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KAZAKISTAN

Tre fattori economici ai raggi X

Filippo Costa Buranelli
14 gennaio 2022

La repubblica centrasiatica del Kazakistan, nei primi dieci giorni di gennaio, ha visto massicce proteste popolari esanguinose repressioni da parte delle forze di sicurezza, all’ombra delle quali si ipotizza vi sia stato un violento scontro tra diversi gruppi di potere che, da decenni, si spartiscono influenti cariche politiche e lucrativi assets economici del Paese.

Data la centralità del Kazakistan all’interno del progetto di integrazione economica dell’Unione Eurasiatica guidato dalla Russia, la sua funzione di snodo infrastrutturale all’interno dell’iniziativa cinese Belt and Road, l’importanza delle sue risorse energetiche per numerosi Stati europei e soprattutto per l’Italia, e la sua recente importanza all’interno del settore delle criptovalute, domandarsi quali possano essere le principali implicazioni geoeconomiche delle recenti vicende è fondamentale per capire se le scosse di assestamento susseguenti alle violenze degli ultimi giorni porteranno a un profondo cambiamento degli aspetti macroeconomici della politica estera kazaka. Tuttavia, è opportuno sottolineare come tali implicazioni possono essere analizzate e ponderate se, e solo se, viene tenuto in considerazione che gli eventi di inizio gennaio sono molto complessi da inquadrare, non sono supportati da informazioni chiare e pubbliche, e soprattutto sono ancora in divenire.

 

“Gattopardo” in salsa kazaka?

In generale, sulla base delle (poche) informazioni in nostro possesso, si può affermare in modo “gattopardiano” che tutto è cambiato affinché non cambi quasi niente. O, per lo meno, non molto. Questa al momento sembra essere la direzione, anche se come detto è molto presto per effettuare predizioni a lungo termine. Il nuovo governo proposto da Alikhan Smailov, il nuovo premier nominato dal presidente Kassym-Jomart Tokayev, presenta infatti molte personalità appartenenti ai vecchi gruppi di interesse e alle preesistenti élites, di fatto mantenendo una linea di continuità con l’apparato del primo presidente Nursultan Nazarbayev. A partire proprio da Smailov, che ha un passato sia da vicepremier con Askar Mamin, che da viceministro degli Esteri, che da ministro delle Finanze.

Questo, va sottolineato, a discapito di una narrativa e di una retorica che, incalzata e quasi forzata dalle proteste e dal malcontento popolare frustrato dall’inefficienza, corruzione, e inamovibilità degli oligarchi, aveva promesso numerosi cambiamenti all’interno del quadro esecutivo kazako. Giusto per dare un esempio, il nuovo ministro dell’energia, Bolat Akchulakov, ha un passato sia in Samruk-Kazyna che KazMunayGas, ha servito a capo dell’associazione industriale KazEnergy, ed è un personaggio molto vicino a Timur Kulibayev, genero di Nazarbayev e figura potentissima sullo scacchiere politico del Paese. Incidentalmente, Kulibayev siede sul board di Gazprom, il gigante russo del gas, che dopo gli eventi di gennaio potrebbe diventare più attivo ed influente in Kazakistan.

 

Contesto sicuro per gli investimenti esteri?

Consapevole non solo della gravità che le proteste dei primi giorni di gennaio avrebbero avuto per la dimensione economico-imprenditoriale del Paese, ma anche e soprattutto proprio della natura socioeconomica del malessere popolare di buona parte della popolazione kazaka, Tokayev stesso nel suo discorso alla nazione del 7 gennaio ha voluto “rassicurare” gli investitori esteri affermando che il Kazakistan era, e resterà, un contesto sicuro dove poter fare affari. La stessa narrativa, fornita e propagata con singolare coincidenza, è stata fornita da Yerzhan Ashikbayev, ambasciatore kazako a Washington. La “sicurezza” del contesto kazako va trovata soprattutto nel fatto che, nonostante siano state fatte roboanti promesse in termini di liberalizzazioni e adattamento dei prezzi al mercato, non ci si devono aspettare sostanziali riforme in campo economico ed energetico, tantomeno liberalizzazioni. Questo perché, in un processo di ri-consolidamento di una legittimità già incerta e debole, come d’altronde rivelato proprio dagli eventi di una settimana fa, Tokayev avrà bisogno del supporto e della credibilità dei grandi investitori (governativi e privati) e di continuità. I

l rimpasto di governo, la sostituzione di qualche personalità sullo scenario politico kazako, e le promesse di combattere la corruzione e deliberata opacità di un sistema che ha beneficiato, sin dai primi anni di indipendenza, di metodi informali di arricchimento, non avranno dunque un’incidenza sistemica, ma solo localizzata. La continuità e stabilità finanziaria e macroeconomica sono state, in nuce, uno dei messaggi principali di Tokayev nel suo discorso al Parlamento del 11 gennaio: “Il nostro Paese è interessato a preservare il suo clima favorevole agli investimenti. Assicuro che lo Stato adotterà tutte le misure necessarie per ripristinare la fiducia degli investitori nazionali ed esteri. Tutti gli obblighi e le garanzie nei confronti degli investitori saranno pienamente adempiuti”. A ciò si unisce il nuovo piano di politica degli investimenti, annunciato da Alibek Kuantyrov, neo-ministro dell’Economia, per febbraio 2022. Le cancellerie occidentali, dunque, potranno tirare un sospiro di sollievo. Dopo le preoccupazioni espresse durante le proteste e gli appelli al dialogo e al rispetto dei diritti umani, investitori americani ed europei vedranno il loro operare in Kazakistan senza grossi nuovi ostacoli.

Da un punto di vista macroregionale, ci si può aspettare una serie di difficoltà nel breve e medio periodo soprattutto per quel che riguarda trasporti e passaggio di beni inter-frontalieri. Questo è già stato evidente per il Kirghizistan, che dipende quasi interamente dall’apertura dei confini kazaki per raggiungere i mercati russi e occidentali, sia in termini di export che di import. Lo stato di emergenza proclamato da Tokayev fino al 19 gennaio, che potrebbe essere prolungato qualora la situazione di sicurezza domestica lo richiedesse, significa che il transito di merci potrà subire significativi rallentamenti. Tokayev ha anche annunciato azioni per quanto riguarda i rapporti doganali con la Cina, anche se non è chiaro se questo possa avere delle implicazioni dal punto di vista commerciale o, piuttosto, sia un segnale agli ufficiali di dogana che verranno sottoposti a maggiore scrutinio.

 

Un fil rouge che unisce agricoltura, uranio e bitcoin

L’importanza degli eventi recenti per la geoeconomia del Kazakistan si notano anche in tre ulteriori campi – quello agricolo, quello dell’uranio, e quello dei bitcoin, la cui rilevanza per le proteste di inizio gennaio è stata purtroppo esagerata da analisi spesso incorrette o quantomeno incomplete.

Ma andiamo con ordine. Spesso l’enfasi posta sugli idrocarburi kazaki può far dimenticare che il Kazakistan è uno dei primi dieci esportatori di grano e il secondo esportatore mondiale di farina del mondo. Le proteste e le sanguinose reazioni ad esse, unite a quella che sembra sempre più una feroce lotta intestina tra gruppi di potere, hanno causato l’interruzione dei servizi internet e la sospensione di molte attività bancarie nei maggiori centri urbani del Paese. Di conseguenza, transazioni forex, che richiedono pagamenti anticipati, potranno subire dei rallentamenti, con effetti sul commercio agricolo. In aggiunta, le restrizioni ai confini di cui sopra potranno far incrementare i prezzi di grano e farina nella regione. Qualora questo dovesse verificarsi, è lecito aspettarsi che il governo controllerà i prezzi di beni socialmente importanti per evitare una corsa al consumo e penuria di siffatti beni. Tokayev stesso ha annunciato un piano di controllo dell’inflazione, che prevede un corridoio del 3-4% entro il 2025. Al tempo stesso, va anche ricordato che questi eventi vanno a sommarsi a un pessimo raccolto in Kazakistan nel 2021. Secondo alcuni analisti, le importazioni dalla Russia che sono già state stimate intorno alle 4 milioni di tonnellate potranno essere addirittura maggiori. Le attuali condizioni del Paese potrebbero però anche portare a un deprezzamento della valuta locale, il tenge, rendendo così il grano kazako più competitivo nel medio e lungo periodo.

L’uranio ha visto un incremento del suo prezzo dell’8%, da 42 a 45,5 dollari, il prezzo più alto da fine novembre. Tuttavia, durante gli scontri e le fasi più acute delle violenze, la produzione di uranio in Kazakistan è continuata sui normali livelli per-violenze, e i contratti di forniture sono stati rispettati in toto. Tuttavia, gli esperti continuano a prevedere un rialzo dei prezzi. Questo non a causa delle violenze in Kazakistan e delle scosse di assestamento successive, ma più per congiunture macroeconomiche internazionali, come ad esempio il continuo crescere della domanda.

Per quanto riguarda i bitcoin, è bene da subito chiarire che, al contrario di quanto riportato in alcune analisi, le proteste di inizio gennaio non hanno nulla a che vedere con le criptovalute. Se proprio si deve leggere una connessione tra le due componenti, allora si può affermare che le proteste e le violenze dei giorni scorsi hanno avuto un impatto negativo sulla produzione di bitcoin, ma certo non viceversa. Questo per il semplice motivo che l’elettricità usata per la produzione di criptovalute deriva dal carbone, e non dal gas il cui prezzo aumentato è stato al centro delle rimostranze popolari. In questi giorni, a causa dell’oscuramento di internet durante le operazioni di sicurezza e di repressione, si è registrata una diminuzione dell’hashrate pari a circa il 12-14%, una perdita per i “minatori” kazaki pari a circa 7,2 milioni di dollari. Una regolamentazione più precisa e rigorosa del cryptomining può tanto spaventare gli investitori locali quanto incentivarli a restare in Kazakistan con un quadro normativo più protettivo.

Al tempo stesso, qualora il Kazakistan decidesse di imbarcarsi in modo serio su un processo di transizione energetica, è evidente che la produzione e il valore dei Bitcoin potrebbero esserne colpiti. Predire ciò che succederà al mercato dei bitcoin in Kazakistan è dunque, al momento, molto difficile. Quello che si può ipotizzare, tuttavia, è che la già esistente dipendenza dall’elettricità russa per far fronte sia alla domanda di energia per la produzione di criptovalute che al (conseguente) incremento del prezzo domestico del carbone potrebbe acuirsi, specie in virtù dell’aiuto che Vladimir Putin, destinatario di “parole speciali di apprezzamento e gratitudine" da parte di Tokayev, ha fornito attraverso l’intervento della Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). È proprio qui, d’altronde, che geopolitica e geoeconomia si intersecano.

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AUTORI

Filippo Costa Buranelli
Università di St. Andrews

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