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La crisi

Sulla pelle degli afghani

12 gennaio 2022

A cinque mesi dalla caduta di Kabul, l’Afghanistan è sull’orlo del disastro umanitario. Ma nel muro contro muro tra Occidente e Talebani a pagare sono i civili.

 

Mentre il mondo è distratto da nuovi scenari di crisi e dalle evoluzioni della pandemia di coronavirus, l’Afghanistan è a un passo da quella che le Nazioni Unite hanno descritto senza mezzi termini “una catastrofe umanitaria”. Per questo l’Onu ha lanciato ieri una campagna per la raccolta di cinque miliardi di dollari, una cifra record, la più alta mai richiesta per un singolo paese, per cercare di evitare che l’Afghanistan sprofondi in uno dei disastri umanitari più gravi della storia. Il piano di aiuti predisposto dalle organizzazioni umanitarie “è solo una soluzione di emergenza – ha detto Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari – ma il fatto è che senza non ci sarà futuro” per questo paese. Allo stato attuale, riferisce l’Ocha, metà della popolazione afghana soffre la fame, a causa della peggiore siccità degli ultimi decenni. E l’economia è in caduta libera. Senza sostegno, decine di migliaia di bambini (due su tre riferisce la ong Save the children) rischiano di morire per malnutrizione, poiché i servizi sanitari di base sono al collasso. Intanto, nel paese tornato sotto il controllo dei Talebani a inizio settembre, dopo il ritiro delle forze della coalizione internazionale a guida Usa, sono milioni i bambini che non vanno a scuola e i diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono sotto attacco. Eppure è proprio a loro, alle donne afghane, che si deve l’ultimo coraggioso fronte di resistenza contro l’Emirato Islamico e l’oscurantismo in cui – nell’indifferenza generale – pretende di ripiombare l’Afghanistan. 

 

 

 

In caduta libera?

A quattro mesi e mezzo dal ritorno dei Talebani nelle stanze del potere, l’economia afghana è in caduta libera. Il collasso economico registrato nell’ultimo trimestre è senza precedenti ed entro un anno potrebbe verificarsi una contrazione del 40% del suo prodotto interno lordo. In un paese storicamente dipendente dagli aiuti esterni, le sanzioni internazionali e il congelamento dei beni della Banca centrale afghana che si trovano fuori dal paese, hanno determinato l’arresto di importanti flussi di credito, con il risultato che non c'è più denaro per le transazioni quotidiane e il prezzo dei beni di prima necessità è salito alle stelle. Gli stipendi dei lavoratori del settore pubblico – medici, infermieri e insegnanti – non vengono pagati da mesi, le strutture sanitarie non hanno mezzi per pagare il carburante che garantisce il funzionamento di generatori e ambulanze e l’erogazione dei servizi di base non può essere garantita. Per questo continuano a moltiplicarsi le voci di chi chiede che l'Occidente modifichi il suo approccio alla questione afghana: “Il mondo è seduto in attesa che i Talebani compiano progressi non ben definiti su una serie di norme e principi senza favorire una soluzione allo stallo. I Talebani, d'altra parte, o non sono disposti a soddisfare queste aspettative o non sono chiari sulle loro intenzioni”, spiega in modo efficace Peter Maurer, presidente del Comitato della Croce Rossa internazionale, che aggiunge: “Le conseguenze sono evidenti a tutti: lo stato si sta disintegrando, la regione si sta destabilizzando e le persone stanno esaurendo ogni speranza”.

 

Le donne: ultimo fronte di resistenza?

È in questo contesto che, negli ultimi mesi, le donne hanno visto erodere le conquiste e i diritti faticosamente raggiunti negli ultimi 20 anni. Da quando sono saliti al potere, i Talebani hanno approvato una serie di norme via via più repressive riguardo lo status delle donne nella società: l’ultima – imposta nella provincia di provincia di Balkh e di Herat, ma si teme che sia estesa su scala nazionale – è quella che vieta loro l’uso dei bagni pubblici. Una legge che nulla ha a che vedere con la cultura islamica e che invece rappresenta una grave violazione dei diritti umani, soprattutto in un paese distrutto dalla povertà in cui molte persone non hanno a disposizione acqua calda. Attivisti e attiviste per i diritti delle donne manifestano per le strade di Kabul con cadenza quasi quotidiana, nonostante i divieti e la repressione del riesumato ministero “Per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio”. Con coraggio e dignità – come racconta Tolo News, una delle poche voci indipendenti nel paese – le manifestanti afghane rivendicano istruzione e lavoro femminile, rinnovando gli appelli alla comunità internazionale a non rimanere inerte davanti ai diritti traditi delle donne in Afghanistan.

 

Il dilemma dell’Occidente?

È impossibile non vedere le responsabilità che Stati Uniti e Occidente portano nell’attuale situazione afghana. Ma a distanza di quasi cinque mesi dalla caduta di Kabul appare ormai chiaro che il nodo dei rapporti con il nuovo regime dei Talebani, per quanti sforzi si facciano nel non volerlo affrontare, è giunto al pettine. “La percezione, soprattutto riguardo al comportamento degli americani, è che si stia cercando di costringere l’Emirato a fare concessioni attraverso lo strumento economico e finanziario, oppure persino di farlo collassare sotto il peso di un’economia ingestibile” – osserva Antonio Giustozzi nel Dossier Ispi L’anno che verrà – “Le responsabilità dei Taliban, che non vogliono rischiare la propria unità interna alla ricerca di compromessi a lungo termine con americani ed europei, avranno poco impatto perché i Taliban dell’opinione pubblica internazionale non si curano. Il rischio pertanto è di una crisi umanitaria artificiale, legata a motivi politici, che potrebbe assimilare i paesi occidentali a Stalin, a quel regime sovietico che provocò la famosa carestia in Ucraina negli anni Trenta”. Così, mentre le Nazioni Unite lanciano la campagna di aiuti più ingente di sempre è chiaro a tutti che nessuno sforzo di solidarietà potrà mai sostituirsi a decisioni politiche complicate, ma non più rinviabili. Ogni ulteriore ritardo nell’apertura di un dialogo, che non è di per sé un riconoscimento dell’Emirato Islamico, non contribuirà infatti a difendere i diritti delle donne né sarà di aiuto al popolo afghano, di fatto, ogni giorno più solo.

 

Il commento

Di Giuliano Battiston, giornalista e collaboratore ISPI

“La crisi afghana dipende da un dato strutturale: dal 2001 al 2021, la comunità internazionale ha creato uno Stato quasi completamente dipendente dai donatori stranieri. Ma dipende anche da scelte politiche contingenti. L’opzione militarista dei Talebani, arrivati al potere con la forza, e la reazione del governo degli Stati Uniti e degli altri membri della coalizione sconfitta dai Talebani: punire l’Emirato sospendendo il sostegno finanziario alle istituzioni. Le stesse istituzioni da cui però dipende la sopravvivenza della popolazione. La politica, a partire da Washington, deve decidere se lasciare accadere la più drammatica crisi umanitaria della storia o lavorare anche con le istituzioni controllate dai Talebani, scongelare i fondi della Banca centrale, rivedere le sanzioni”. 

 

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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Tags

Afghanistan MENA diritti umani human rights
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