Nell'era dei social media e delle fake news, distinguere realtà, propaganda e informazione (o disinformazione) strumentale è diventato enormemente più difficile che in passato. Questo si applica alle relazioni tra Stati Uniti e Russia in questa fase iniziale, e di problematico assestamento, della presidenza Trump.
Mai la politica estera americana, soprattutto in relazione a questioni di ordine generale che toccano interessi di fondo del paese, ha sofferto come adesso dello scontro politico interno. I rapporti tra gli Usa e la Russia, anzi, tra Trump e Putin, sono l'argomento per eccellenza da cui muovono critiche, sospetti e tentativi di delegittimazione nei confronti del presidente da parte dei Democratici, di settori non trascurabili del partito Repubblicano e della grande stampa liberal. Il risultato è che lo spazio d'iniziativa e dialogo dell'Amministrazione nei confronti di Mosca, in un momento di gravi crisi e diffuse tensioni nel mondo, è fortemente condizionato.
È velleitario giudicare la portata reale delle interferenze russe nella campagna presidenziale americana, di cui i Servizi di Sicurezza americani si dicono certi. Proprio di ieri, e non può essere disgiunta da questo contesto, la notizia del sorprendente licenziamento del numero uno dell’Fbi, James Comey, che proprio sulle interferenze russe stava indagando in questi mesi.
Mosca, con l'elezione di Trump, un vantaggio comunque lo ha ottenuto: una presidenza strattonata da più parti che, oltre che alle confusioni e fragilità proprie di vario ordine, deve far fronte a un monitoraggio minuzioso e ostile di ogni sua mossa. Ciò rende arduo, anche ne fosse capace, formulare una strategia coerente all'indirizzo della Russia. Superfluo rilevare quanto questo sia nocivo per gli interessi americani e degli Alleati poiché Mosca, pur indebolita rispetto al passato, rimane tuttavia attore di grande peso nel governo mondiale e palesemente determinata a incepparne il funzionamento quando ciò le convenga.
Al giorno d'oggi, le relazioni russo-americane, come sovente accaduto anche in passato, sono sottoposte a sollecitazioni opposte. Da un lato, l'esigenza della ricerca di un dialogo almeno su una serie di crisi attuali e temi specifici e, nel tempo, anche sulla questione insoluta del post-guerra fredda, cioè l'assetto stabile, cooperativo e basato su principi condivisi dell'area euro-atlantica; dall'altro lato, l'obiettiva esistenza di interessi contrastanti e di competizioni per l'influenza in varie parti del mondo.
L'aspetto competitivo, tipico nella storia dei rapporti tra potenze, è divenuto più difficile da gestire allorché, dalla scomparsa dell'Unione Sovietica, con l'abbozzo, poi rivelatosi fallace, di un mondo unipolare, la narrazione di Washington, cui si sono accodati con diversi gradi di convinzione gli Alleati europei, è stata che non si doveva più ragionare in termini di sfere d'influenza e di loro equilibrio, ma che si era entrati in una fase in cui, almeno nell'area euro-atlantica, principi e regole condivisi avrebbero ispirato i rapporti tra Stati.
Tale percezione ha riportato allo scoperto costanti storiche e fobie della politica interna ed estera russa, accentuando la verticalizzazione del potere nel Cremlino, la spinta al nazionalismo e all'incubo dell'accerchiamento e la conseguente assertività minacciosa nell'azione internazionale del paese.
Questo intreccio di fattori fa da sfondo e alimenta la crisi Ucraina, e spiega i contrasti russo americani in Siria e in Medio Oriente. Nell'ultima fase della Presidenza Obama questi contrasti si erano aggravati.
Trump ha quindi ereditato una situazione complessa e lo stato dei rapporti è stato ben definito da Tillerson in occasione della sua recente visita a Mosca: la fiducia tra i due paesi non è mai stata così scarsa.
Il riavvio di un vero dialogo ad ampio raggio, nell'interesse dei due paesi come dell'area euro-atlantica nel suo complesso, dovrà certamente passare per un profondo reset (qui sì che il termine cade a proposito) di atteggiamenti e comportamenti di Mosca che dovranno allinearsi ai valori e principi che, nel post-guerra fredda, sono stati anche codificati in documenti internazionali.
Ma, ciò premesso, la ripartenza tra Usa e Russia, al momento anche ostaggio delle indagini sulle interferenze nella campagna presidenziale americana, presuppone la pacificazione interna negli Stati Uniti in modo che qualsivoglia strategia Trump abbozzerà all'indirizzo del Cremlino non venga aprioristicamente denunciata come cinico baratto di favori con Mosca, con il sacrificio degli interessi e dei diritti degli alleati degli Stati Uniti in Europa o mano libera per l'influenza russa in altre aree del mondo.
Giancarlo Aragona, ISPI Senior Advisor