i morti sarebbero più di cinquecento. Un bilancio che si aggiorna continuamente e che ha già mandato in tilt le strutture di accoglienza di Lampedusa, dove in poco più di due giorni sono arrivati oltre 2mila migranti. Pur se in aumento rispetto allo scorso anno però – anche a causa degli allentamenti nelle restrizioni dettate dalla crisi sanitaria – i nuovi sbarchi erano ampiamente prevedibili e non giustificano dunque la ‘sorpresa’ europea. In attesa dell’inizio delle discussioni sul nuovo Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo, promosso dalla Commissione Europea e il cui iter si preannuncia già molto complicato, la ministra degli Interni Luciana Lamorgese ha chiesto di attivare in emergenza “un meccanismo temporaneo” tra gli stati disponibili per il ricollocamento. Una sorta di ‘Malta bis’ che coinvolga chi ci sta, come avvenuto nel settembre del 2019 a La Valletta, per un accordo di redistribuzione – temporaneo e su base volontaria – dei migranti soccorsi in mare, in modo da evitare che il peso dei flussi, in aumento man mano che si avvicina l’estate, ricada solo sull'Italia. Rivendicato come un successo, che avrebbe dovuto rendere permanente i meccanismi di relocation tra paesi volenterosi, però, l’accordo è stato travolto dalla pandemia e stavolta l’appello lanciato dal nostro paese sembra passare inosservato. Da Bruxelles fanno sapere che “i contatti proseguono con vari stati membri”, ma che per il momento “nessuno ha preso alcun impegno preciso”.
Vietare le partenze?
Un primo ‘no’ secco alla richiesta dell’Italia è arrivato dall'Austria, che si è detta contraria ad un approccio che non risolverebbe il problema, che verrebbe solamente rimandato nel tempo: “Meglio aiutare direttamente i paesi africani a fermare le migrazioni”, ha dichiarato Karoline Edstadler, sottolineando ancora una volta l'opposizione di Vienna all'idea di una redistribuzione. E se altri, come i paesi del cosiddetto Blocco di Viségrad, da sempre contrari all’accoglienza, non hanno proprio risposto, stavolta a differenza del 2019 la stagione delle partenze dalle coste nordafricane è solo all’inizio, i paesi che a Malta si erano mostrati più solidali – Germania e Francia – sono alle prese con le rispettive scadenze elettorali. Angela Merkel lascerà il posto di Cancelliere entro la fine dell’anno, mentre Emmanuel Macron, tallonato dalla destra nazionalista di Marine Le Pen, non intende giocarsi la rielezione alle presidenziali del 2022 su una questione scottante come quella dei migranti. In Europa insomma la linea prevalente, che è stata espressa anche dal commissario europeo per gli Affari Interni Ylva Johansson, è quella che prevede il raggiungimento di accordi coi principali paesi di origine e transito per bloccare le partenze: “È sempre un obbligo salvare vite in mare e non è negoziabile”, ma “se si vogliono salvare vite in mare il modo migliore è prevenire le partenze”. Una strategia che espone a possibili ricatti, ma a cui l’Europa rimane aggrappata nell’incapacità di partorire una politica condivisa.
In pressing sulla sponda Sud?
In assenza di un accordo a 27 – quelli di Malta nel 2019 comprendevano oltre a Italia e Malta solo Germania e Francia (anche se ai ricollocamenti hanno alla fine partecipato 11 paesi Ue) – l'unica alternativa sembra dunque quella di ‘esternalizzare’ la gestione delle frontiere europee. Pur volendo essere pragmatici però, il nord Africa offre tutt’altro ‘panorama’ rispetto al quadrante orientale, dove l’Europa ha appaltato la gestione dei flussi alla Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan in cambio di pagamenti miliardari. In Libia il governo appena insediato è fragile e comunque ha altre priorità interne, lasciando carta bianca alle milizie che – numeri alla mano – hanno ripreso in mano i vecchi traffici. Ma sulle indiscrezioni di un governo italiano in pressing su Bruxelles con l’idea di pagare la Libia per bloccare le partenze dei migranti è presto arrivata la smentita di Roma. “Al momento non c’è nessuna iniziativa riguardo al creare un accordo simile a quello che c’è con la Turchia”, hanno riferito fonti di Palazzo Chigi. Nel mentre, il Viminale insiste con tutti gli interlocutori della sponda Sud: la ministra Lamorgese è stata a Tripoli lo scorso 19 aprile e il 20 maggio e tornerà a Tunisi con la commissaria europea Johansson. “Per governare i flussi migratori – spiega oggi ad Avvenire – serve una logica di partenariato che sappia comprendere, nello stesso pacchetto, progetti di sviluppo, azioni contro il traffico d’esseri umani e garanzie per il rispetto dei diritti umani dei migranti”.
Accontentarsi di un Malta bis?
In attesa che l’Europa batta un colpo, basterebbe osservare i numeri per capire che, sebbene siano bastati in poche ore a portare al collasso le strutture di Lampedusa, gli sbarchi odierni non sono paragonabili a quelli registrati in anni passati (nel 2016 si erano registrati circa 180mila sbarchi), il che spiega in parte l’indifferenza con cui è stata accolta la richiesta italiana. Anche per questo il governo italiano non sembra farsi illusioni. E comunque, le relocation volontarie, anche in passato, non hanno di certo risolto il problema. “Tra ottobre 2019 e marzo 2021, con gli accordi di Malta abbiamo ricollocato circa 990 persone su 44.300 sbarcati, il 2,2% del totale – osserva Matteo Villa, dell’Osservatorio migrazioni dell’ISPI - Non è colpa nostra, sia chiaro, ma forse chiedere solidarietà che poi non si palesa è come puntare tutto su un piano A senza avere un piano B”. Sarebbe meglio, forse, non accontentarsi di un Malta bis considerato che l’originale non ha portato, poi, così lontano. Ma l’attuale situazione non permette di porsi obiettivi più ambiziosi. Non potendo obbligare gli stati membri a farsi carico di quote di migranti, anche la Commissione non può far altro che caldeggiare il ‘principio di solidarietà’, sempre su base volontaria. E se a Lampedusa i migranti restano bloccati in mezzo al mediterraneo, sulla regola dell’unanimità e i veti incrociati ancora una volta è l’Europa che resta all’àncora.
Il commento
Di Matteo Villa, ISPI Research Fellow Programma Migrazioni
“Con gli accordi di Malta tra ottobre 2019 e marzo 2021 abbiamo ricollocato circa il 2,2% del totale dei migranti sbarcati. Invocare “solidarietà europea” con impegni volontari, che si concludono con il 98% delle persone sbarcate che rimane in Italia, rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Vero è che molti di quelli che sbarcano in Italia non vogliono rimanere qui. Prova ne sia che circa metà dei 700.000 sbarcati dal 2012 non è già più in Italia, malgrado il Regolamento Dublino e le frontiere chiuse.
Continuano a sfuggirci due verità. La prima è che i ricollocamenti che funzionano meglio sono quelli “automatici” delle persone che vanno altrove in Europa, e così continuerà a essere nel più prossimo futuro. La seconda è che l’Italia è un lembo di terra che si allunga nel Mediterraneo. Senza dare ai migranti alternative per raggiungere il nostro paese in maniera regolare, è naturale che le persone continueranno a farlo sfidando il mare che li separa da noi”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)