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Lo studio
Terrorismo: cosa dice la Relazione dell’intelligence italiana
Francesco Marone
02 marzo 2021

Il primo marzo è stata pubblicata la Relazione al Parlamento sulla politica dell’informazione per la sicurezza relativa all’anno 2020 concernente l’azione del Comparto intelligence italiano. Come ogni anno, a partire dalla sua prima edizione nel 2007, questo denso documento, non classificato e disponibile anche sul sito web dell’Intelligence nazionale, costituisce una fonte preziosa per comprendere le minacce alla sicurezza che interessano attualmente l’Italia.

Con alcune modifiche di struttura rispetto alle edizioni precedenti, il corpo centrale della Relazione è articolato in otto capitoli. Il primo esamina le “crisi regionali e proiezioni di influenza” sullo scenario internazionale, mentre i successivi sette capitoli offrono approfondimenti tematici riguardanti rispettivamente: le minacce all’economia nazionale; la minaccia cibernetica; la minaccia ibrida (con riferimento ad attività di disinformazione e/o di influenza); il terrorismo jihadista di portata transnazionale; l’immigrazione clandestina; la criminalità organizzata; i fenomeni di eversione ed estremismo sul piano interno. Alla relazione è infine allegato il “Documento di sicurezza nazionale” in materia di protezione cibernetica.

Non sorprende osservare che la diffusione del COVID-19 e le misure adottate per contrastare tale pericolo costituiscano una sorta di filo rosso che appare nelle varie sezioni della Relazione. In generale, come recita la premessa del documento, l’emergenza sanitaria su scala planetaria ha reso “il panorama della minaccia più ampio, ­fluido e complesso”.

In questo breve contributo l’attenzione è dedicata alla presentazione dei rischi connessi al terrorismo e all’estremismo, sia di portata transnazionale sia di livello nazionale.

La rilevanza di questi temi è testimoniata, come nelle edizioni precedenti, anche da due grafici che illustrano la distribuzione delle “Informative/Analisi inviate a Enti Istituzionali e Forze di Polizia nel 2020” dalle Agenzie di intelligence per temi: per l’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna; interessata, come indica il nome, alle minacce provenienti dall’estero) il 34% del totale delle informative e analisi ha riguardato il terrorismo internazionale e il 4% l’eversione e l’antagonismo; per l’AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna) tali percentuali salgono rispettivamente fino al 52% e al 15%.

 

La minaccia jihadista di portata internazionale

Nel complesso, l’attività del comparto intelligence sulla minaccia jihadista in Italia e all’estero, in collaborazione con le Forze di polizia nazionali e i Servizi collegati esteri, ha messo in luce un “fenomeno sempre più dinamico e polimorfo quanto ad attori, ambiti operativi e strategie offensive.”

Secondo il Comparto intelligence italiano, nel 2020 il cosiddetto Stato Islamico (denominato con l’acronimo arabo DAESH nella Relazione), dopo l’annus horribilis del 2019 – segnato dal collasso territoriale del sedicente califfato e dalla scomparsa del leader al-Baghdadi –, si è impegnato a riorganizzarsi, lungo tre principali direttrici: rivitalizzazione dell’attività di ribellione armata in Iraq e Siria; decentralizzazione in favore delle articolazioni regionali in Africa, con un’accentuazione degna di nota nella rivalità con al-Qaeda nel Sahel, e in Asia, specialmente in Afghanistan; rilancio del con­flitto asimmetrico in teatri di jihad. DAESH ha mostrato, inoltre, un rinnovato attivismo mediatico in corrispondenza dell’emergenza COVID-19.

Al-Qaida, dal canto suo, ha proseguito la lotta contro i presunti “nemici dell’Islam”, combinando l’impegno della propria centrale di comando e controllo, con base “nell’area compresa tra Iran, Afghanistan e Pakistan”, con le filiazioni regionali, specialmente nel Corno d’Africa, nel Sahel, in Nigeria e nella Penisola Arabica. La perdita di leader storici delle branche regionali, come Abdelmalek Droukdel, capo di al-Qaida nel Maghreb Islamico, e Qasim al Raymi, guida di al-Qaida nella Penisola Arabica, non ha indebolito sostanzialmente l’organizzazione fondata da Osama Bin Laden. Gli sforzi di al-Qaida durante il 2020 sono stati poi amplificati da un’attenta strategia comunicativa. Da segnalare, per inciso, che la Relazione non fa riferimento a possibili cambi ai vertici dell’organizzazione annunciati dalla stampa negli ultimi mesi. 

Per quanto riguarda l’Europa, gli attacchi compiuti nel corso del 2020, in aumento rispetto all’anno precedente, hanno confermato che la minaccia terroristica tipicamente si manifesta in atti di violenza pianificati ed eseguiti in maniera autonoma, con tattiche e armi rudimentali, da soggetti semplicemente in­fluenzati o ispirati a distanza da organizzazioni terroristiche (specialmente DAESH).

La Relazione, facendo anche cenno all’attacco realizzato con armi da fuoco da un giovane di origini macedoni il 2 novembre 2020 a Vienna, evidenzia il ruolo saliente della regione dei Balcani occidentali quale “epicentro continentale del proselitismo” e “potenziale incubatore della minaccia terroristica in direzione di Paesi europei”.

Le operazioni di antiterrorismo condotte nel corso del 2020 confermano, inoltre, il rischio di attivazioni da parte di ex foreign fighters e di “frustrated travellers” (ovvero individui che, nonostante le intenzioni, non sono riusciti a raggiungere aree di conflitto all’estero), nonché il pericolo di ritorno sul suolo europeo di foreign fighters che decidano in autonomia di abbandonare il Medio Oriente. Inoltre, l’aspirazione della leadership di DAESH di condurre attacchi in Europa non è venuta meno, come segnalato anche da servizi di intelligence stranieri.

Sul territorio nazionale, l’impegno dell’intelligence italiana ha continuato a focalizzarsi, “in via prioritaria”, sui processi di radicalizzazione, sovente rapidi e poco visibili. La Relazione individua tre ambienti principali in cui possono maturare tali percorsi. In primo luogo, si conferma la rilevanza del web, dove viene diffuso materiale jihadista, anche, nel caso di prodotti non originali, in lingua italiana. In secondo luogo, non viene meno il ruolo saliente delle carceri, come dimostrato, tra l’altro, dalle espulsioni a fine pena di soggetti detenuti per reati comuni che hanno aderito alla causa jihadista durante la reclusione. Infine, si segnala che in alcuni “luoghi di aggregazione islamici” non sono mancate iniziative di proselitismo svolte da individui con posizioni radicali.

In generale, l’intensa attività di espulsione di cittadini stranieri sospettati di sostenere la causa jihadista da parte delle Autorità nazionali è proseguita, nonostante un periodo di sospensione dei rimpatri da marzo a giugno a causa dell’emergenza epidemiologica; i dati indicati per il periodo 2018-2020 mostrano che tali individui provenivano principalmente da Tunisia, Marocco e altri Paesi del Nordafrica.

Sul fronte dei flussi migratori clandestini, l’intelligence nazionale conferma in termini generali il pericolo di infiltrazioni terroristiche e i rischi di percorsi di radicalizzazione nei centri di confluenza o accoglienza dei migranti. Dall’altra parte, le informazioni raccolte ed elaborate fanno ancora escludere “un ricorso sistematico” ai canali dell’immigrazione clandestina per il trasferimento di jihadisti. Attenzione merita, infine, il settore della falsificazione di documenti in cui circuiti criminali e terroristici possono interagire.

In relazione alla criminalità organizzata, viene menzionato anche il pericolo costituito dal finanziamento del terrorismo, in assenza di stabili ed efficaci meccanismi di collaborazione e di scambio di informazioni a livello internazionale.

 

Fenomeni di estremismo a livello nazionale

La Relazione segnala che l’emergenza della pandemia ha inciso anche sul versante dell’eversione interna: se, da un lato, ha limitato le potenzialità della mobilitazione di piazza, dall’altro, ha favorito l’attività propagandistica, specialmente su internet.

Come nelle precedenti edizioni, la Relazione individua quattro forme di “eversione ed estremismi” sul piano interno: l’“anarco-insurrezionalismo”, i “circuiti marxisti-leninisti” oltranzisti, il “movimento antagonista” e la “destra radicale”.

L’anarco-insurrezionalismo resta la “componente eversiva endogena più vitale”. Da un lato, si sono registrate campagne online, in crescita, e manifestazioni di protesta, anche violente, specialmente contro le tecnologie (compresa la rete 5G), contro il sistema carcerario, in chiave antimilitarista e anche in opposizione alle misure di contenimento del contagio. Dall’altro lato, per quanto in calo, non sono mancate iniziative operative di matrice anarchica, consistenti per lo più in atti vandalici e/o incendiari e sabotaggi. La Relazione ricorda anche importanti operazioni di polizia e sviluppi giudiziari avvenuti nel 2020 e la spedizione, a settembre, di due plichi esplosivi, fortunatamente non deflagrati.

L’attività di circuiti marxisti-leninisti oltranzisti, di modeste dimensioni, è ancora improntata alla tradizionale opera di recupero della memoria brigatista e anche di attualizzazione del suo messaggio, anche attraverso l’interpretazione, in ottica di “contrapposizione di classe”, delle conseguenze sociali ed economiche dell’emergenza sanitaria. Se si sono registrate “aperture” di questi circuiti nei confronti di altri ambienti oltranzisti (come l’antagonismo di sinistra), dall’altro lato, i tentativi di strumentalizzare in chiave radicale istanze del mondo del lavoro sono apparsi velleitari.

La crisi sanitaria e la sua gestione da parte del governo hanno costituito temi centrali anche del dibattito che ha coinvolto le diverse “anime” del composito movimento antagonista, impegnato a rilanciare tradizionali campagne di lotta, a partire dalle rivendicazioni in chiave ambientalista.

“Massima attenzione”, infine, è stata riservata agli ambienti della destra radicale. Le principali formazioni, tradizionalmente poco stabili e divise tra loro, hanno promosso iniziative pubbliche di mobilitazione contro la gestione della crisi sanitaria, cercando di coinvolgere anche gruppi di protesta spontanei e settori di tifoserie ultras. Sul web, inoltre, sono proliferate campagne di disinformazione e teorie cospirative, compresa la ben nota “QAnon”, anche in relazione alla pandemia, insieme a retoriche ultranazionaliste e razziste. La Relazione rileva che l’intensificazione di tale propaganda estremistica può influenzare l’azione di piccoli gruppi o anche, con effetti difficilmente prevedibili, di singoli individui.

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AUTORI

Francesco Marone
ISPI Associate Research Fellow

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