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Il mondo che verrà: 10 domande per il 2021
Summit to watch 2021: il G20 italiano
Giampiero Massolo
28 Dicembre 2020

Quali sono le principali variabili dalle quali potrà dipendere il successo della presidenza italiana del G20 nel 2021? La domanda appare particolarmente pertinente a pochi giorni dalla chiusura di un anno che ha reso ancor più evidenti, al contempo, l’assenza e il bisogno di efficaci meccanismi della governance globale.
Sembrerebbe piuttosto naturale, dunque, rivolgere uno sguardo speranzoso al G20 – un foro che esprime circa il 90% del PIL mondiale – alla ricerca di risposte alle tante inquietudini che il 2020 ci lascerà in eredità. La storia di questo formato, tuttavia, deve indurre ad un atteggiamento di prudenza. Il trade-off tra rappresentatività ed efficacia è infatti uno dei nodi più difficili da sciogliere nei consessi internazionali e proprio il G20 ha più volte mostrato di non fare eccezione a tale regola.

Come orientarci in questo quadro carico di incertezze? Entrano qui in gioco le variabili evocate in apertura.
L’agenda, innanzi tutto. Alla definizione di obiettivi chiari ma realistici è legata la possibilità di favorire l’adozione di formule inclusive nelle quali tutti i partner possano riconoscersi. In ciò, l’Italia potrà investire sul suo riconosciuto status di potenza di dialogo e di equilibrio. Vale la pena quindi di provare ad essere ambiziosi, pur se appare opportuno evitare inutili velleitarismi. Nel metodo, promuovere il dialogo non vuol dire essere amici di tutti ad ogni costo. Su snodi fondamentali del nostro programma potremmo dover andare avanti con i partner disposti ad assumersi maggiori responsabilità. Sarà in questo caso importante ricordarci che la parola “partnership” non è un sinonimo di “alleanza”. Nel merito, la nostra credibilità sarà legata anche alla capacità di difendere di quei valori occidentali ai quali la nostra politica estera e il nostro stesso interesse nazionale sono intimamente legati. Questi trovano ampio ed opportuno riflesso nei temi al centro della nostra agenda, riassunti nelle tre direttrici “people, planet e prosperity”. Avremo così l’occasione di ingaggiare i nostri partner su sfide decisive quali il clima, il digitale, il debito dei paesi in via di sviluppo promuovendo un approccio pragmatico ed orientato al risultato. La co-Presidenza della COP 26 e lo svolgimento nel nostro Paese del Summit Mondiale sulla Salute rappresentano felici coincidenze sulle quali potremmo fare leva per rafforzare la nostra azione.
Vi è poi il contesto, un dato per definizione tanto mutevole quanto imprescindibile. Il 2021 sarà inevitabilmente ancora segnato dalla pandemia. È lecito tuttavia attendersi che l’inizio delle campagne di vaccinazioni potrà consentire di affrontare il problema da un’angolatura diversa rispetto a quella del mero contenimento del contagio, aprendo auspicabilmente la prospettiva di una progressiva eradicazione del virus. Un lavoro complesso che richiederà un coordinamento internazionale nel quale il G20 potrà giocare un ruolo prezioso, anche al fine di tutelare le esigenze dei paesi più svantaggiati. Si colloca in questo orizzonte l’obiettivo dell’affermazione dei vaccini come beni pubblici globali, sul quale opportunamente sono risposte molte delle nostre energie. Tutte da decifrare, pur nella loro prevedibile durezza, saranno poi le conseguenze della crisi socio-economica associata a quella sanitaria, una volta che verranno allentati gli schemi di sostegno messi in piedi dagli Stati. Attenuarne le inevitabili asimmetrie non potrà che giovare alla ripresa globale e rilanciare la lotta alla povertà.
La terza variabile è la volontà della membership di cooperare in funzione del conseguimento di obiettivi comuni. Su questo punto, è indubbiamente opportuno armarsi di un sano realismo e non farci troppe illusioni. Il G20 è un club i cui membri muovono da punti di vista e interessi spesso molto lontani tra loro. Un dato che rende di per sé difficile la ricerca di formule di sintesi. Proprio il carattere “emergenziale” dell’attuale congiuntura potrebbe tuttavia schiudere utili spazi di manovra per favorire un atteggiamento collaborativo e maggiormente incline al compromesso. In questo senso si può guardare con positività anche alla dichiarata volontà di rilancio del multilateralismo espressa dal Presidente eletto Biden, come pure alle aperture all’integrazione e al libero scambio di cui sono recenti espressioni il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e l’annunciata possibile finalizzazione dell’accordo sugli investimenti tra l’UE e la Cina. Vi è inoltre il crescente dinamismo delle democrazie asiatiche, che l’Occidente ha tutto l’interesse a sottrarre all’influenza esclusiva di Pechino.

Su queste basi, un’Unione ricompattata dagli esiti del Consiglio Europeo di dicembre che si presentasse al G20 senza dissonanze tra gli Stati membri potrebbe contribuire alla ricostituzione in termini più strutturati quel rapporto a tre con USA e Cina dal quale ogni schema realistico di governance globale non può prescindere. Le alternative le conosciamo: un G2 sino-americano o un G0 privo di punti di riferimento. In entrambi i casi l’Europa rischia di trovarsi relegata al ruolo di mero terreno di scontro (economico, tecnologico, normativo) tra le due superpotenze. Bene dunque farsi trovare pronti all’appuntamento, magari riportando al centro della scena anche la questione del rafforzamento delle relazioni transatlantiche.

Il G20, piattaforma che ha il pregio di tenere insieme tutti gli attori rilevanti, ben si presta a un esercizio di questo tipo. Ancorché non figuri espressamente nella nostra agenda, si tratterebbe di per sé di un “deliverable” di grande significato per la Presidenza italiana. Le variabili, per parte loro, potrebbero rivelarsi utilmente allineate.

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AUTORI

Giampiero Massolo
Presidente ISPI

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