Nella settimana del secondo anniversario della destituzione del presidente legittimo Mohammed Morsi (29 giugno-3 luglio 2013), non sembra conoscere sosta la spirale di violenza che minaccia in maniera costante l’Egitto post-rivoluzionario. Sebbene diversi per tipologie, modus operandi e importanza degli obiettivi, gli attentati mortali nei confronti del procuratore generale del Cairo, Hisham Barakat (29 giugno), e quelli contro i checkpoint militari nel Sinai settentrionale (1° luglio) segnano un nuovo duro colpo alla fiducia, alla credibilità e alla strategia delle istituzioni centrali egiziane impegnate a combattere – per ammissione stessa del premier Ibrahim Mahlab – una guerra contro il terrorismo islamista.
Il primo attacco è stato rivendicato dal Gruppo di resistenza popolare(1), mentre i secondi attentati sono stati compiuti dal Wilayat Sinai (WS) (il gruppo precedentemente noto come Ansar Bayt al-Maqdis e così rinominatosi dopo la bayah al califfo al-Baghdadi del novembre 2014). In particolare in questi ultimi si sono registrate le perdite più importanti: negli attacchi contro le 15 postazioni e checkpoint militari ad al-Arish, Sheikh Zuweid e Rafah sono stati uccisi 72 soldati, di cui 17 ufficiali, e all’incirca una cinquantina di jihadisti. Solo alcuni giorni prima si erano registrati altri due importanti e simbolici attacchi contro la base della Multinational Force and Observers(2) ad al-Jura (9 giugno) e il tempio di Karnak, vicino Luxor(3) (10 giugno). Tutti gli attentati rispondono a una precisa strategia messa a punto dal WS e mirata a colpire obiettivi internazionali, “crociati e sionisti”(4). Questa situazione è resa ancor più preoccupante se gli eventi vengono contestualizzati all’interno di un contesto sociale e religioso rilevante come il mese di Ramadan (17 giugno-17 luglio), che, come temevano le autorità cairote, si sta tramutando in un periodo, anche mediatico, foriero per il rilancio di tattiche stragiste da parte dei gruppi salafiti radicali/jihadisti attivi nel paese. L’obiettivo ultimo di queste forze è infatti quello di esercitare pressioni dirette nei confronti del governo e della sua politica repressiva contro le opposizioni più o meno legate alla Fratellanza musulmana.
Nonostante l’estrema eterogeneità degli attentati, gli eventi del Cairo e del Sinai hanno dimostrato ancora una volta un nuovo innalzamento qualitativo delle strategie militari da parte dei gruppi insorti sia nella scelta e nella capacità di colpire gli obiettivi, sia nella pianificazione, sempre più sofisticata, degli attentati. Allo stesso tempo, questi episodi hanno sollevato numerosi quesiti circa le reali capacità politiche di stabilizzazione e di messa in sicurezza del territorio da parte dell’esecutivo egiziano.
Il perfezionamento delle strategie militari e delle azioni di guerriglia da parte dei gruppi jihadisti (autobombe, manovre multiple e combinate, atti diversivi, ricorso a mezzi cingolati-bomba, RPG, ecc.) ha evidenziato anche una stretta identificazione militare tra lo Stato Islamico (IS) e il WS, replicando modalità di combattimento già utilizzate dal gruppo di al-Baghdadi nella campagna di Mosul, in Iraq nella penisola sinaitica e in Egitto. La diversità geografica degli attentati (da un lato gli attacchi al tempio di Karnak e a Heliopolis, dall’altro quelli nel Sinai) ha dimostrato inoltre come il terrorismo islamista non si sia limitato a una sola area d'azione, ma si sia esteso in maniera disomogenea dal confine con la Libia e il deserto occidentale fino al Sinai e alla Striscia di Gaza, così come dal Delta del Nilo, Il Cairo e il distretto della capitale fino all’Alto Egitto(5), godendo di un alto coordinamento operativo tra le diverse cellule egiziane locali.
L’uccisione di numerosi jihadisti, l’introduzione di nuove misure di contrasto al fenomeno terroristico (inasprimento delle leggi in materia, imposizione dello stato d’emergenza e di un coprifuoco notturno nel Sinai settentrionale, creazione di un nuovo corpo d’armata unificato, creazione di una buffer zone di due chilometri lungo il confine con la Striscia di Gaza, il dispiegamento di elicotteri e aerei da combattimento dietro permesso israeliano), le campagne di counter-terrorism e il ricambio continuo dei vertici militari non hanno tuttavia comportato alcun cambio di registro rilevante nella strategia egiziana di guerra al terrorismo.
Ad alimentare l’attuale spirale di violenza interna hanno influito tuttavia diversi fattori. In primo luogo, le differenti tipologie di violenza che si confrontano nel Sinai (terrorismo/insorgenza armata) e nel mainland egiziano (attacchi a bassa intensità, sviluppati in un ambiente) rappresentano un fattore di criticità legato soprattutto alle repressioni delle opposizioni (liberali e islamiste) e dei gruppi beduini sinaitici, nonché alla marginalizzazione degli stessi dal tessuto sociale nazionale. A ciò si aggiungono l’impreparazione e le difficoltà tattiche dell’esercito egiziano nel far fronte a situazioni di combattimento tipiche della guerriglia o lo scarso coordinamento tra le diverse agenzie interne di sicurezza (intelligence, esercito, polizia). Infine, ma non meno rilevante, si è mostrata l'incapacità dell’establishment cairota d'indebolire il vincolo di fedeltà tribale esistente tra i jihadisti egiziani e le popolazioni beduine locali – sebbene negli ultimi mesi si siano registrati alcuni cambiamenti sostanziali nel rapporto fiduciario(6).
La prova di forza del WS non pone solo una minaccia nei confronti dell’Egitto, che rimane l’obiettivo immediato dei terroristi, ma rappresenta ancor di più un serio problema alla sicurezza regionale (le crisi in Libia e nella Striscia di Gaza) e, in particolare, alla stabilità d'Israele (i timori d'infiltrazioni jihadiste in Cisgiordania e nel Negev israeliano), target finale dell’offensiva di WS e di IS. Una situazione complessiva che denota, dunque, un innalzamento della globalità della minaccia di IS e della strategia di espansione/radicamento territoriale del brand e del network.
Così in un contesto regionale sempre più complesso e fluido, le sfide lanciate dal Wilayat Sinai e da IS alle autorità del Cairo rappresentano il principale banco di prova per la stabilità e per la legittimità delle istituzioni egiziane e per la salvaguardia dei delicati equilibri del Vicino Oriente.