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Commentary
Tecnocrazia prossima ventura
15 Dicembre 2011

Nelle migliori democrazie i governi ricorrono frequentemente ai tecnici. Si servono delle loro competenze, li usano per periodi più o meno lunghi con incarichi di varia natura e li restituiscono al mondo accademico, al mondo delle aziende o a quello delle libere professioni. Nelle democrazie presidenziali e, in particolare, là dove l’esecutivo non risponde delle sue azioni al Parlamento, il governo si compone prevalentemente di tecnici. Può darsi che alcuni di essi vengano attratti dalla vita politica, ma in questo caso smetteranno di esseri tecnici, assumeranno un nuovo profilo e dovranno chiedere prima o poi la consacrazione popolare delle loro funzioni. In condizioni normali, quindi, i tecnici e i politici non appartengono a due categorie alternative. I primi portano con sé, nell’esercizio delle loro funzioni, il patrimonio delle loro conoscenze ed esperienze, ma la responsabilità di ciò che fanno è garantita dalla presenza, su un gradino più alto, di una personalità politica scelta dal corpo elettorale.

 

Nelle democrazie parlamentari dell’Europa continentale vi sono stati negli ultimi decenni alcuni interessanti cambiamenti. La magistratura inquirente, un tempo soggetta all’autorità del guardasigilli, tende ad affermarsi come potere indipendente e vi riesce soprattutto là dove i procuratori e i magistrati giudicanti appartengono a uno stesso ordine. I banchieri centrali, un tempo soggetti alla politica economica del governo (Guido Carli, governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975, riconosceva pubblicamente l’esistenza di un vincolo politico a cui non poteva sottrarsi), hanno conquistato, grazie ai trattati europei, la loro indipendenza. Dietro questi mutamenti vi è evidentemente la convinzione che il mandato popolare non basti a garantire la migliore delle politiche possibile e che certe funzioni pubbliche vadano affidate ai tecnici del diritto o ai tecnici della finanza.

 

Nei paesi maggiormente colpiti dalla crisi dei debiti sovrani questa tendenza si è ora estesa all’esecutivo. In un discorso che il presidente del Consiglio italiano ha indirizzato ai suoi connazionali prima di illustrare le misure del suo governo per il risanamento dei conti pubblici e la crescita dell’economia nazionale, è stato detto che i maggiori costi della politica non sono quelli di cui si parla abitualmente. Il vero costo della politica, secondo Monti è che si prendano «decisioni miranti più all’orizzonte breve delle prossime elezioni che all’orizzonte lungo degli interessi del Paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti. Molte volte in passato, soprattutto quando l’Italia non era così intimamente inserita nel quadro europeo, quella politica aveva prevalso e molto concretamente è a causa di quella politica che oggi i giovani italiani fanno così fatica a trovare lavoro, che abbiamo squilibri rilevanti tra Nord e Sud, che abbiamo un debito pubblico molto grande».

 

Non credo di avere mai letto un atto di accusa altrettanto esplicito ed efficace sulle labbra di un presidente del Consiglio. Ma non è privo di significato il fatto che questo atto di accusa provenga da un tecnico e sia indirizzato a coloro che dipendono per l’esercizio delle loro funzioni dal voto popolare. Dovremmo concluderne che la democrazia rappresentativa è inadatta ad affrontare una crisi che non è congiunturale e che dipende probabilmente in larga parte dall’impotenza degli Stati nazionali di fronte ad avvenimenti non più governabili con i tradizionali strumenti della loro sovranità?

 

È possibile che il problema sia soprattutto italiano. Ma è altrettanto possibile che l’Italia, per l’inadeguatezza del suo sistema politico, sia il Paese che ha la sfortuna di rendere particolarmente visibili i mali del tempo e di anticiparne confusamente i rimedi. Nei prossimi mesi vi saranno probabilmente molti più tecnici al potere, nelle democrazie occidentali, di quanti ve ne siano stati sinora. Bisognerà allora inventare nuove democrazie capaci di conciliare il potere dei tecnici con la volontà degli elettori e la funzione dei parlamenti. Forse l’intera Europa è alle soglie di una nuova fase costituente.

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