Taiwan e il precario equilibrio del Mar Cinese Meridionale
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Commentary
Taiwan e il precario equilibrio del Mar Cinese Meridionale
Lorenzo Lamperti
29 luglio 2020

Nel Mar Cinese Meridionale, la Repubblica Popolare Cinese è l’attore più assertivo, ma non quello che rivendica il territorio più ampio, un ruolo che ricopre invece Taiwan. Tutto nasce dalla “linea degli undici punti” di una mappa pubblicata dal Guomindang (GMD) nel 1947, prima di perdere la guerra civile e rifugiarsi sull’isola. Quella mappa è rimasta alla base delle rivendicazioni territoriali di Pechino, che negli anni Cinquanta ha però rimosso due “linee” in corrispondenza del golfo del Tonchino (racchiuso tra il Vietnam nordorientale e l’isola di Hainan), mentre rimane adottata da Taipei nella sua versione più estesa. Nella costituzione Taiwan infatti rivendica ancora la sovranità sull’intero territorio cinese.

La “linea degli undici punti” comprende tutti e quattro i gruppi di isole del Mar Cinese Meridionale (Pratas, Paracelso, Spratly e Macclesfield Bank) così come le acque a esse circostanti. Non si tratta di un puro esercizio teorico: l’amministrazione di Kaohsiung infatti controlla le isole Pratas, arcipelago strategico sulla rotta da Hainan al Pacifico orientale, attraverso la guardia costiera; mentre a Taiping, isola più grande delle Spratly e nell’intero Mar Cinese Meridionale, dal 1956 risiedono forze militari taiwanesi – oggi circa 200.

Nei mesi scorsi il governo taiwanese ha lamentato delle “azioni unilaterali e imprudenti” da parte di “paesi dell’area,” ricordando le proprie rivendicazioni nell’area e citando i “quattro principi” e le “cinque azioni” della presidente Tsai Ing-wen. Questi fanno riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 e promuovono la libera navigazione, il diritto di pesca, le consultazioni multilaterali, la cooperazione scientifica e i progetti umanitari, proponendo di stabilire proprio a Taiping un centro di collaborazione regionale. Un cambio di rotta rispetto all’ex-presidente Ma Ying-jeou del GMD, che giustificava invece le rivendicazioni marittime attraverso riferimenti storici all’impero Qing e che aveva ufficialmente visitato Taiping, nonostante le proteste di Stati Uniti e Vietnam.

Nonostante Tsai sia stata ripetutamente invitata ad abbandonare le rivendicazioni marittime, la presidente non si è mai mossa in questo senso poiché, da una parte, per Taiwan ciò significherebbe allontanarsi dal “principio di un’unica Cina” e, dall’altra, suggerirebbe una cesura storico-identitaria e una potenziale dichiarazione di indipendenza come “Repubblica di Taiwan”. Pechino, negli anni, ha infatti supportato Ma e continua a monitorare che l’attuale governo non si discosti troppo dalla linea degli undici punti.

Uno schema, quest’ultimo, che si ripete anche ad altre latitudini, per esempio nel Mar Cinese Orientale dove le isole Senkaku/Diaoyu sono rivendicate sia dalla Cina sia dal Giappone. Pechino ha chiesto appoggio a Taiwan per “salvaguardare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale”, dopo che l’amministrazione della città giapponese di Ishigaki ha deciso di rinominare l’area contesa da Tonoshiro a Tonoshiro Senkaku. Un invito, quello cinese, che è stato raccolto dalla città taiwanese di Yilan (guidata dal GMD) che, a sua volta, ha cambiato denominazione dell’area, arrivando a ipotizzare l’apertura di un ufficio ad hoc. Tsai stessa ha inoltre rivendicato la sovranità di Taiwan sulle isole.

Nel frattempo Covid-19 ha tuttavia avvicinato Taipei alle potenze regionali, a partire proprio dal Giappone, i cui rapporti con Pechino sono in forte peggioramento. Oltre alla mancata visita di stato di Xi Jinping e al programma “China Exit,” il Primo Ministro Shinzo Abe ha preso una posizione forte sui capitoli “interni” della Repubblica Popolare: da Hong Kong, attraverso marcate critiche alla legge sulla sicurezza nazionale, a Taiwan, chiedendo la partecipazione dell’isola all’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della sanità e citando Taipei come “partner estremamente importante” nel rapporto annuale degli affari esteri. Non solo: Tokyo sta provando a coinvolgere Taipei nel suo tentativo di rilancio del “Quadrilateral Security Dialogue”. In concomitanza delle tensioni con Pechino, alcuni segnali arrivano anche dall’India. Alcuni rappresentanti del partito di maggioranza si sono infatti congratulati con Tsai per il secondo insediamento. Sono inoltre aumentati gli inviti del governo indiano a stringere rapporti più forti con Taiwan, mentre Foxconn ha annunciato investimenti pari a un miliardo di dollari nel paese. Narendra Modi ha inoltre scelto Gourangalal Das (sottosegretario agli esteri in buoni rapporti con l’amministrazione Trump) come nuovo capo dell’ufficio di rappresentanza a Taipei. Nelle agitate acque del Mar Cinese Meridionale, Taiwan trova quindi sempre più mani a cui aggrapparsi.

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Asia Taiwan Cina
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AUTORI

Lorenzo Lamperti
Affaritaliani

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