Stessa spiaggia, stesso mare
La più grande esercitazione militare mai fatta intorno a Taiwan. Così ha scelto di rispondere la Cina alla visita sull’isola della speaker della Camera americana, Nancy Pelosi. Da oggi fino a domenica, l’Esercito popolare di liberazione sarà impegnato in manovre militari e lanci di missili in sei (sette, secondo Taiwan) aree contigue alle acque territoriali taiwanesi: due distano meno di venti chilometri dalla costa, una meno di dieci e un’altra una cinquantina di km dalla capitale.
Operazioni militari mirate, come le chiama Pechino, in violazione delle regole ONU, che mirano a mostrare al mondo quanto sia potenzialmente facile per la forza militare cinese tagliare fuori Taiwan dal resto del mondo. Insomma, più di un’analogia con l’operazione militare speciale di Putin.
Taipei come Kiev?
In comune con la Russia c’è il nazionalismo revanscista, che condanna la politica estera dell’Occidente. E l’idea che l’Ucraina o Taiwan non possano essere Stati indipendenti. Ma in questo caso l’invasione del vicino sembra, al momento, meno plausibile. Non si osserva infatti quell’accumulo di unità militari necessario per compiere una simile operazione, come invece era accaduto nei mesi precedenti l’invasione russa dell’Ucraina.
La tempistica dell’inizio delle operazioni, il giorno dopo la partenza della Pelosi, suggerisce poi la volontà di mantenere aperto il canale diplomatico con Washington. Una prima occasione di incontro (ma non bilaterale) c’è stata oggi, alla riunione dei ministri degli Esteri dell’ASEAN a cui hanno preso parte Blinken, il suo corrispettivo cinese Wang, e Lavrov. Non proprio una rimpatriata tra amici.
L’importanza di chiamarsi Taiwan
Tra le ragioni per cui è poco probabile che la crisi a Taiwan diventi una vera e propria invasione c’è anche il diverso peso economico rispetto all'Ucraina. Per sanzionare Taipei, la Cina ha vietato le importazioni alimentari dall'isola, così come le esportazioni di sabbia naturale, utilizzata nell'edilizia. Tuttavia, non ha preso di mira i semiconduttori: il cuore economico di Taiwan (40% di tutte le sue esportazioni e 15% del PIL).
Questo perché Pechino non può permetterselo. Il 90% della domanda cinese di semiconduttori è soddisfatta dalle importazioni, e Taiwan rappresenta il 64% del fatturato della produzione mondiale di chip. Il più diretto concorrente, la Corea del Sud, si ferma al 18%. E se si considerano i microprocessori più avanzati, la quota di mercato di Taiwan raggiunge addirittura il 92%.
Basterà l’industria dei semiconduttori a rendere Taiwan “too big to be invaded”?