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Blog @Radar
Taccuino Sahel: come cambia l’antiterrorismo in Africa
Guido Olimpio
17 febbraio 2021

La crisi nel Sahel è stata al centro del vertice di N’Djamena, con la partecipazione della Francia e degli stati che compongono il G5, ossia Ciad, Mali, Burkina Faso, Niger e Mauritania. Emmanuel Macron, presente in teleconferenza, ha escluso per ora una riduzione del contingente, ha promesso maggiori sforzi per l’eliminazione dei capi guerriglieri, ha comunque lasciato intendere che vi sarà in futuro una presenza diversa da parte del suo paese, l’inizio di una possibile exit strategy con un passaggio di consegne agli eserciti locali. Un segnale in questo senso è dato dai 1200 ciadiani mandati nella zona delle tre frontiere. A questi sviluppi aggiungiamo sul nostro «taccuino» tre punti. 

La minaccia. L'1 febbraio il direttore della Direction Générale de la Sécurité Extérieure, Bernard Emié, ha lanciato un allarme specifico. In base a informazioni raccolte negli ultimi mesi le formazioni di ispirazione qaedista vogliono espandere l’azione verso Ovest. A rischio Senegal, Benin e Costa d’Avorio, peraltro già colpiti da attentati spettacolari. L’avviso ha suscitato reazioni diverse. Le autorità senegalesi hanno condotto rastrellamenti ed esercitazioni, misure chiaramente preventive dirette al contrasto del terrorismo come del banditismo. Qualche commentatore ha invece criticato la sortita ritenendo che sia un diversivo o persino la giustificazione per interventi di Parigi, sospetti alimentati dalla diffidenza verso l’ex potenza coloniale. 

Mali. Takuba, la missione multinazionale con il coinvolgimento di forze speciali europee in Mali, cresce nei ranghi. Attualmente è già operativa la TG1 a Gao, composta da francesi ed estoni mentre sta completandosi la TG2, quartier generale a Menaka, con francesi, cechi e 150 svedesi, dotati di tre elicotteri Blackhawk. Per la primavera è in calendario lo schieramento di 200 militari italiani, più veicoli e otto velivoli. Probabile la partecipazione di greci, ungheresi e portoghesi. Il dispositivo deve appoggiare l’esercito maliano e al tempo stesso rappresentare un’unità di reazione rapida da «lanciare» dove sia necessario. Il profilo risponde anche alla riorganizzazione dell’Operazione Barkhane (5100 soldati mandati da Parigi) attraverso la creazione di avamposti più piccoli rispetto alle grandi basi. E questo sempre nell’intento di avere una risposta flessibile davanti a incursioni di una guerriglia che sarebbe errato considerare puramente jihadista. Il vessillo nero è sventolato da militanti che hanno rivendicazioni più specifiche, legate al loro territorio. Parigi spera di restringere il numero degli effettivi coinvolgendo maggiormente UE e le truppe del G5, una soluzione (di rimedio) «internazionale» e «sahariana». 

I mezzi. Dall’osservazione delle operazioni, dall’esame di fonti aperte e dalla lettura dei comunicati ufficiali è sempre più netta l’importanza delle due ruote. In entrambi gli schieramenti. Il Ministero della Difesa transalpino, ad esempio, ha comunicato di aver distrutto/catturato durante il 2020 ben 700 moto utilizzate dagli insorti. Il 3 febbraio una colonna di ribelli ha assaltato la posizione di Boni arrivando a bordo di 100 motociclette e di un blindato preda bellica: la guarnigione è stata costretta a ripiegare e Parigi ha condotto strikes aerei (uno dei quali avrebbe causato anche vittime civili).  

Fin dai primi mesi dello scorso anno i francesi hanno intensificato l’addestramento delle Unité légère de reconnaisance et d’intervention maliane (dette URLI) destinate a «lavorare» con gli uomini di Takuba. Alle truppe sono state fornite moto di produzione cinese – 125, marca Sanya -, indiana e giapponese poi dotate di GPS e sottoposte a modifiche per renderle compatibili all’impiego bellico. Un ufficiale ha spiegato i vantaggi: consumano poco rispetto a modelli più sofisticati, costano 400-500 euro, la manutenzione è facile ed è possibile rimediare pezzi di ricambio sul posto. La logistica – ricordiamolo – è uno dei nodi più duri nel Sahel. L’esercito francese, per parte sua, ha condotto un training specifico con moto da cross spagnole Rieju a Camp Canjuers, il grande poligono nel Var. La «passione» per le due ruote non è comunque una novità. Senza andare al secondo conflitto mondiale già negli anni ’80 i pasdaran le introdussero nel Libano sud, poi sono comparse in Afghanistan e a seguire negli altri teatri, dall’Iraq alla Siria. Una soluzione più conveniente rispetto alle classiche «tecniche», i pick up civili trasformati in mezzi da combattimento. 

Moto fornite dalla Francia al Mali

L’insieme di questi aspetti evidenzia la volontà della Francia di rivedere una campagna ormai troppo lunga – con risultati parziali -, di abbassare la «spesa», di ridurre i sacrifici di vite umane e di trovare alternative. Che nel medio termine sono ancora militari, ma nel lungo devono essere politiche. Infatti Mali e Burkina Faso hanno espresso la volontà di trattare con il nemico. 

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Professore di Storia e Istituzioni dell'Africa, Università di Firenze

Tags

Africa terrorismo
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AUTORI

Guido Olimpio
Corriere della Sera

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