È stata presentata ieri la Relazione al Parlamento sulla politica dell’informazione per la sicurezza relativa all’anno 2019 concernente l’azione del Comparto intelligence italiano. Come ogni anno, a partire dalla sua prima edizione nel 2007, questo denso documento, non classificato e disponibile anche sul sito web dell’Intelligence nazionale, costituisce una fonte preziosa per comprendere le minaccia alla sicurezza che interessano attualmente l’Italia.
In continuità con la precedente edizione, il corpo centrale della Relazione è articolato in cinque capitoli. Il primo esamina le principali dinamiche che hanno attraversato gli “scenari geopolitici” all’estero, mentre i successivi quattro capitoli offrono approfondimenti tematici riguardanti rispettivamente: le minacce alla sicurezza economica; il terrorismo jihadista di portata transnazionale; l’immigrazione clandestina; i fenomeni di eversione ed estremismo sul piano interno. Alla relazione è infine allegato il “Documento di sicurezza nazionale” relativo allo stato della minaccia cibernetica.
Stato Islamico e jihadismo: ancora una priorità?
In generale, la Relazione evidenzia che per l’intelligence italiana il contrasto alla minaccia terroristica di matrice jihadista si conferma “assolutamente prioritario”, in raccordo permanente con le Forze di polizia, nonché con la Farnesina e lo Stato Maggiore della Difesa.
Secondo il documento, la portata eversiva del cosiddetto Stato Islamico (IS) – o, per usare la denominazione della Relazione, DAESH – resta elevata. L’organizzazione è destinata a sopravvivere alla perdita di territorio e del suo leader fondatore Abu Bakr al-Baghdadi (27 ottobre 2019) e ha altresì mantenuto “postura e orizzonti dell’attore globale”.
L’IS ha avviato una ridefinizione dei propri assetti organizzativi, anche per recuperare capacità di proiezione esterna. Si è mostrato particolarmente vitale nelle aree di origine, in Iraq e Siria. In altre aree geografiche in Africa e in Asia ha evidenziato una ripresa del proprio attivismo, come nel sud della Libia, o ha persino rafforzato la propria presenza, con “una marcata e preoccupante concentrazione nel Sahel”, stabilendo relazioni ora di competizione (come in Somalia) ora di cooperazione tattica (come nel Sahel e in Afghanistan) con gruppi legati ad al-Qaeda. Inoltre, si è confermato riferimento ideologico per simpatizzanti e sostenitori su scala mondiale.
In relazione al contesto mediorientale, la Relazione segnala la rilevanza del dossier relativo ai combattenti dell’IS e delle loro famiglie presenti in strutture e campi di detenzione in Iraq e Siria e ai problemi connessi al rimpatrio e al reinserimento di returnees, ma anche di donne e di minori.
Europa: ancora nel mirino del terrorismo?
La Relazione osserva che le azioni di matrice jihadista realizzate in Europa nel 2019, come il recente attacco a London Bridge (29 novembre 2019), hanno ribadito l’insidiosità di una minaccia che resta prevalentemente endogena e che ha visto, in linea di continuità con gli ultimi anni, l’attivazione di cosiddetti lone wolves (“lupi solitari”), il ricorso a mezzi offensivi facilmente reperibili e l’affidamento a piani d’azione poco sofisticati.
Sotto il profilo delle caratteristiche individuali degli attentatori, si confermano l’eterogeneità dei profili e l’interazione tra spinte ideologiche e fattori di carattere socio-psicologico (disagio personale, desiderio di rivalsa, ecc.).
Nondimeno, come emerso da diverse operazioni di polizia, sul Vecchio Continente non sono mancati tentativi di aggregazione e pianificazioni concertate.
Conserva la sua centralità il “jihad digitale”, attraverso le tecnologie elettroniche, in grado anche di offrire agli aderenti una sorta di “cittadinanza” di un “Califfato” ancora in vita nella sua dimensione virtuale.
E l’Italia?
La Relazione nota che anche sul territorio nazionale l’intelligence ha dovuto misurarsi con una “minaccia composita” che abbraccia percorsi di radicalizzazione individuali, reti estremistiche, anche in contatto con l’estero, iniziative di proselitismo sul territorio, propositi di ritorsione da parte dell’IS, attività di propaganda.
In risposta al fenomeno della radicalizzazione, l’intelligence italiana ha attuato modalità d’intervento, anche di carattere innovativo, finalizzate non solo a individuare i soggetti che abbiano aderito alla visione jihadista, a valutarne la pericolosità e, dove possibile, a favorirne il “disingaggio” dall’estremismo, ma anche a cogliere i primi segnali di percorsi di radicalizzazione suscettibili di sfociare in azioni violente. Significativamente questo “presidio avanzato” contro la radicalizzazione ha previsto crescenti sinergie, oltre che con le Forze di polizia, con attori pubblici e privati operanti a livello territoriale.
Costante impegno è stato riservato al rischio di un ripiegamento in Italia di combattenti in fuga da teatri di jihad e di loro congiunti e, più in generale, al possibile ingresso e/o transito nel nostro Paese di stranieri a vario titolo connessi ad attori terroristici.
La relazione informa che i foreign fighters legati a vario titolo all’Italia sono saliti a 144 (per inciso, un numero comunque decisamente inferiore a quello di molti altri Paesi dell’Europa occidentale).
Nel complesso, come testimoniato anche dai provvedimenti di espulsione per ragioni di sicurezza (ben 329 quelli adottati nel periodo 2017-2019), emerge una prevalenza della matrice nordafricana, con significative presenze anche della regione balcanica. Dall’altra parte, perdura l’attivismo anche di italiani convertiti all’Islam radicale.
Il documento rileva poi che, come per il resto d’Europa, l’ambiente del carcere continua a rappresentare una realtà sensibile sotto il profilo della radicalizzazione islamista.
Per quanto riguarda possibili connessioni tra terrorismo e immigrazione clandestina, la Relazione osserva che “allo stato attuale, non sono state rilevate evidenze circa l’utilizzo strutturale dei canali migratori clandestini per l’invio di jihadisti in Europa”. D’altra parte, “l’approvvigionamento di documenti di identità e di titoli di viaggio contraffatti ha continuato a rappresentare […] un insidioso spazio di potenziale contiguità tra circuiti delinquenziali e terroristici”.
Significativi sono infine anche i riferimenti alle dinamiche di finanziamento del terrorismo. Il Comparto intelligence ha riservato anche nel 2019 particolare attenzione al possibile utilizzo – ad oggi non di grande rilievo – di strumenti digitali, come valute virtuali, e, più in generale, a quei canali di trasferimento del denaro idonei a garantire anonimato e difficile tracciabilità delle transazioni.
In relazione alla sicurezza cibernetica, “[s]i è confermato marginale l’attivismo di individui e gruppi di matrice cyber-terrorista”.
Estremismi “non-jihadisti”: una minaccia per l’Italia?
La Relazione appena pubblicata distingue, come le edizioni precedenti, quattro principali manifestazioni di eversione ed estremismo sul piano interno: l’“anarco-insurrezionalismo”, i “circuiti marxisti-leninisti”, il “movimento antagonista” e la “destra radicale”.
La minaccia anarco-insurrezionalista ha continuato a rappresentare un “ambito di impegno prioritario” per l’intelligence nazionale. Secondo il documento, anche se non sono mancati iniziative di mobilitazione, anche con azioni di sabotaggio, in chiave antimilitarista, ambientalista e “contro il ‘dominio tecnologico’”, questi ambienti si sono distinti per aver concretizzato o quantomeno progettato azioni di ritorsione in risposta a sviluppi investigativi e giudiziari a carico di militanti, specialmente come solidarietà per attivisti detenuti in carcere. Sono stati rilevati scambi ideologici ed operativi tra anarchici italiani e stranieri, specialmente greci.
Il tema della “lotta alla ‘repressione’” ha contraddistinto anche l’attivismo di limitati ambienti dell’estremismo marxista-leninista, di cui è proseguita anche l’impegno divulgativo volto a tramandare in chiave estremistica la memoria degli Anni di piombo.
Il variegato fronte del dissenso antagonista ha trovato momenti di coesione nelle mobilitazioni sviluppate intorno a tre temi: l’“antifascismo”, l’“antimilitarismo” e l’“ambientalismo”. In relazione a quest’ultimo ambito, sono stati rilevati tentativi delle formazioni più agguerrite di inserirsi in contestazioni, come quelle promosse in opposizione alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali, per radicalizzarne le istanze.
L’attività in direzione della destra radicale, infine, ha tenuto conto di uno scenario internazionale che ha fatto registrare gravissimi attentati, come l’attacco terroristico di Christchurch in Nuova Zelanda (15 marzo 2019), e una molteplicità di episodi di violenza motivati dall’intolleranza religiosa e dall’odio razziale. Questi eventi testimoniano “l’emergere di insidiosi rigurgiti neonazisti”, favoriti dalla propaganda online.
La destra radicale nella sua dimensione associativa presenta numeri contenuti e le maggiori compagini sono attraversate da dissidi interni. Appaiono più frequenti percorsi individuali di adesione al messaggio oltranzista, significativamente “in analogia con quanto avviene nell’ambito della radicalizzazione jihadista”.