USA-Cina: dalle tensioni commerciali al futuro del decoupling
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Il mondo nel 2021

Tensioni USA-Cina: Time Out?

Michael Pettis
24 gennaio 2021

Donald Trump e Xi Jinping si scambiano accuse e controaccuse, annunciano e poi cancellano dazi tra gli Stati Uniti e la Cina. Ma sarebbe un errore interpretare la guerra commerciale come un semplice battibecco fra i due e pensare che la presidenza Biden risolverà la questione. Questa non è una guerra tra Trump e Xi, né fra gli Stati Uniti e la Cina.

Al contrario di quanto si pensi in generale, le eccedenze della bilancia commerciale non sono il risultato di un'eccezionale efficienza del settore manifatturiero o di una forza lavoro straordinariamente operosa e risparmiatrice. Al contrario, in paesi come Germania, Giappone e Corea del Sud, l'eccedenza delle rispettive bilance commerciali è la naturale conseguenza di politiche che nel nome della "competitività" hanno efficacemente ridotto il potere d'acquisto dei cittadini a vantaggio delle élites di banchieri, imprenditori, politici e delle aziende da essi controllate.

La teoria del commercio internazionale ci insegna che un grosso squilibrio non può protrarsi all'infinito. In genere, gli aggiustamenti automatici, fra i quali l'aumento dei prezzi al consumo, il rafforzamento delle valute e l'aumento del valore degli asset nei paesi con un surplus, e di contro la situazione opposta nei paesi con un deficit commerciale, alla fine neutralizzano deficit ed eccedenze. Il fatto che alcuni paesi abbiano comunque registrato eccedenze per decenni, mentre altri protratte situazioni di deficit, è prova del fatto che il sistema globale di scambi non funziona come dovrebbe.

E questo malfunzionamento ha un costo. I paesi che godono di un surplus hanno la capacità di esportare i risparmi e la produzione in eccesso, questo significa che non sentono la pressante necessità di procedere a un riequilibrio dei redditi a livello interno. Inoltre, nella corsa alla competitività con i paesi che hanno un surplus, i paesi con un deficit devono consentire, o persino incoraggiare, la pressione al ribasso sui salari dei propri cittadini. In questo sistema globalizzato, la crescente disparità di reddito è tanto causa quanto conseguenza della concorrenza nel commercio internazionale.

Ovviamente, il punto chiave è capire cosa farà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Secondo le convenzionali teorie economiche, i flussi finanziari in entrata dal resto del mondo avrebbero dovuto aumentare i risparmi degli americani e gli investimenti a livello nazionale. Tuttavia, con i mercati finanziari statunitensi già colmi di capitali (offerti ai tassi di interessi più bassi mai registrati nella storia) e con le aziende americane sedute su montagne di contante non speso, questo non si è verificato. Al contrario, la spesa complessiva ha superato la produzione e i risparmi degli americani sono calati. Anche questo era inevitabile: se i capitali esteri in entrata non portano a un aumento degli investimenti - proprio come è successo negli Stati Uniti - allora devono portare a un calo dei risparmi.

In altre parole, i risparmi esteri hanno soppiantato quelli interni americani. Questa situazione si può verificare in molteplici modi. Ad esempio, i flussi di capitali esteri in entrata potrebbero far salire i prezzi delle azioni e del mercato immobiliare, creando una falsa impressione di maggior ricchezza e incoraggiando i consumatori a spendere di più. Le banche locali, reagendo a un'abbondanza di liquidità, potrebbero allentare gli standard per la concessione di finanziamenti a chi chiede un prestito al fine di aumentare l'offerta creditizia. Le iniezioni di capitale estero possono portare a un apprezzamento del dollaro, il che a sua volta incoraggerebbe ad aumentare la spesa per le importazioni dall'estero a scapito della produzione locale. Le fabbriche che hanno perso competitività potrebbero licenziare i lavoratori, che si vedrebbero costretti ad attingere ai risparmi messi da parte per le emergenze o a chiedere finanziamenti. Il governo a sua volta aumenterebbe il deficit di bilancio per contrastare il rallentamento dell'economia.

Tutto ciò porta a una riduzione dei risparmi degli Americani. Di fatto, la convinzione diffusa che un livello di risparmio costantemente basso, nell'arco degli ultimi quarant'anni, riflettesse la marcata propensione a spendere degli americani, si è rivelata errata. Gli Stati Uniti non importano capitale perché hanno un basso tasso di risparmio, al contrario hanno un basso tasso di risparmio perché sono costretti ad assorbire capitale importato.

Questo non ha rappresentato un grosso problema fino a qualche decennio fa, quando l'economia degli Stati Uniti era molto più grande rispetto a quella di altri paesi che orbitavano nella loro sfera commerciale. Durante la guerra fredda, c'era un incentivo ulteriore a svolgere questo ruolo perché il paese esercitava così una maggior influenza geopolitica. Tuttavia, mentre le economie dei partner commerciali degli Stati Uniti crescevano rispetto a quella americana, che proporzionalmente diventava più piccola, fungere da elemento equilibratore assumeva un costo sempre crescente per gli Stati Uniti che, prima o poi, non sarebbero più stati in grado di svolgere il loro tradizionale ruolo.

Tuttavia, nel momento in cui gli Stati Uniti non sono più stati disposti o in grado di continuare ad assorbire il grosso dell'eccedenza di capitale del resto del mondo, a fronte di una domanda deficitaria, il sistema globale ha rischiato di bloccarsi e finire nel caos. Visto che nessun paese è sufficientemente grande da svolgere questo ruolo, né intende farlo, non è stato trovato alcun sostituto. La guerra commerciale è stata una scelta inevitabile. Ecco perché la guerra dei dazi con la Cina, in ultima analisi, non ha molto a che vedere con l'antagonismo personale di Trump o la sua strategia elettorale. È semplicemente la parte più visibile di uno squilibrio globale molto più profondo.

Questo è anche il motivo per cui l'attuale guerra dei dazi non è un vero conflitto tra Stati Uniti e Cina e non si tratta nemmeno di un conflitto più ampio fra paesi in deficit e paesi in surplus commerciale. Si tratta, piuttosto, di un conflitto fra settori economici. I banchieri e i detentori di capitali, sia nei paesi con un surplus sia in quelli con un deficit, hanno beneficiato dei salari ridotti, dell'aumento degli utili e della mobilità internazionale dei capitali. I lavoratori nei paesi con un surplus, invece, hanno pagato questi squilibri con redditi più bassi e valute deboli. I lavoratori nei paesi deficitari hanno anch'essi pagato con tassi di disoccupazione elevati e un aumento dell'indebitamento. Invertire le disparità e correggere le altre distorsioni nella distribuzione del reddito, sia nei paesi con un'eccedenza della bilancia commerciale, sia in quelli con un deficit, è pertanto l'unica soluzione duratura per porre fine alla guerra dei dazi.

Nel lungo termine, le future amministrazioni di Washington dovranno affrontare le disuguaglianze di reddito tramite una riforma fiscale o creando condizioni più favorevoli al ceto medio, ad esempio riducendo i costi dell'assistenza sanitaria o dell'istruzione, migliorando l'infrastruttura sociale, alzando i salari minimi o persino rafforzando i sindacati.Tuttavia, prima di fare tutto questo, sarà necessario che gli Stati Uniti rivedano il proprio ruolo nell'ambito degli squilibri globali e rendano più difficile riversare sui mercati finanziari statunitensi il surplus di risparmi esteri.

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Michael Pettis è Senior Associate presso il Carnegie-Tsinghua Center ed è professore di economia all'Università di Pechino. Il suo libro più recente, Trade Wars are Class Wars, è stato pubblicato dalla Yale University Press nel 2020.

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Cina USA commercio internazionale Geoeconomia Xi Jinping
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AUTORI

Michael Pettis
Professor, Peking University and Senior Associate, Carnegie Tsinghua Center

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