Che 2021 sarà per il commercio internazionale? Dopo un anno molto difficile per le conseguenze economiche della pandemia, è ragionevole attendersi una decisa ripresa degli scambi globali. Una ripresa sulla quale peseranno tuttavia diverse incognite: da una crescita economica incerta perché legata all’evoluzione del Covid-19, alla possibile riattivazione della governance multilaterale in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), passando per l’andamento dei rapporti economici tra principali player globali (Cina, Stati Uniti, Unione Europea) e la Presidenza italiana del G20, nella quale le questioni di politica commerciale occuperanno un posto importante. Sarà un anno positivo se tutti questi “tasselli” si incastreranno tra di loro. E sarà anche un anno in cui l’elemento “umano” costituirà una componente significativa, con particolare riferimento alle figure femminili che si troveranno in posizioni di vertice: saranno infatti donne sia il nuovo Direttore Generale dell’OMC (la competizione è infatti circoscritta alla nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala e alla sudcoreana Yoo Myung-hee), così come il nuovo Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, Katherine Tai, nominata da Joe Biden dopo la sua elezione alla Casa Bianca.
L’eredità del 2020
Che il commercio internazionale fosse in difficoltà, lo si sapeva già da prima che la pandemia da Covid-19 si abbattesse sull’economia globale. La debole crescita economica in diverse regioni del mondo, le tensioni commerciali tra i principali attori economici che avevano riportato alla luce pulsioni protezionistiche, e il prolungato stallo nell’agenda multilaterale, avevano provocato un rallentamento negli scambi commerciali mondiali che, secondo le ipotesi effettuate l’anno scorso dall’OMC, sarebbero cresciuti del 3% nel 2020.
L’irrompere del coronavirus si è dunque innestato su un contesto già fragile, causando danni significativi al commercio internazionale sia in un’ottica di breve che di medio-lungo periodo. Nel breve termine, i vari lockdowns a livello nazionale intrapresi durante la prima ondata della pandemia hanno provocato in alcuni casi una vera e propria “paralisi” di alcune catene del valore, tanto che in primavera l’OMC aveva rivisto pesantemente al ribasso le proprie stime prevedendo per il 2020 una contrazione degli scambi commerciali globali compresa tra il 13% e il 32%, a seconda dello scenario meno o più pessimista. Fortunatamente, alla fine dell’anno la performance del commercio dovrebbe essere migliore di quanto previsto alcuni mesi fa e chiudersi con un calo del 9,2% su base annua, che dovrebbe essere seguito da un rimbalzo verso l’alto del 7,2% nel 2021.
Tuttavia, secondo l’OMC l’attesa ripresa degli scambi non dovrebbe essere sufficiente per tornare ai livelli pre-Covid . Ed è qui che entrano in gioco le conseguenze di medio-lungo termine: lo shock provocato dalla pandemia, sia sul lato dell’offerta che della domanda, potrebbe assumere caratteristiche strutturali (un possibile aumento atteso della disoccupazione potrebbe ridurre il potere di acquisto da parte dei consumatori) e mantenere per diverso tempo i flussi commerciali globali al di sotto del trend di crescita dell’ultimo decennio.
Inoltre non va sottovalutata la ripresa di tendenze protezionistiche: secondo il Global Trade Alert solo quest’anno sono state adottate a livello mondiale 1.863 misure restrittive del commercio, valore più alto da quando vengono monitorate, ovvero dal 2009. Tale tendenza, già in atto da alcuni anni in parallelo alla crescente frammentazione del sistema multilaterale, e aggravata dalla pandemia, potrebbe costituire un ulteriore freno verso la ripresa degli scambi.
I dossier da sbloccare nel 2021
Il 2021 sarà un anno molto importante per il commercio internazionale per i numerosi dossier che attendono di essere sbloccati. Questo dipenderà dall’evoluzione di diversi fattori, tra cui la stabilizzazione della situazione sanitaria che consentirà la ripresa economica e il clima geopolitico, il cui rinnovamento sarà fondamentale per ridurre la frammentazione cui si accennava in precedenza.
Per quest’anno possiamo individuare quattro aree principali da tenere d’occhio:
- OMC e multilateralismo. La governance commerciale multilaterale è di fatto bloccata da anni, non solo per gli scarsi progressi fatti su nuovi capitoli negoziali (pensiamo da ultimo a quello sull’e-commerce), ma per lo stallo dovuto al mancato rinnovamento dell’organo di risoluzione delle controversie – il Trade Appellate Body – a causa del veto posto dagli Stati Uniti di Donald Trump. A questo si aggiunge un’altra questione da sbloccare, ovvero la nomina del nuovo Direttore Generale dell’OMC. Al momento, la competizione è ferma alla fase finale tra le due candidate rimaste in corsa: Ngozi Okonjo-Iweala, attuale Ministro delle Finanze della Nigeria, e Yoo Myung-hee, ministro del Commercio in Corea del Sud. La maggior parte della membership si è schierata in favore di Okonjo-Iweala, ma anche in questo caso l’ostruzionismo statunitense ha fatto sì che la successione a Roberto Azévedo sarà posticipata di qualche mese. L’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca dovrebbe portare gli USA ad adottare un atteggiamento più conciliante e collaborativo, dunque è lecito attendersi che sia il rinnovo del DG che del Trade Appellate Body verranno completati nei prossimi mesi.
- I rapporti tra i grandi players. Anche in questo caso, il fulcro di un possibile cambiamento nelle dinamiche (da puramente antagonistiche a più cooperative) verterà intorno alla postura che deciderà di adottare la nuova amministrazione democratica negli USA.
- Da un lato c’è il rapporto tra Washington e l’Unione Europea, che nel corso dell’ultimo anno ha vissuto un’escalation in senso protezionistico in seguito all’aumento reciproco dei dazi come rappresaglia in seguito alla sentenza dell’OMC sulla vicenda Airbus/Boeing, e a causa delle minacce della Casa Bianca verso l’UE e i suoi Stati membri per la possibile introduzione di una “web-tax” che colpirebbe i ricavi delle multinazionali del settore. Realisticamente, ci potremo attendere un atteggiamento meno ostile e più incline al compromesso da parte dell’amministrazione Biden (non solo a livello bilaterale ma anche multilaterale in ambito OMC, OCSE, e G20), ma non un’inversione di marcia sostanziale dal momento che gli interessi economici delle aziende statunitensi richiederanno comunque di essere tutelati.
- Dall’altro lato, bisognerà invece fare attenzione a come evolverà la relazione tra Washington e Pechino: a un anno dall’accordo commerciale per la “fase 1” siglato alla Casa Bianca, il deficit commerciale degli USA non solo non è calato (secondo quanto previsto dagli obiettivi dell’accordo), ma potrebbe essere addirittura aumentato. Anche in questo caso, è probabile che Biden cercherà di dialogare maggiormente con il suo omologo Xi Jinping, impostando il rapporto sulla base del riconoscimento della interdipendenza economica tra USA e Cina. Tuttavia, la Casa Bianca sa di non poter perdere la competizione economica con Pechino e dunque non smetterà di insistere su temi quali il rispetto di regole del gioco comuni (es. proprietà intellettuale, aiuti di Stato, ecc). Del resto, la scelta di Katherine Tai come nuovo Trade Representative è eloquente sia nella forma che nella sostanza: statunitense di origini taiwanesi, Tai vanta una grande esperienza e competenza nelle questioni commerciali (si è già occupata in passato delle dispute in seno all’OMC tra USA e Cina) e dunque sembra logico aspettarsi che la nuova amministrazione democratica non sarà disposta a fare “sconti” a Pechino su questo terreno.
- L’agenda dell’Unione Europea. Ovviamente la priorità numero uno per l’UE sarà il reperimento, l’erogazione e la gestione dei fondi del piano Next Generation EU. Tuttavia, il 2021 sarà un anno molto importante anche per le questioni di politica commerciale rimaste aperte.
- Innanzitutto, occorrerà costruire una nuova relazione economica con il Regno Unito, cercando nel brevissimo periodo di minimizzare i problemi alle frontiere, e mantenendo al contempo un dialogo aperto con Londra per cercare di completare il trattato di libero scambio concluso alla vigilia di Natale. L’accordo raggiunto in extremis comprende solo il commercio di beni tralasciando interamente il capitolo dei servizi, che però costituiscono una fetta sostanziale della relazione bilaterale (nel 2019 sono stati il 40% dell’export britannico verso l’UE).
- In secondo luogo, come progrediranno gli accordi preferenziali che l’UE ha in cantiere con altri partner commerciali chiave? La discussione principale verterà attorno alla ratifica del Free Trade Agreement (FTA) con l’area del MERCOSUR, il cui procedimento è stato recentemente bloccato dal nuovo Commissario al Commercio Valdis Dombrovskis. Il motivo ufficiale è l’impegno insufficiente fornito dai Paesi sudamericani del MERCOSUR relativo alle clausole di protezione ambientale (che costituiscono una recente e importante innovazione negli accordi siglati dall’UE con Paesi terzi); in realtà dietro a questa pur importante motivazione si nascondono soprattutto le pressioni degli agricoltori europei, preoccupati che l’apertura del Mercato Unico ai prodotti sudamericani possa spiazzarli in termini di competitività.
- Se la liberalizzazione degli scambi con il MERCOSUR procede a rilento, i rapporti con la Cina hanno invece appena ricevuto una importante spinta, con la conclusione dell’accordo bilaterale sugli Investimenti (Comprehensive Agreement on Investment – CAI). Si tratta di un importante successo sia a livello economico che geopolitico, ponendo l’UE come fulcro di accordi di “nuova generazione” che prevedono il rispetto di standard più elevati anche da attori come la Cina che erano tradizionalmente più “riottosi” ad aderire a pratiche concorrenziali più trasparenti. L’accordo si aggiunge al riconoscimento compiuto da Pechino di cento prodotti europei protetti da Indicazione Geografica, che aiuterà i produttori europei contro la concorrenza sleale cinese. Il cosiddetto “Brussels Effect” potrebbe dunque rafforzare l’importanza cruciale dell’UE nel quadro geoeconomico globale.
- Il dibattito sul reshoring: vero o infondato?
- Negli ultimi mesi si è parlato molto di “accorciare” le catene del valore globali al fine di ridurre i rischi legati a shock nell’offerta come quelli che si sono verificati nella fase iniziale della pandemia. Da più parti sono state fatte varie proposte, sia a livello nazionale (anche dal Governo italiano) che regionale. In realtà, non si tratta di una discussione nuova, ma che è già in corso da qualche anno (come dimostrato, ad esempio, dalla proposta della Commissione Europea per una “nuova industrializzazione”, o dalle iniziative “Buy American” intraprese negli USA già durante la presidenza Obama) e che la pandemia ha contribuito a mettere sotto i riflettori. Se da un lato tali iniziative potrebbero essere utili per rafforzare settori che sono divenuti fondamentali per la sicurezza nazionale, come il farmaceutico, dall’altro c’è il rischio che possano portare a nuove forme di protezionismo “mascherato” e di conseguenza a un’ulteriore frammentazione del commercio globale. Peraltro i vantaggi economici attribuiti a pratiche di “reimpatrio” di investimenti e altri asset economici sono dubbi, dal momento che una maggiore diversificazione di forniture e fonti di approvvigionamento può anzi essere un aiuto importante in presenza di shock inattesi.
E l’Italia?
Il 2020 si dovrebbe chiudere con una performance tutto sommato non troppo negativa per le esportazioni italiane (a novembre secondo l’ISTAT l’export era calato dell’11% da inizio anno). Il Governo di Roma ha deciso di puntare con maggior decisione sul commercio internazionale come driver fondamentale per la ripresa economica nei prossimi anni, come dimostrato dal Patto per l’Export lanciato dal Ministero degli Esteri a giugno 2020. Sarà tuttavia importante che le misure di sostegno all’internazionalizzazione siano inserite in un quadro strategico che definisca priorità relative sia ai mercati di destinazione che ai settori produttivi. Ad esempio, a quasi due anni dall’ingresso dell’Italia nella Belt and Road Initiative, molti degli accordi inseriti nel Memorandum of Understanding siglato dal Governo con la Cina devono ancora essere seguiti da accordi specifici e dettagliati.
Inoltre, un ammorbidimento dei rapporti con gli Stati Uniti non potrà che giovare agli esportatori italiani, che vantano verso gli USA un surplus commerciale di circa 30 miliardi di euro. È dunque nell’interesse dell’Italia far sì che i “tasselli” descritti sopra si incastrino nella maniera migliore, in modo che un rinnovato clima positivo, sia a livello bilaterale con partner chiave come USA e Cina sia a livello multilaterale con una ripresa del lavoro comune in seno all’OMC, favorisca una ripresa degli scambi globali.
La presidenza di turno del G20 nel 2021 costituirà un’occasione importante per cercare di avanzare le priorità italiane e, al contempo, per non rimanere esclusi dai “giochi” messi in atto dalle principali potenze economiche. Per fare ciò, sarà anche necessario che il clima internazionale sia favorevole e, soprattutto, che l’economia globale imbocchi con decisione la via della ripresa lasciandosi la pandemia alle spalle.