I risultati dei pre-negoziati delle Nazioni Unite sullo Yemen in Svezia (Rimbo, 6-13 dicembre 2018) sono stati sorprendentemente positivi: cessate il fuoco immediato per la città di Hodeida e l’omonimo governatorato, scambio di 15 mila prigionieri, costituzione di un comitato per sbloccare l’assedio della città di Taiz e impegno a continuare “senza condizioni” le consultazioni alla fine di gennaio.
Tuttavia, il vero sforzo politico comincia adesso, con la traduzione sul campo dell’accordo di Stoccolma: il ritiro completo dei gruppi belligeranti dalla città e dal porto di Hodeida (nonché dai porti limitrofi di Salif e Ras Isa), nonché il ridispiegamento di “forze di sicurezza locali” deve avvenire entro 21 giorni dall’intesa del 13 dicembre.[1]
A pochi giorni dall’intesa formale, il ´barometro` segna però ´cattivo tempo` a Hodeida, con testimonianze di nuovi raid e guerriglia nelle strade: il cessate il fuoco è già a rischio. Le Nazioni Unite provano l’impossibile affinché l’intesa non salti: l’accordo di Stoccolma prevede un “cessate il fuoco immediato” a Hodeida, “entrato in vigore il 13 dicembre”, come ribadito dall’inviato Onu Martin Griffiths in collegamento con il Consiglio di Sicurezza (14 dicembre[2]). Ma dopo la ripresa degli scontri (16 dicembre), l’Onu ha fatto sapere che l’accordo entrerà in vigore il 18 dicembre, con un riferimento a 48-72 ore necessarie perché lo stop venga comunicato a livello operativo.[3]
Anche in questo accordo, le insidie si annidano nei dettagli, nonché nel linguaggio calibrato della diplomazia. Non è un caso che i ribelli huthi e il governo yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale abbiano interpretato diversamente il passaggio più spinoso dell’intesa: chi gestirà Hodeida e il suo porto dopo il ritiro dei gruppi belligeranti. Ovviamente, entrambe le parti hanno la necessità di ´vendere` l’accordo di Stoccolma alle loro basi; però, di certo c’è solo che l’Onu avrà un “ruolo guida” nel sostegno all’autorità portuale dello Yemen per “la gestione e l’ispezione[4]” del porto di Hodeida (ma le Nazioni Unite non saranno garanti della neutralità del porto[5]), mentre l’identità delle “forze di sicurezza locali[6]” che dovranno gestire la sicurezza urbana e del porto rimane fin qui nebulosa.
Infatti, i comunicati finali delle due fazioni che hanno negoziato in Svezia sono contrastanti: se il governo riconosciuto interpreta questo passaggio come il ritorno delle forze filo-governative in città, dopo il ritiro degli huthi da Hodeida, il movimento-milizia del nord lo intende come il ritiro delle “forze occupanti” (ai loro occhi, quelle del governo riconosciuto) e la formalizzazione dell’attuale controllo degli huthi sulla zona.[7]
Quindi, il rischio di un’escalation militare è ancora dietro l’angolo: ecco perché la diplomazia deve accelerare i tempi, per sostenere e irrobustire un accordo che può essere interpretato, dunque forzato, da entrambe le parti. Innanzitutto, il Comitato di coordinamento presieduto dall’Onu e composto anche dalle parti negoziali deve essere creato il prima possibile: esso dovrà monitorare il rispetto del cessate il fuoco, il ridispiegamento delle forze militari, nonché le attività di sminamento delle tante mine che gli huthi hanno sparso lungo la costa e i porti del governatorato di Hodeida, con rischi per le attività commerciali e la libertà di navigazione nel mar Rosso.
Il ruolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è poi fondamentale: l’approvazione di una risoluzione che appoggi l’accordo di Stoccolma e condanni l’ancora possibile battaglia per Hodeida contribuirebbe a rafforzare i risultati dei pre-colloqui, incoraggiando il negoziato previsto a fine gennaio. Da troppo tempo, il Consiglio di Sicurezza non riesce a produrre e ad approvare una risoluzione sullo Yemen, bloccato dai veti russi (niente condanna alla fornitura di armi dall’Iran agli huthi) o statunitensi (niente condanna dei frequenti raid sauditi su scuole e ospedali).
Infatti, la base negoziale è ancora oggi la risoluzione n°2216 dell’aprile 2015: è partire da questo testo ormai anacronistico, che cita alleanze che non esistono più ed esclude attori politico-militari che sono nati successivamente, che huthi e governo riconosciuto potrebbero ritrovarsi, prossimamente, a trattare. Come noto, gli huthi e le forze che fanno capo alla famiglia dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh non sono più alleate dal dicembre 2017; nello stesso anno, si è poi costituito il pro-secessionista Consiglio di Transizione del Sud (STC), che non era presente ai pre-colloqui svedesi.
Su Hodeida, principale porto per l’ingresso degli aiuti umanitari nel paese, e sull’intera costa occidentale dello Yemen si sono focalizzati gli sforzi diplomatici e l’attenzione mediatica: lo Yemen in guerra è però molto più di Hodeida, anche se la partita geopolitica vede ormai protagonista il mar Rosso. Le coste che congiungono la Penisola arabica all’Africa orientale sperimentano una crescente militarizzazione: sauditi, emiratini, iraniani, turchi, egiziani, cinesi, russi e statunitensi competono per il controllo dei porti commerciali, nonché per la costruzione e/o utilizzo di basi militari e appoggi logistici, soprattutto fra Eritrea, Etiopia, Gibuti e Somalia.
Nei giorni in cui gli yemeniti negoziavano fuori Stoccolma, l’Arabia Saudita ha riunito a Riyadh, per la prima volta, i ministri degli esteri dei sette paesi del mar Rosso: oltre al regno, Giordania, Sudan, Somalia, Gibuti, Egitto e Yemen. L’obiettivo è creare un consiglio politico per proteggere la sicurezza del mar Rosso e promuovere cooperazione, investimenti e commercio.[8] Gli Emirati Arabi Uniti (EAU), principali alleati dei sauditi nonché guida delle operazioni di terra della coalizione militare in Yemen, non figurano nel nuovo organismo politico.
La competizione geostrategica fra Riyadh e Abu Dhabi è strisciante, ma sempre più difficile da mascherare. Le Forze speciali emiratine sono da sempre in prima linea nella lotta contro gli huthi lungo la costa occidentale dello Yemen: dopo la città di al-Mokha, ripresa nel 2017, esse hanno puntato su Hodeida, addestrando, finanziando e armando una serie di milizie, anche locali. Oggi, gli yemeniti che combattono contro gli huthi nella provincia di Hodeida (e per il porto) sono alleati degli EAU: una dinamica sgradita all’Arabia Saudita, che sul mar Rosso sta massicciamente investendo in iniziative economiche e infrastrutture.[9]
I pre-negoziati e il cessate il fuoco per Hodeida sono passi in avanti positivi e inattesi. Ma per lo Yemen, la corsa diplomatica, e ancora di più politica, è davvero contro il tempo: la distanza tra ´le speranze della Svezia` e le battaglie, multiformi, del mar Rosso rischia di allargarsi, in un fossato senza ritorno.
[1] Office of the Special Envoy of the Secretary General for Yemen (OSESGY), “Stockholm Agreement”, “Agreement on the City of Hodeidah and Ports of Hodeidah, Saleif and Ras Isa”, “Statement of Understanding on Ta’iz”, Press statements, 13 dicembre 2018.
[2] Security Council Briefing of the Special Envoy for Yemen, 14 dicembre 2018.
[3] Reuters, “Yemen warring parties say port city ceasefire starts on Tuesday, 16 dicembre 2018 https://uk.reuters.com/article/uk-yemen-security/yemen-warring-parties-say-port-city-ceasefire-starts-on-tuesday-idUKKBN1OF0F1?il=0
[4] Office of the Special Envoy of the Secretary General for Yemen (OSESGY), “Agreement on the City of Hodeidah and Ports of Hodeidah, Saleif and Ras Isa”, op. cit.
[5] Louis Imbert, “Accord pour un cessez-le-feu à Hodeida”, Le Monde, 15 dicembre, p.2.
[6] Office of the Special Envoy of the Secretary General for Yemen (OSESGY), “Agreement on the City of Hodeidah and Ports of Hodeidah, Salif and Ras Isa”, op. cit.
[7] Mohammed Ghobari, “Fighting breaks out in Yemen’s Hodeidah after truce deal”, Reuters, 14 dicembre 2018 https://uk.reuters.com/article/uk-yemen-security/fighting-breaks-out-in-yemens-hodeidah-after-truce-deal-idUKKBN1OD2EE
[8] Asharq Al-Awsat, “Saudi Arabia Announces New Political Bloc for Red Sea, Gulf of Aden States”, 12 dicembre 2018 https://aawsat.com/english/home/article/1501906/saudi-arabia-announces-new-political-bloc-red-sea-gulf-aden-states
[9] Eleonora Ardemagni, “The Saudi-Emirati Looming Rivalry on Hodeida: Port Geopolitics in the Red Sea”, NATO Defense College Foundation, Strategic Trend, giugno 2018 http://www.natofoundation.org/gulf/gulf-june-2018/ ed E. Ardemagni, “Arabia Saudita ed Emirati: alleati, ma non troppo”, Fondazione Oasis, 14 novembre 2018 https://www.oasiscenter.eu/it/arabia-saudita-emirati-alleati-ma-non-troppo