Tre grandi transizioni si stanno attualmente sovrapponendo e intrecciando fra loro rivoluzionando il nostro modo di vivere: una transizione energetica, una transizione digitale e una transizione di potenza. La prima, ormai nota a tutti, consiste nella progressiva sostituzione dei combustibili fossili nell’economia con fonti di energia pulita e rinnovabile. La seconda consiste nella massiccia, trasversale e pervasiva diffusione di tecnologie digitali in ogni settore e ambito della società. Infine, la terza consiste nella modifica degli equilibri internazionali da parte di nuovi attori (es. Big Tech, grandi città) e soprattutto nella sfida per l’egemonia globale lanciata agli Stati Uniti (leggasi egemone) da parte della Cina (principale rivale)
Fattore comune a queste tre grandi transizioni è rappresentato da alcuni materiali (es. litio, cobalto, rame, nickel, terre rare, etc..) che sono impiegati nella realizzazione delle tecnologie (civili e militari) su cui si basa il successo e l’esito delle transizioni stesse.
Di seguito ci focalizzeremo sulle terre rare, un gruppo di elementi della tavola periodica (da un punto di vista chimico si tratta di metalli) che per via delle loro eccezionali proprietà fisico-chimiche vengono definite “vitamine dell’industria moderna”. Le terre rare, infatti, sono in grado di potenziare e migliorare le caratteristiche dei prodotti in cui vengono utilizzate raggiungendo un grado di sofisticazione che altrimenti non sarebbe possibile. Proprio per queste eccezionali proprietà trovano crescente applicazione in numerosi settori: dall’elettronica all’informatica, dalla medicina avanzata alla manifattura delle tecnologie verdi, dall’automotive all’aerospace, fino al settore al settore della difesa.
Numerose applicazioni in campo civile e militare
Solo per citare alcuni impieghi delle terre rare in campo civile, essi includono: la produzione di hard disk per computer, di smartphones, schermi e display elettronici di ultima generazione e touch-screen, fibre ottiche, robot e altri prodotti high-tech, catalizzatori (es. utilizzati nell’industria petrolchimica). Le terre rare vengono utilizzate anche nella medicina avanzata come agenti di contrasto per risonanze magnetiche, macchinari per raggi X, test di screening genetici, analisi e trattamenti per i tumori, etc. Ma, senza alcun dubbio, uno degli impieghi più importanti (anzi il singolo impiego più importante delle terre rare in termini di domanda) è rappresentato dalla realizzazione di magneti permanenti, a loro volta utilizzati nei motori elettrici dei veicoli di nuova generazione per aumentarne l’efficienza e la potenza (es. auto ibride ed elettriche) e nelle turbine eoliche (in particolare quelle offshore).
Terre rare e (super)magneti sono poi cruciali per la realizzazione di sofisticate apparecchiature militari, come: missili di precisione teleguidati, radar di ultima generazione, laser e droni, apparecchiature per la visione notturna, nonché la produzione dei motori degli aerei da combattimento, etc. Si stima che un aereo da caccia di ultima generazione F-35 prodotto dall’azienda statunitense Lockheed Martin, ritenuto uno dei più avanzati al mondo, contenga ben 417 Kg di terre rare, un cacciatorpediniere di ultima generazione americano ne contenga fino a quasi sei volte tanto e un sottomarino di ultima generazione americano almeno dieci volte tanto.
Gli esempi appena citati fanno intuire la strategicità di tali elementi e l’importanza di garantirne l’approvvigionamento negli anni a venire. Questo vale soprattutto per chi li importa, mentre chi li estrae o ne controlla le fasi di raffinamento, distribuzione e utilizzo potrebbe invece beneficiare di un importante vantaggio competitivo.
Le terre sono rare per tutti ma per alcuni sono più rare
Il nome “terre rare” è spesso oggetto di fraintendimenti. In effetti, sono elementi relativamente abbondanti e si chiamano così perché sono presenti in basse concentrazioni all’interno di vari minerali sparsi sulla crosta terrestre. Insomma, quel che è veramente raro sono i giacimenti sufficientemente grandi e concentrati da renderne economica l’estrazione e la successiva lavorazione.
Non tutte le terre rare poi sono uguali. Al di là delle proprietà specifiche di ogni singolo elemento che ne determina una diversa applicazione tecnologica, in base al numero atomico si distingue tra terre rare leggere (es. neodimio) e pesanti (es. disprosio). I depositi di terre rare pesanti tendono ad essere ancora più piccoli e meno concentrati degli altri. Di conseguenza la loro estrazione è molto più complicata e costosa e anche il loro valore tende ad essere più elevato.
Venendo all’analisi dei players attivi lungo la filiera, la Cina emerge come il leader indiscusso, motivo che desta non poche preoccupazioni, soprattutto alla luce della crescente rivalità geopolitica tra grandi potenze. Negli ultimi dieci anni la sua quota di mercato si è progressivamente ridotta ma continua a essere di gran lunga superiore a quella degli altri Paesi. In particolare, secondo i dati dello US Geological Survey nel 2021 la Cina ha rappresentato il 60% della produzione mondiale, seguita da Stati Uniti (15%), Birmania (9%) e Australia (8%). Per fare un confronto, nello stesso anno, la quota combinata dei tre principali produttori di petrolio (USA, Russia e Arabia Saudita) ammontava a poco meno del 40%.
Inoltre, ricordando la distinzione tra terre rare pesanti e leggere, quasi tutte le terre rare pesanti del mondo (quelle con valore economico maggiore) provengono da depositi cinesi o birmani, spesso sfruttati illegalmente, situati al confine con la Cina ed esportati verso quest’ultima.
La Figura 1 mostra la quota cinese sul totale dell’output estrattivo di terre rare negli ultimi vent’anni.
Figura 1 Output globale dell’attività estrattiva di terre rare
(dati in tonnellate metriche equivalenti di ossidi di terre rare)
Fonte: US Geological Survey, 2022
La Cina è anche il principale player in termini di successiva lavorazione e separazione delle terre rare, con una quota di mercato pari a circa l’85% del totale. L’unico player non-cinese attivo con volumi significativi in questa fase della filiera è l’azienda australiana Lynas che, tra l’altro, la Cina tentò di acquisire nel 2009: estrae terre rare in Australia e le processa in un impianto in Malesia. Di conseguenza, la maggior parte delle terre rare estratte nel mondo, ivi incluse quelle statunitensi, sono inviate in Cina per la lavorazione e poi re-importate.
Infine, proseguendo lungo la catena del valore fino alla fase downstream ovvero quella della componentistica e della realizzazione delle tecnologie finali, la Repubblica popolare cinese risulta anche il principale produttore di magneti a base di terre rare con una quota di mercato del 90%.
Il primato cinese sulle terre rare trova diverse spiegazioni che meriterebbero una discussione approfondita. Senza dubbio la Cina ha avuto il merito di intuire con largo anticipo rispetto agli altri Paesi la strategicità di questi elementi, come testimoniato dall’affermazione espressa nel 1987 dall’allora Presidente Deng Xiaoping: “il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare”.
Recuperare il terreno perso: la sfida dell’Occidente
I leader occidentali hanno finalmente compreso che la situazione di quasi-monopolio lungo la filiera comporta notevoli rischi in termini di sicurezza delle forniture, tempistiche e colli di bottiglia, volatilità dei prezzi e rischi di natura geopolitica. Ciò ha risvegliato l’interesse, soprattutto negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, per la ricerca, l’estrazione e la raffinazione di metalli sul suolo domestico.
L’intensificazione degli sforzi per la costruzione (o ricostruzione) di catene di approvvigionamento alternative a quella cinese è necessaria. Tuttavia, è fondamentale essere coscienti del fatto che sfuggire al quasi-monopolio cinese non sarà facile, anche perché la Cina possiede un certo vantaggio competitivo in termini di know-how sulla lavorazione delle terre rare piazzandosi al primo posto come numero di brevetti depositati ogni anno. Dal momento che le attività di separazione e raffinazione sono complicate e sono richieste competenze altamente specializzate, quello dei brevetti è un aspetto da non sottovalutare quando si ambisce a mettere in piedi supply-chains alternative.
Inoltre, la messa a regime degli impianti è un processo complesso che richiederà molti anni e che potrebbe anche trovare l’opposizione delle comunità locali. Le attività di estrazione e successiva lavorazione delle terre rare, infatti, hanno un notevole impatto in termini ambientali, comportando elevati consumi di roccia, acqua ed energia (con relative emissioni in atmosfera). Inoltre, è quasi sempre richiesto l’utilizzo di acidi per l’eliminazione dei residui e la purificazione delle terre rare nonché per la loro successiva separazione. Come se non bastasse, le attività di estrazione e separazione comportano molto spesso la produzione di elementi tossici e radioattivi che devono essere trattati di conseguenza per evitare un grave impatto sull’ecosistema. Occorre pertanto investigare nuovi approcci e tecniche di produzione sostenibili e garantire fin da subito i più alti standard ambientali e sociali.
Anche soluzioni di economia circolare e il riciclo delle tecnologie che impiegano le terre rare come i magneti permanenti, sebbene siano fondamentali, non saranno in grado di fornire un contributo significativo se non fra qualche anno. Attualmente, infatti, il tasso di riciclo di questi materiali è ancora molto limitato e appare assai improbabile aumentarlo significativamente in poco tempo.
Insomma, nel breve periodo le armi a disposizione per contrastare il dominio cinese sulle terre rare sembrano abbastanza spuntate. Occorre soltanto augurarsi di avere abbastanza tempo per assicurarsi forniture stabili alternative di “vitamine” prima che le altre vengano utilizzate come arma geopolitica.