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RUSSIA

Tra i due litiganti vince Pechino?

Sergey Efremov
|
Giorgia Magnani
08 aprile 2022

La maggior parte delle economie avanzate ha risposto alle operazioni militari del governo russo in Ucraina con una rapida controffensiva economica. Tuttavia, lo sforzo internazionale per isolare Mosca dall’economia globale e dal sistema finanziario avrà un forte impatto non solo sull’economia russa, ma sull’economia mondiale nel suo complesso, rendendo alcuni attori, tra cui la Russia, estremamente deboli e creando straordinarie opportunità per altri, come la confinante Cina. Questo articolo esplora le dinamiche e gli effetti di redistribuzione economica iniziati nel febbraio scorso con la guerra.

Il conflitto attuale, come già successo con la pandemia di Covid-19, ha sollevato alcuni interrrogativi sulla stabilità dell’interdipendenza economica mondiale e ha dimostrato come le catene globali del valore siano esposte al rischio di un “effetto farfalla”. I produttori esteri che avevano investito massicciamente in Russia nei primi ventidue anni del nuovo millennio – scommettendo sulla stabilità politica russa, sulle dimensioni e l’accesso ai mercati dello spazio post-sovietico – si trovano ora di fronte a una difficile scelta: come continuare a “fare affari” senza compromettere la propria reputazione. Da un lato, si rischiano pesanti danni d’immagine nei confronti dei propri governi, società e lavoratori; dall’altro, si potrebbe perdere l’accesso a un mercato che vale 2/3 di quello europeo (includendo Serbia, Vietnam e Singapore che hanno accordi di libero scambio con l’Unione Economica Eurasiatica), seppur con un potere d’acquisto minore.

Nel 2020 il valore totale dello stock di investimenti esteri diretti (IDE) in Russia si è attestato a 449.047 milioni di dollari, pari a circa il 31% del Pil nazionale. La maggior parte degli investimenti è stata diretta alle industrie ad alto valore aggiunto (come i combustibili fossili, i macchinari, la carta e l’alimentare), settori che beneficiano anche delle risorse naturali russe e dell’accesso ai mercati eurasiatici. Queste dinamiche rendono difficile per Mosca riprendersi velocemente dal colpo subito, dato che il know-how non può essere creato in pochi anni, né vi sono sostituti per i componenti tecnologici più avanzati.

L’imposizione di sanzioni da parte delle economie avanzate, la fuga di capitali esteri, l’esclusione parziale della Russia dal sistema SWIFT e le contromisure adottate stanno già colpendo le forniture globali, causando inflazione e scarsità, oltre a produrre importanti effetti a livello globale. Nell’attuale guerra economica i potenziali vincitori potrebbero trionfare senza combattere, come insegna Sun Tzu ne “L’arte della Guerra”. Il principale vincitore atteso è la Cina.

 

La crisi del petrolio&gas

La Russia è il primo esportatore mondiale di gas naturale (238,1 bcm nel 2020) e il secondo di petrolio, dopo l’Arabia Saudita (72,6 miliardi di dollari). L’economia russa dipende per il 15-20% dai combustibili fossili secondo le rilevazioni dell’Agenzia Statistica Russa. Contrariamente a quanto indicano le statistiche ufficiali, tuttavia,Mosca dipende dall’esportazione di gas e petrolio verso l’UE più di quanto l’UE dipenda da Mosca (seppure alcuni Paesi siano più a rischio).

Il tentativo del Presidente Putin di introdurre pagamenti in rubli per le esportazioni di gas verso i Paesi definiti “ostili” a partire dal 1° aprile 2022, il successivo rifiuto europeo e il mantenimento delle forniture nei giorni successivi forniscono un’efficace dimostrazione di come il governo russo non possa permettersi di usare l’arma energetica nel prossimo futuro. In ogni caso, anche la capacità di trovare fornitori di gas e petrolio alternativi alla Russia è limitata.

L’esclusione di diverse banche russe dal sistema SWIFT non include Gazprombank, un istituto finanziario fondamentale per le transazioni su gas e petrolio, né Sberbank, la principale banca russa. Questo permette di continuare le esportazioni di combustibili fossili. Prezzi più alti uniti a un proseguimento delle importazioni energetiche da Mosca rappresentano un’importante fonte di finanziamento per le decisioni politiche del governo di Putin, ancor più alla luce delle sanzioni. Ciononostante, gli effetti diretti di un embargo autoimposto da parte di diversi Paesi europei sul petrolio russo, cui si aggiungono gli effetti del rifiuto delle principali aziende logistiche a cooperare con la Russia e i piani di sanzioni aggiuntive sui trasporti – con le compagnie assicurative pronte a seguire – aumentano la pressione sulla capacità russa di mantenere i livelli di forniture precedenti.

Nel primo semestre 2021 la Federazione Russa è stata il primo fornitore dell’Unione Europea di gas naturale (46,8% del valore totale) e di greggio (24,7%). Appare più probabile che l’Europa punti a cercare altri fornitori piuttosto che puntare su costose fonti “green” per soddisfare la domanda di energia e contenere l’aumento dei prezzi del petrolio. La netta contrapposizione dell’UE alle azioni del governo di Putin contribuisce anche a rafforzare lo slancio verso nuove sanzioni, e spingere verso motivazioni di “responsabilità sociale di impresa” tra le aziende occidentali. I clienti europei potrebbero infatti preferire un danno economico a uno “psicologico”, in cui le rendite generate dalle loro importazioni energetiche possono essere usate per scopi militari. Nelle analisi sulle proprie dipendenze strategiche, l’Unione Europea aveva già indicato la necessità di ridurre la vulnerabilità all’importazione di materie prime e di “sviluppare partnership strategiche per garantire forniture diversificate e sostenibili”. Diversi Paesi UE stanno puntando su membri OPEC come Qatar e Arabia Saudita. Il graduale cambiamento di fornitori energetici verso Riad e gli altri Paesi OPEC potrebbe avvenire con la stessa naturalezza con cui si sviluppò il distacco dall’Arabia Saudita a favore dell’URSS dopo la crisi petrolifera del 1973.

Nel frattempo, Saudi Aramco ha annunciato recentemente che potrebbe accettare pagamenti in renminbi per le esportazioni di petrolio alla Cina, corrispondenti al 25% del proprio export – una mossa senza precedenti che potrebbe rafforzare la posizione globale dello yuan, una scelta che già di per sé potrebbe ridurre il peso del dollaro nelle transazioni petrolifere. Questa tendenza potrebbe rafforzarsi a causa della diversa valutazione del dollaro come valuta di riserva sicura dopo che le sanzioni hanno mostrato come le riserve possano essere congelate e i pagamenti bloccati a seguito di decisioni politiche inaspettate. Questa dinamica accelera la crescita sul piano globale dell’influenza cinese, un vicino di Mosca che ha però dieci volte il suo Pil e i suoi abitanti – e che, astenendosi da ogni partecipazione attiva al conflitto, ha adottato una strategia di vittoria assai tradizionale.

Il contesto del gas naturale è invece differente. Nel 2020, la Russia era il secondo produttore globale di gas naturale (693,4 bcm) e il primo esportatore (197,7 bcm tramite gasdotti, e solo 40,4 di GNL). Re-indirizzare le politiche nazionali del gas nella UE verso altri Paesi è più complesso, soprattutto per le quote provenienti da gasdotti, che sono un’infrastruttura fissa. Nuovi possibili partner come Qatar, Norvegia e Algeria non sono in grado da soli di coprire le necessità europee senza ridurre le forniture verso altre regioni (e la Norvegia opera già alla massima capacità). Inoltre, le forniture recentemente approvate di gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti non costituiscono un’alternativa sostenibile a causa dei volumi insufficienti, dei costi maggiori e della disomogenea capacità di stoccaggio in Europa. Tuttavia, considerando il ruolo assai limitato della Russia nelle esportazioni di GNL, se gli USA decidessero di usare interamente le proprie riserve si potrebbe raggiungere una strategia efficace nel breve termine, che rafforzerebbe anche gli effetti cumulati delle sanzioni. Va però tenuto presente come ciò metta a rischio sia le forniture americane di gas che la capacità del governo di controllare l’inflazione domestica. AL contempo, un aumento nelle importazioni di GNL dall'Australia potrebbe accrescere l'importanza del Canale di Sues, rafforzando così il ruolo dell'Egitto - che gestisce il canale e ha rifiutato di introdurre sanzioni contro la Russia - in ambito geostrategico e di sicurezza economica.

D’altra parte, Mosca non può indirizzare interamente le sue esportazioni nella UE verso altri Paesi (come la Cina), per lo meno nel breve termine, data la distribuzione attuale dei flussi e della capacità dei gasdotti. Power of Siberia, la sola infrastruttura che trasporta gas dalla Russia alla Cina, ha esportato 16,5 bcm di gas nel 2021 e dovrebbe raggiungere 38 bcm annui nel 2025. Il gasdotto opera a meno della metà della capacità, indicando come la domanda cinese di gas russo non fosse molto elevata neppure prima delle sanzioni. La Cina sta inoltre affrontando una nuova forte ondata pandemica e ha istituito diversi lockdowns: si potrebbe quindi ulteriormente ridurre la domanda cinese di energia dalla Russia, inasprendo la crisi economica russa e aumentando la necessità di sostegno da parte di Pechino.

I due Paesi hanno raggiunto un accordo su nuove forniture di gas nel lungo periodo, attraverso il gasdotto previsto Power of Siberia 2, che aumenterebbe di ulteriori 10 bcm le esportazioni annuali di gas russo verso Pechino – sempre che vi sia domanda. La nuova infrastruttura permetterebbe soprattutto di indirizzare il gas estratto dai giacimenti della penisola di Yamal (che ora riforniscono l’UE) verso il mercato cinese, riducendo così la dipendenza dai clienti europei. Lo scorso 8 marzo l’UE ha proposto il piano REPowerEU, per rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi entro il 2027, riducendo l’uso di gas di almeno 155 bcm. Sebbene il raggiungimento dell’autonomia richiederà più tempo, questo in realtà renderebbe l’economia russa sempre più dipendente da finanziamenti, investimenti e consumi cinesi, riducendo il potere di Mosca nelle relazioni bilaterali.

Qualunque re-indirizzamento delle esportazioni di petrolio russo verso altri Paesi sarebbe un processo piuttosto difficile, che richiederebbe non solo la rottura di contratti e possibili sanzioni, ma anche complicanze a livello tecnologico. Il 70% del petrolio russo viene esportato e il processo tecnologico non permette di riorientare i flussi velocemente, né di bloccare l’estrazione per un certo periodo per poi riprenderla successivamente (i prezzi negativi nel 2020 sono un buon indice di questo fenomeno, con la Russia che cercava di liberarsi del proprio petrolio durante la pandemia a causa del basso livello di domanda). Se l’Europa riducesse il consumo di petrolio russo nel 2022, questo non solo amplierebbe l’effetto delle sanzioni, ma colpirebbe anche l’economia russa più di quella europea.

Anche pensare che India e Cina rappresentino possibili partner per una maggior domanda di energia russa al fien di sostenere la crescita è in gran parte un esercizio filosofico. Delhi non è incline a utilizzare più petrolio russo dato che le sue raffinerie lavorano principalmente con qualità Brent piuttosto che Urals russo. Ogni cambiamento richiederebbe massicci investimenti in macchinari e attrezzature e non avrebbe solide basi economiche. Di conseguenza, l’importanza della cooperazione economica tra Mosca, Pechino e Delhi non andrebbe esagerata nell’attuale crisi. La probabilità che la seconda e la sesta economia globale – Cina e India – si uniscano per aiutare Mosca, anche alla luce delle dispute territoriali tra Pechino e Delhi, è piuttosto bassa.

È poco probabile che la Cina faccia mosse veloci da sola verso Mosca nel 2022. E ciò fondamentalmente per ragioni economiche. Le nuove varianti di Covid-19 e la possibilità che i sauditi accettino lo yuan per le esportazioni di petrolio stanno già rafforzando in modo pacifico il ruolo globale della Cina nel medio termine, consolidando anche il suo ruolo di partner economico più auspicabile per Mosca.

Uno scenario in cui Pechino decida di aggirare, direttamente o attraverso Paesi terzi, le sanzioni per onorare la propria cooperazione “senza limiti” con Mosca non sembra del pari probabile. La Russia rappresenta solo una minima quota del commercio estero cinese: le esportazioni cinesi verso gli USA sono in valore  quasi nove volte maggiori di quelle verso la Russia -  e quelle verso l’UE otto volte maggiori. La Cina si sta inoltre preparando per il 20esimo Congresso del Partito in autunno, dove Xi dovrebbe essere rieletto come Presidente: Pechino vorrà quindi presentarsi a quella data con buoni risultati economici. Considerato il rallentamento iniziato nel 2020, è poco verosimile che la Cina voglia rischiare sanzioni da UE e USA – i suoi principali partner commerciali – per aiutare un partner molto meno importante economicamente come la Russia.

Di conseguenza, l’economia russa si avvia a un rapido deterioramento nel 2022. Se l’UE riesce a raggiungere rapidamente un accordo sul rafforzamento delle sanzioni energetiche, grazie a un sostegno delle opinioni pubbliche senza precedenti e la forte ostilità alle decisioni di Putin, questo deterioramento sarà ancora maggiore, nonostante la maggiore inflazione in Europa. E la Cina si garantirebbe una posizione attendista vittoriosa.

 

Materie prime e catene globali del valore

Il ruolo della Russia nell’economia globale si fonda nelle sue risorse. E un altro modo in cui la redistribuzione globale potrebbe creare nuovi vincitori  è attraverso l’industria strategica di semiconduttori e microchip.

Nel 2020 la Russia era il primo esportatore di palladio (6,4 miliardi di dollari) e il secondo produttore globale (74 milioni di tonnellate metriche). Tra le principali destinazioni l’UE (il 40% del palladio importato viene dalla Russia) e il Giappone (43%): entrambi hanno introdotto sanzioni. Questo suggerisce che possibili frizioni nelle forniture e difficoltà a processare i pagamenti internazionali con la Russia spingeranno al rialzo i prezzi. Il palladio è fondamentale per produrre beni essenziali come convertitori catalitici, strumenti medici o componenti elettrici – la cui domanda aumenterà. Per soddisfare la domanda e tenere sotto controllo i prezzi alcuni Paesi potrebbero guardare al Sudafrica, il quarto esportatore globale nel 2020 (3,6 miliardi di dollari) e il primo produttore globale nel 2021 (80 tonnellate metriche); mentre Canada e Zimbabwe – rispettivamente il terzo e il quinto produttore nel 2021 – potrebbero essere spinti ad aumentare il proprio livello di produzione futuro. Si tratta tuttavia di partner importanti per la Russia, tanto che Zimbabwe e Sudafrica non hanno aderito alle sanzioni e possono essere considerati possibili alleati economici della Russia per fare pressioni sulle economie avanzate. Nel breve termine, quindi, non vi sono sostituti alla Russia in termini di produzione e capacità di esportazione, per cui molti Paesi continueranno a comprare palladio russo.

Tuttavia, la Cina potrebbe vincere anche in questa partita lontano dai riflettori. Il palladio viene usato per produrre processori, e la Cina rappresenta il 60% della domanda globale di semiconduttori – e con Made in China 2025, piano lanciato nel 2015, punta a espandere i propri settori tecnologici emergenti. La Cina potrebbe beneficiare dall’indebolimento russo per negoziare migliori condizioni per le importazioni di palladio, in grado di aiutare la crescita del ruolo internazionale della Cina tramite una fornitura stabile e sostenibile di semiconduttori, riducendo anche la dipendenza cinese da Taiwan.

Il palladio è una dimostrazione di come le materie prime strategiche che si trovano in Russia, e da cui dipende il mondo, possano ulteriormente rafforzare la redistribuzione di ricchezza, potenzialmente rafforzando anche in questo caso la Cina. Altre risorse includono il titanio e il neon, dove Mosca gioca sempre un ruolo da protagonista, a volte ondiviso con l’Ucraina (come nel caso del neon).

 

Ritiro di aziende straniere dalla Russia: cosa ci aspetta?

A causa delle sanzioni, molte multinazionali stanno ritirando i propri capitali dalla Russia, lasciandosi dietro asset invenduti. È il caso del principale produttore di automobili giapponese, Toyota, che ha bloccato la produzione e le vendite in Russia fino a data da destinarsi proprio a causa delle sanzioni occidentali.  Nel 2020 le automobili (7,75 miliardi di dollari) e i componenti per veicoli (7,28 miliardi di dollari) erano i beni più importati in Russia, e l’automotive rappresentava il 30,4% delle esportazioni totali giapponesi in Russia. Mosca è anche un mercato strategico per la fornitura di acciaio, ferro e alluminio utilizzati nella produzione di veicoli. Questa grande interdipendenza nelle catene produttive potrebbe spingere alcune aziende a considerare Paesi come il Kazakistan un’opzione valida per trasferire gli impianti produttivi e esportare i beni verso la Russia. Il Kazakistan, per esempio, non rientra nella lista dei “Paesi ostili” secondo il governo di Mosca e non ha imposto sanzioni, per cui il commercio di beni e servizi tra i due Paesi dovrebbe continuare senza restrizioni. Inoltre, il Kazakistan partecipa all’Unione Economica Eurasiatica (EAEU), un’unione economica internazionale e area di libero scambio che garantisce il movimento di beni e lavoratori tra gli Stati membri e forma un’unione doganale con Mosca. Tuttavia, Astana potrebbe anche finire per non supportare la Russia a causa di altre sue relazioni commerciali globali (Italia e Svizzera sono più importanti per il Kazakistan della Russia in termini di esportazioni, mentre Francia e Paesi Bassi valgono quanto Mosca).

Dall’altra parte, la fuga di capitali da parte di grosse aziende straniere non verrà necessariamente compensata dall’ingresso di investitori cinesi, seppure essi abbiano interessi strategici nell’assicurarsi la fornitura di risorse russe. La Cina potrebbe tuttavia essere più attiva nel settore degli idrocarburi, dato che Shell ha annunciato la propria uscita da Gazprom e BP ha dichiarato di voler vendere la propria quota (quasi il 20%) di Rosneft, la compagnia petrolifera statale russa. Anche Exxon ha abbandonato i progetti energetici in Russia. Il ruolo di Shell, Exxon e BP in Russia era incentrato sulla condivisione di tecnologie, dato che le aziende russe non producono strumenti ad alta tecnologia per la propria industria di idrocarburi. Dunque, la Cina potrebbe vedere un’occasione per colmare il divario e aumentare il controllo di risorse strategiche, in linea con le proprie ambizioni politiche ed economiche. Pechino potrebbe quindi fornire crediti a Mosca per l’acquisto di tecnologie cinesi, creando così una doppia dipendenza.

Sempre nel suo piano industriale Made in China 2025, il governo cinese ha dichiarato la propria intenzione di aumentare la competitività economica della Cina grazie al miglioramento della posizione di Pechino nelle catene globali manifatturiere, raggiungendo la leadership nelle tecnologie emergenti e riducendo la dipendenza da aziende straniere. In altre parole, la Cina punta a controllare ogni passaggio delle catene del valore, in modo simile a quanto fatto dai “sogo shoshas” giapponesi nella crescita del Sol Levante nel secolo scorso, espandendo investimenti e presenza globale in ogni fase produttiva, finanziaria e assicurativa. Le acquisizioni estere sono indicate dalle autorità cinesi come uno dei principali strumenti per implementare questa strategia. La Cina potrebbe anche approfittare della situazione attuale per accelerare il cauto processo di internazionalizzazione del renminbi che rientra nella più ampia ideologia di Xi della “Nuova Era del Socialismo con Caratteristiche Cinesi”. Il rapporto 2021 sull’internazionalizzazione del renminbi, stilato dalla Banca Centrale Cinese, indica la volontà di Pechino di ampliarne l’uso a livello globale tramite l’aumento nelle transazioni transfrontaliere, il miglioramento dell’infrastruttura internazionale, e la facilitazione di canali per investimenti e finanziamenti transfrontalieri.

Il contesto attuale pone, inoltre, le premesse per rafforzare il ruolo del renminbi nei commerci globali, dato che la Russia necessiterà di sistemi di pagamento sicuri nei settori non energetici. Il consolidamento dello yuan e del ruolo cinese si svilupperà anche naturalmente tramite le persone fisiche che preferiranno il sistema Chinese Union Pay, accettato in oltre 180 Paesi – a differenza dei meno di 20 del sistema russo MIR, prevalentemente Turchia e nazioni dello spazio post-sovietico. Il giapponese JCB, VISA e MasterCard hanno sospeso le operazioni in Russia. Se Pechino continua a utilizzare la strategia attendista di Sun Tzu e rafforza le unioni economiche durante questa guerra, otterrà benefici nel modo più naturale, accrescendo l’importanza dello yuan come strumento di pagamento globale nel giro di pochi anni.

Considerata poi l’esclusione di molte banche russe dal sistema SWIFT, Mosca dovrà trovare modelli alternativi (come l’infrastruttura di pagamento cinese), sviluppare progetti bilaterali (l’India ha costruito un sistema rupia-rublo per continuare il commercio di fertilizzanti con la Russia), o reindirizzare commercio e transazioni verso Paesi terzi (Serbia, Armenia o Kazakistan ad esempio). Tutti elementi che porteranno a una de-dollarizzazione dei pagamenti transfrontalieri. La Serbia rappresenta un buon esempio di una possibile giurisdizione intermediaria: è in Europa, non partecipa alle sanzioni, ma mantiene relazioni commerciali speciali con l’UE e ha un trattato di libero scambio con l’Unione Economica Eurasiatica. Potrebbe essere quindi il candidato ideale per aggirare alcune sanzioni proprio nel cuore dell’Europa.

 

Conclusioni

L'esito della “guerra economica” tra l’Occidente e la Russia porterà cambiamenti nella geografia delle catene produttive globali e nei pagamenti internazionali, con nuovi attori emergenti e Pechino che si candida a essere il principale beneficiario del mutato quadro economico. La Cina è intenzionata ad approfittare delle nuove condizioni favorevoli, ma ciò non va interpretato come un tentativo di aiutare il proprio vicino. Se Mosca è sull’orlo del precipizio, Pechino potrebbe invece ottenere grandi risultati seguendo le indicazioni di Sun Tzu di vincere senza combattere. Al contrario, la dipendenza russa dalla Cina aumenterà, togliendo ogni speranza di una partnership fra pari. L’Occidente avrà invece strumenti adeguati per una relazione bilanciata con il suo principale avversario economico nel futuro?

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Russia economia Geoeconomia Crisi Russia Ucraina
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AUTORI

Sergey Efremov
Moscow State University Lomonosov
Giorgia Magnani
Ca' Foscari

Image Credits (CC BY 2.0): Palacio do Planalto

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