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Commentary

Transizione energetica: chi va piano, va sano e risparmia

Simone Urbani Grecchi
15 ottobre 2021

In un periodo storico contrassegnato da svariati appelli per la costruzione di società più sostenibili, pochi settori risultano oggi più preparati di quello dei trasporti privati a dare il proprio contributo per il raggiungimento di questo epocale cambiamento.

Causa di circa il 40% dell’inquinamento delle aree urbane (zone in cui vive più del 50% della popolazione mondiale e oltre l’80% di quella dei Paesi più sviluppati), il trasporto privato ha da tempo intrapreso un’importante transizione verso l’alimentazione ibrida ed elettrica. E sebbene (a) i veicoli di nuova generazione siano ancora pochi (sia a quattro che a due ruote) e (b) rimanga da valutare attentamente il loro impatto energetico (tra cui anche quello dei monopattini elettrici), la strada sembra segnata: la progressiva eliminazione dei motori a combustione dovrebbe infatti avvenire a ritmi intensi, pur con tutti gli ostacoli tecnologici e logistici.

 

Automobili più lente per legge?

Per completare la transizione del settore dei trasporti privati verso un modello più sostenibile manca però un ultimo, fondamentale tassello: la limitazione della loro velocità. Se da un lato infatti l’alimentazione ibrida/elettrica potrà contribuire a risolvere le tematiche ambientali, dall’altro non vi è attualmente alcuna indicazione che la velocità che possono raggiungere i veicoli di nuova generazione sia inferiore rispetto a quella dei mezzi tradizionali.

Problema di portata planetaria, secondo dati ufficiali, il mancato rispetto dei limiti di velocità rappresenta una situazione al tempo stesso drammatica e paradossale. Drammatica, perché ogni anno causa circa 1,3 milioni di morti - di cui più della metà sono pedoni, ciclisti e motociclisti - e ferisce 50 milioni di persone. Paradossale, perché nel corso degli ultimi due decenni la potenza dei motori è aumentata, nonostante (a) gli ambiziosi piani di decarbonizzazione delle nostre società; (b) l’universale presenza di limiti di velocità, per tutti i tipi veicoli, a prescindere dalla loro cilindrata, su tutte le strade, soprattutto quelle urbane ed extraurbane, maggiormente soggette a incidenti mortali.

In questo campo sono già state intraprese alcune interessanti iniziative. Tra queste, vanno segnalate quelle della Commissione europea, che da tempo (a) sostiene progetti di ricerca per l’installazione di soluzioni tecnologiche in grado di segnalare il superamento dei limiti di velocità (come ad esempio avvisatori acustici e visivi); (b) promuove l’individuazione di soluzioni concrete per il miglioramento della sicurezza stradale. Inoltre, alcune case automobilistiche hanno recentemente annunciato la riduzione della velocità massima dei veicoli prodotti a partire dal 2022.

Progetti interessanti, ma che rischiano tuttavia di non essere sufficienti. Nel caso degli avvisatori acustici e visivi, infatti, la strumentazione proposta non previene l’eccesso di velocità e può essere ignorata dal conducente. Nel caso invece della velocità massima, considerato che il limite autoimposto è 180km/h, rimane da capire che tipo di deterrenza questa misura possa rappresentare nella prevenzione dell’eccesso di velocità.

 

Un aiuto dalla tecnologia

Tali sforzi sono sicuramente lodevoli e vanno nella direzione indicata dal programma lanciato dall’ONU lo scorso marzo per l’applicazione del limite di 30 km/h in tutte le aree urbane del mondo. Tuttavia, rischiano di risultare sforzi vani se non dovessero portare a una vera e propria rivoluzione copernicana, cioè limitare di default e per legge la velocità di auto e moto. Una transizione in tal senso è a portata di mano e a costi realmente contenuti, in quanto basata su una tecnologia ampiamente disponibile (il GPS) che già oggi permetterebbe di installare mappe dei limiti di velocità collegate al motore, impedendo elettronicamente il superamento dei limiti stessi.

Oltre a rappresentare un cambiamento epocale e straordinariamente efficace a disciplinare il traffico, queste novità avrebbero inoltre l’enorme vantaggio di rendere obsoleta la produzione di motori eccessivamente (e pericolosamente) potenti. Ciò limiterebbe i costi di produzione e aiuterebbe l'intero settore a compensare gli investimenti per i nuovi motori ibridi/elettrici, portando a una riduzione potenzialmente significativa dei prezzi al dettaglio. Contestualmente, tali misure libererebbero risorse finanziarie e umane per altri aspetti, come ad esempio il comfort e la sicurezza. A livello sociale, poi, ci sarebbero importanti benefici, tramite (i) una riduzione della spesa pubblica legata agli incidenti; (ii) una riduzione dei premi assicurativi; (iii) l’estensione del ciclo di vita del parco auto esistente; (iv) un sostegno concreto alle politiche ESG dell’intero settore.

L’eccesso di velocità ha un drammatico prezzo, sia in termini ambientali che di perdita di vite umane. Prezzo che paghiamo per soddisfare il desiderio di guidare auto e moto sempre più potenti, salvo non poterle utilizzare oltre una certa velocità, in nessun Paese del mondo e in nessun contesto (urbano, extraurbano o autostradale). Un paradosso, dal quale policymakers, regolatori e case produttrici possono uscire attraverso un’azione concertata, così come è successo nel caso del piombo come additivo al carburante. Recentemente descritto da Inger Anderson, direttore esecutivo dello United Nation Environment Programme, come “un errore che il genere umano ha commesso a tutti i livelli della nostra società”, l’uso del piombo è stato definitivamente eliminato a livello internazionale. È un risultato poco pubblicizzato ma molto significativo, che potrebbe essere foriero di altre decisioni concertate tra costruttori e regolatori, come appunto la limitazione della potenza dei motori e della velocità.

 

Cambiamento piccolo, ma di portata radicale

L’industria automobilistica/motociclistica è quindi in grado di proporsi come promotrice di un cambio di paradigma. Un cambiamento, tra l’altro, a impatto neutro sulla richiesta di auto/moto, considerate una necessità (soprattutto le prime) e quindi a domanda sostanzialmente inelastica. In un momento storico in cui è fondamentale sottolineare la responsabilità dei singoli nei confronti della collettività, limitare la velocità e la potenza dei nostri mezzi di trasporto privato rappresenterebbe un modo concreto per migliorare la qualità della vita delle comunità in cui viviamo. Alcuni osservatori sottolineano giustamente il tema dell’accettazione di tali innovazioni da parte del pubblico. Sta quindi agli individui, consumatori teoricamente attenti a “ricostruire meglio” le nostre società, favorire il cambiamento.

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Geoeconomia economia Energia
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AUTORI

Simone Urbani Grecchi
Analista geopolitico

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